Un libro non è una pistola carica. Lo sfortunato blitz di Pino Boresta ad Arte Fiera
“Non devi bruciare i libri per distruggere una cultura. Basta far smettere alla gente di leggerli”, diceva Ray Bradbury. E per distruggere un artista? Lo spiega qui Pino Boresta che denuncia di essere quasi stato arrestato a Bologna per una azione di bookcrossing clandestina
Per distruggere un artista non è necessario bruciare lui o i suoi lavori, è sufficiente far smettere alla gente di leggerlo. Un libro non è una pistola carica, eppure non ci crederete, ma si può rischiare di essere arrestati se fai un’azione di Book Crossing clandestina regalando libri alla gente. Parafrasando “Fahrenheit 451”, il libro di Ray Bradbury, devo dire che ho il sospetto che i miei libri siano odiati e temuti perché rivelano i pori sulla faccia dell’arte. La gente vuole soltanto facce, di cera, facce senza peli, inespressive, ma soprattutto facce che non siano la mia. E poiché, non si può giudicare un libro dalla copertina, allo stesso modo non si può giudicare un artista se non si conosce il suo lavoro.
Pino Boresta, un fastidioso Agitatore Culturale
In una società dove si predilige dare sempre più spazio a spettacoli beceri, pretestuosi e falsi moralisti. Trovo che sia profondamente sbagliato ostacolare o addirittura impedire un innocuo intervento abusivo di “Interferenza Culturale”, per altro già in parte conosciuto dai più. Un’azione artistica clandestina che ha tra i suoi intenti quello di esortare una maggiore attenzione ai messaggi e informazioni: formative, istruttive, educative, intellettuali etc. che i libri contengono in quanto sono il sugo e il sangue della nostra società, e per questo devono essere apprezzati; per l’importanza che rivestono nella crescita dell’intelligenza di un essere umano, nonché nella/per la presa di coscienza culturale di un popolo. In un mondo dove lo strabordante potere dei social media mette in serio rischio le capacità di pensiero e riflessione delle nuove generazioni, io credo vada sempre più ricordata l’importanza di un buon, o anche un cattivo libro, per avere modo di dare forma a utili riflessioni sul mondo da cui siamo circondati, dal mondo che è stato, dal mondo che verrà e dal mondo che è lì che ci aspetta.
Gli ArtBlitz di Boresta ad Arte Fiera
Nonostante io sia avvezzo ad aggressive reazioni nei miei confronti per azioni clandestine da agitatore culturale (da me chiamate ArtBlitz), che spesso in passato ho messo in atto in contesti culturali, non mi aspettavo questa volta, sarebbe mai stato a me riservato questo tipo di trattamento, semplicemente perché regalavo dei libri durante una fiera d’arte. Proprio in quella ArteFiera 2024 dove veniva celebrata la performance, e dove si celebrava il ritorno di Maurizio Cattelan (il nostro artista vivente più conosciuto) di cui si esaltano le gesta per il suo famoso stand abusivo con il quale si era infiltrato nel 1991. Volevano arrestarmi perché come ogni anno seminavo i libri del mio progetto di bookcrossing in giro. O meglio volevano quasi farlo, e sono arrivati fino al punto di chiamare la polizia, sollecitati dagli addetti alla sicurezza, e dopo che io mi sono rifiutato di andare via, chiedendo invece di parlare con il direttore Simone Menegoi, che sostenevano si rifiutasse di venire. Ma poi, quando come Pinocchio, scortato via con due gendarmi ai lati, mi sono sentito male, Menegoi è venuto, e si è dimostrato gentile e comprensivo. Io credo che lui capisca il travaglio che molti artisti vivono dentro di loro. Come, quindi, si sia arrivati fino a tanto non lo so, ma quando l’ho chiesto a lui mi ha detto/risposto che non sapeva nulla e stava mangiando. Certo sarebbe interessante sapere esattamente come siano andate le cose. Ho comunque in seguito deciso di scrivere una lettera al direttore della fiera spiegando le mie ragioni e ringraziandolo. Lettera che, seppur con un certo imbarazzo e vergogna, ho deciso di pubblicare qui sotto, perché io non ho mai avuto niente da nascondere al pubblico, e quello che ho fatto, molto probabilmente sbagliando, l’ho fatto sempre alla luce del sole. Si dice che se un artista (ma non solo per questi/o) è troppo avanti sui tempi, il rischio è quello di non essere capito. Ma questo non mi pare il mio caso, visto che i procedimenti clandestini degli artisti sono ormai ben conosciuti, digeriti ed in alcuni casi glorificati e addirittura innalzati ai maggiori onori. In tutto questo ci si può vedere della profonda ipocrisia di cui purtroppo, qualcuno sostiene, il mondo dell’arte ne è pieno.
