Sperimentare una vita possibile oltre la contingenza. Le opere d’arte e il concetto di giustizia
L’impoliticità delle opere del presente è fondata sull’abolizione totale di quella legge non scritta, delle avanguardie come delle neoavanguardie, che recita: “l’arte è la forma sperimentale della vita”. Ecco quali sono le conseguenze
“Nel 1937 tutto l’intellettualismo britannico era mentalmente in guerra. Il pensiero di sinistra s’era ridotto a un angusto ‘antifascismo’, cioè a un criterio meramente negativo, e un torrente di scritti imbevuti di odio, contro la Germania e gli uomini politici che si riteneva fossero germanofili, scaturiva dalla stampa quotidiana. La cosa per me veramente spaventosa a proposito della guerra di Spagna non furono tanto le violenze ch’io vidi e neppure gli odi di parte scatenatisi dietro il fronte, quanto l’immediata ricomparsa negli ambienti di sinistra dell’atmosfera mentale della Grande Guerra. Quelli che per vent’anni avevano irriso dall’alto della loro superiorità all’isterismo bellicistico, furono i primi a lasciarsi trascinare di nuovo nei bassifondi mentali del 1915. Tutte le idiozie del tempo di guerra – le conosciamo bene -, la caccia alle spie, l’intolleranza in nome dell’ortodossia (sei o non sei un buon antifascista?), le fandonie sulle atrocità del nemico, ritornarono di moda come se gli anni dell’interventismo non fossero mai passati” (George Orwell, Nel ventre della balena, Bompiani, Milano 2013, p. 183).
Orwell scrive queste parole nel 1940, ma potrebbe benissimo stare scrivendole ora, ottantaquattro anni dopo (con il dettaglio non trascurabile che, oggi, a quanto pare, non disponiamo di un Orwell…).
Il mondo che si prepara alla guerra
Così, mentre pacatamente, tranquillamente – dopo gli avvertimenti in tal senso dell’alto rappresentante Ue Josep Borrell – la bozza del Consiglio europeo che si è appena avviato dovrebbe chiudersi con “un programma di emergenza in caso di attacco bellico”, e si comincia ad avvisare i ‘civili’ tutti di prepararsi alla guerra (evidentemente, i militari già sono preparati di loro…); mentre il presidente Emmanuel Macron, vedere per credere, si fa fotografare all’Eliseo, come messaggio neanche troppo sottile a Putin, mentre si allena al sacco martellandolo di pugni in perfetto stile Rocky (ma più III e IV – ovviamente – cioè quello levigato e glamour, oltre che geopolitico-reaganiano e in procinto di legnare Ivan Drago con tanto di paternale-tuttoilmondopuòcambiare alla fine, non quello mozzarella e proletario e meravigliosamente scimunito del II e soprattutto del leggendario primo, anno di grazia 1976); mentre dopo il filotto di Oscar gli spettatori ripensano ancora ammirati a quel quasi-capolavoro di Oppenheimer, in cui segnatamente – lo ricordo ancora una volta – in tre ore di film Christopher Nolan non ha ritenuto di dedicare manco un fotogramma ai poveri giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, cioè alle conseguenze pratiche di questa ‘meraviglia della scienza’ chiamata bomba atomica ovvero The Gadget ovvero Fat Man / Little Boy, e in una delle poche scene in cui Oppie manifesta i suoi sensi di colpa balbetta in maniera un pochino comica nello Studio Ovale “le mie mani sono sporche di sangue…” beccandosi pure del ‘piagnone’ dal Truman di Gary Oldman dopo che gli ha porto il fazzoletto per pulirsele; mentre accade tutto questo, gli artisti qui da noi e altrove sembrano nelle loro faccende di sempre affaccendati, magari che so a mettere a punto le meraviglie allestitive per il prossimo padiglione alla Biennale, o per la bella mostra collettiva impegnata…
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Rileggere Orwell oggi
Personalmente, credo che in questo momento Orwell andrebbe letto e riletto integralmente, da La fattoria degli animali a 1984, da Omaggio alla Catalogna alla Una boccata d’aria, come forma di ecologia mentale. Ma Nel ventre della balena ha un sapore speciale: perché questo lungo e particolareggiato saggio dedicato a spiegare l’importanza del Miller di Tropico del Cancro attraverso una ricostruzione non solo del suo contesto, ma di un’intera storia e genealogia e sociologia anglosassone che risale agli anni della Prima Guerra Mondiale e del primo dopoguerra, e che sembra quindi trattare materie e autori per noi lontanissimi, ci parla in realtà da vicinissimo. E ci spiega in maniera incontrovertibile come mai questo ‘ventre della balena’ non abbia assolutamente nulla a che vedere con il disimpegno e l’egocentrismo, e invece sia forse l’unica vera condizione sensata per interpretare il mondo. Come mai una certa situazione ‘passiva’ sia l’unica valida precondizione per ogni attività che abbia qualche speranza di non essere fumosa, vacua e velleitaria.
Il presente, questo presente, è ontologicamente contrario al concetto di giustizia, allegramente disimpegnato, e felicemente irresponsabile. Solo che questa sua impoliticità pretesa è, come tutti (anche i bambini) ormai sanno, una precisa posizione politica, e di una specie abbastanza inquietante: retriva più che retrograda, oscurantista, irrazionale, intimamente aggressiva, semplificatoria in maniera spaventosa. Soprattutto, questa impoliticità è fondata sull’abolizione totale di quella legge non scritta, delle avanguardie come delle neoavanguardie, che recita: “l’arte è la forma sperimentale della vita”.
Il concetto di giustizia e le opere
Attraverso le opere, infatti (almeno quelle che funzionano come si deve), gli artisti prima e tutti quelli che le fruiscono poi sperimentano, appunto, una vita possibile al di là di quella contingente. Sperimentiamo ciò che potrebbe essere. Il restringimento progressivo, lungo una quarantina d’anni, del campo dell’opera al territorio decorativo-mercantile, la limitazione delle sue possibilità e l’amputazione della sua operatività – vale a dire: della sua capacità trasformativa ed evolutiva – spiega molti aspetti, a mio parere, anche del restringimento della nostra capacità immaginativa. Della capacità, cioè, di immaginare una diversa condizione del presente e dunque dell’avvenire, così come dell’avvenire e per questo del presente.
Christian Caliandro
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Christian Caliandro
Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…