Il futuro secondo Carlo Falciani, prossimo curatore della mostra “Panorama”
La quarta edizione della mostra diffusa organizzata dal consorzio delle gallerie italiane si terrà in Piemonte dal 2 all'8 settembre 2024. Abbiamo intervistato il curatore che racconta qui la sua idea di futuro (antico)
Esperto di manierismo toscano e appassionato di arte contemporanea, Carlo Falciani sarà il prossimo curatore di Panorama, la mostra diffusa promossa dal consorzio delle gallerie Italics, fino ad ora sviluppatasi a Monopoli e Procida con la cura di Vincenzo De Bellis, oggi ad Art Basel, e a L’Aquila con alle redini Cristiana Perrella. La sua Panorama sarà invece nel Monferrato, in Piemonte. Falciani insegna Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Firenze ed è curatore indipendente. Ha studiato all’Università di Firenze ed è stato fellow a Villa i Tatti, Harvard University Center for Italian Renaissance Studies, e al C.A.S.V.A della National Gallery di Washington. Ha pubblicato monografie sul Rosso Fiorentino, sul Pontormo, e saggi sull’arte rinascimentale e contemporanea. Nel futuro, a suo parere, l’uso dei social sarà meno spasmodico, e l’umanità tornerà ad occupare una posizione centrale.
Quali sono i tuoi riferimenti ispirazionali nell’arte?
Credo di avere sempre avuto la stessa curiosità e apertura verso ogni progetto, che fosse inerente l’arte rinascimentale o quella contemporanea. Mi muovo con lo stesso desiderio di ascolto dell’artista o dell’ambito espressivo intorno al quale sto lavorando, indipendentemente che l’incontro sia con la stesura del colore della Deposizione del Pontormo osservata durante il restauro, oppure con il calco di terra arata eseguito da Massimo Bartolini, nel campo dietro casa, per una scultura in bronzo. In ogni caso mi guida l’ascolto di quella traccia umana, espressiva, e anche sensuale che unisce forma e contenuto dell’opera in un insieme inscindibile. Ogni volta è un mistero che si rinnova.
Qual è il progetto che ti rappresenta di più? Puoi raccontarci la sua genesi?
Fra tutti i progetti ricordo forse la mostra dedicata al Bronzino tenutasi a Palazzo Strozzi nel 2010, la prima di una trilogia curata assieme ad Antonio Natali. La sua genesi non è stata lineare e si intreccia con le discussioni appassionate fra di noi su un pittore che ci parlava attraverso i suoi scritti e i suoi dipinti. Quando si scava a fondo l’artista risponde anche se è scomparso da secoli, ed allora si incontrano opere nuove che nessuno aveva visto. Se invece penso ad uno scritto singolo, allora fra tutti preferisco il lungo studio compiuto molti anni fa che ha portato ad un saggio su Gabriele Vendramin e la Tempesta di Giorgione. Mi piace ancora per ragioni di metodo nel campo dell’iconologia.
Che importanza ha per te il Genius Loci all’interno del tuo lavoro?
I luoghi sono simbolici e agiscono su di noi, a meno di non vivere in uno spazio solo virtuale, quindi, la loro anima mi ha sempre influenzato, anche se non necessariamente per il progetto al quale stavo lavorando in quel momento. Talvolta è stato semplicemente il profilo delle colline viste durante un sopralluogo, o di quelle che ho davanti ogni giorno se guardo dalla finestra dello studio, ad influenzare il ritmo di un saggio. Oppure è stata la voce di un’opera rimasta intatta nel suo contesto d’origine, quasi una capsula del tempo, a generare i concetti intorno ai quali è nata una mostra.
Quanto è importante il passato per immaginare e costruire il futuro? Credi che il futuro possa avere un cuore antico?
A rispondere sì sono certo che sembrerei passatista. Però è certo che per immaginare il futuro serve un progetto, serve prima decidere quale futuro si vuole, e in questo la Storia (anche nella declinazione di Storia dell’arte) è sempre necessaria. Ma purtroppo, ormai da alcuni decenni, quasi nessuno crede più in questa funzione della Storia.
Quali consigli daresti ad un giovane che voglia intraprendere la vostra strada?
Seguirei ciecamente la risposta data da Maurizio Cattelan alla stessa domanda: “Studio, grinta, passione, ingegno, voglia di fare, tenacia, curiosità e un po’ di fortuna”.
Toglierei solo “un po’” perché di fortuna ne serve di più che un po’. Anche se la fortuna talvolta arriva in modo rabdomantico quando ci si abbandona a quella mano arcana che ci trasporta verso strade di cui avvertiamo la direzione solo attraverso il sentire e non il ragionare. Il percorso è pericoloso, ma del resto la vita è un rischio.
In un’epoca definita della post-verità, ha ancora importanza e forza il concetto di sacro?
La verità forse non c’è mai stata, però esisteva la fiducia nella scienza e nell’etica, la dialettica e l’incontro fra umanità diverse lungo un percorso che era esistenziale per il singolo e sociale per la comunità. Da questo punto di vista l’esaltazione della post verità come cardine dei nostri anni è servita solo a vendere meglio le merci, compresa l’arte. Quindi, visto che siamo in questo ambito e sarebbe improprio uscirne, credo che serva tornare a credere in una sacralità dell’arte, anche laica, per svincolarla proprio dall’ambito delle merci nel quale è stata relegata. Altrimenti vinceranno sempre gli spaghetti al pomodoro o le aragoste, ma del resto oggi i programmi di cucina vincono numericamente su quelli dedicati alle arti.
Come immagini il futuro? Sapresti darci tre idee che secondo voi guideranno i prossimi anni?
Spero che in qualche modo termini l’uso spasmodico dei social che caratterizza i nostri giorni, e si trasformino le regole sociali che, in quanto scatole linguistiche, i social hanno veicolato in modo opaco. Se questo accadesse tornerebbero ad essere centrali forme di umanità più complesse rispetto al concetto di pubblico o di follower-seguaci al quale ci siamo abituati.
Forme di umanità che in passato erano simboleggiate da quel disegno di Leonardo dove l’uomo, inteso appunto come umanità tutta, era al centro dell’universo. Oggi alcuni leggono quel simbolo come rappresentazione del maschio bianco dell’antropocene, e auspicano che venga abbattuto. Prima di quel simbolo laico, al centro c’era Dio, prima ancora gli Dei e una natura altrettanto implacabile. Francamente preferisco che al centro ci sia l’umanità con le sue contraddizioni e la dialettica fra pensieri diversi: unico modo per raggiungere una giustizia sociale accettabile, ma temo che anche stavolta la frattura sarà dolorosa, come del resto è già accaduto più volte nel passato.
Ludovico Pratesi
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