Pino Boresta, un allegro sovversivo
“Un artista ha la responsabilità sociale di disseminare le sue idee attraverso presentazioni non convenzionali”. Come disse il sovversivo artista André Cadere, che senza fare del male a nessuno e con l’allegria che lo distingueva, ha sempre portato avanti quella voglia di “stabilire il disordine” (come io fin da metà anni 90) in un mondo troppo spesso ingessato, narcisista, capace di pensare solo a sé stesso, come quello dell’arte. Mi chiedo: e se fosse stato proprio Cattelan o magari Banksy a regalare quei libri come forma di arte relazionale? Allora se ne sarebbe parlato in tutto il mondo, su tutti i giornali, riviste e finanche alla radio ed ai telegiornali. Io non so come Cattelan sia riuscito a svincolarsi dal non rimanere quell’artista sfigato che lui stesso ha detto di essere stato all’inizio della sua carriera. Ma credo che questo dovrebbe essere oggetto di riflessione, perché siamo così sicuri che questo privilegio debba essere riservato solo a lui? Ma forse qui ci troviamo di fronte ad un altro tipo di fenomeno ben descritto da Christian Caliandro nel suo libro “Contro l’arte fighetta” Castelvecchi editore:
“La rigidità del dispositivo che regola l’arte contemporanea mima naturalmente quella del controllo più generale all’interno della società: ogni passo, ogni scelta, ogni momento, ogni attività sono compartimentati e indirizzati – le deviazioni e la digressione sono freddamente scoraggiate. L’artista fighetto/a è quello/a che accetta volentieri questo stato di cose complessivo, questo complesso di valori (questa ideologia) – e si occupa anzi di trasferirli fedelmente nell’opera e nella successione di opere. L’opera d’arte, così, non si dispone affatto a intervenire sulla realtà – vale a dire: nei cervelli delle persone – a influenzarla, costruendo nuovi modi di pensarla e di viverla; ma si appresta ad offrire un (altro) modo di intrattenimento, che conferma una volta di più “come-si-fa”, “come-si-vive” come si sta al mondo oggi.” Probabilmente se facessi parte del gruppo degli artisti fighetti, che producono quella inutile arte fighetta molto ben descritta nel libro, nessuno mi avrebbe toccato ma anzi sarei stato sostenuto e premiato. Questo perché come dice lui: I “ricchi” si costruiscono gli “artisti” a propria immagine e somiglianza, in quanto è troppo scomodo avere a che fare con artisti riottosi, indocili e scostanti, come in qualche periodo è pure avvenuto. E continua Caliandro citando Scorsese: “Un sistema in cui il business, il mercato, i soldi regolano ogni scelta, ogni scambio e ogni interazione non è un buon sistema – e certamente non è un sistema che favorisca in alcun modo l’avanguardia o la radicalità delle idee.”
Artisti fighetti e non fighetti
Io credo che una fiera d’arte, per quanto possa essere un evento commerciale, se diventa priva di contenuti culturali finirà inevitabilmente per perdere appeal. Perché, forse, sarò un utopico sognatore ingenuo, ma rendere le fiere una sorta di mercato azionario dove comprare: Btp, Buoni del Tesoro Poliennali, Obbligazioni o Titoli di stato, può solo inaridire il mondo dell’arte facendogli perdere completamente la missione culturale ed intellettuale che dovrebbero avere. Scrive sempre Caliandro: “un’arte destinata a rimanere chiusa nel suo recinto, per quanto lussuoso ed elegante è assolutamente inutile – e anche inevitabilmente scadente, fiacca, pomposa”. Trovo, inoltre, oltremodo interessante quello che dice sull’arte “Sfrangiata” e la condizione dell’artista non fighetto: “il Fighetto è dunque intimamente conservatore e reazionario, difende le condizioni che ha trovato e considera con fastidio e irritazione qualunque cambiamento sostanziale”. Questo è un libro che consiglio a tutti di leggere, anche a coloro a cui non piace che gli si dicano certe cose.
Boresta è un artista sbagliato?
Io credo che l’ostracismo nei miei confronti e nei confronti di altri bravi artisti italiani stia diventando e assumendo aspetti preoccupanti, è per questo mi sono risoluto a scriverlo e denunciarlo ogni volta che ho potuto. E anche il curatore Raffaele Gavarro mi ha dato ragione in una sua intervista su Artribune: “In questo senso ha ragione Pino Boresta nel sostenere che il sistema dell’arte italiano basa molto della sua regolamentazione sulle differenze tra chi se lo può permettere e chi non, sull’economia famigliare e sulle reti relazionali dei primi, e dove spesso i secondi sono condannati a una marginalizzazione che equivale quasi sempre a una prematura morte professionale. Non molto dissimile è la condizione per critici e curatori, più per quest’ultimi in verità, dato che il sistema nel quale operano è ovviamente lo stesso”.
Tutta l’umanità è succube dell’economia e anche l’arte e il suo sistema non si sottrae a questa realtà. Se poi qualche artista cerca disperatamente di dire la sua, o di opporsi a questo stato di cose, non gli permettono di farsi sentire, non permettono che il suo urlo di contrarietà venga ascoltato e così la sua voce resta muta. Mi domando pertanto: “L’arte è nelle mani sbagliate o sono io che sono un artista sbagliato?”.
La lettera a Menegoi, direttore di Arte Fiera Bologna
Questa la lettera spedita al Direttore:
Caro Simone Menegoi,
Volevo ringraziarti per avermi permesso di continuare nel mio intervento clandestino. Una sorta di Book Crossing artistico che compio da molti anni in forma abusiva, e che si cala nel procedimento di quell’Arte Relazionale di cui tanto si discute in questi anni. Ho apprezzato il tuo gentile intervento ed il tuo abbraccio durante quel mio brutto momento di crisi. Colpito nel più profondo del mio orgoglio sono stato colto nella parte più fragile del mio essere artista, ed ancora una volta mi sono visto crollare addosso quel mondo che è una delle mie ragioni di vita. Non potevo capacitarmi di subire quel tipo di trattamento per aver semplicemente dato corpo ad un innocuo evento performativo. Non riuscivo a capire di cosa fossi accusato per procedere ad una sorta di procedura di arresto per cosa? Forse, per un eccesso d’istigazione all’informazione culturale? Spesso noi artisti siamo molto più fragili di quello che si pensa. Una fragilità che aumenta tanto più se si vive una condizione d’incomprensione e ostracismo.
Mentre i poliziotti mi accompagnavano via ho visto sgretolarsi intorno a me quel piccolo spazio di libertà artistica che negli anni, con tanto sacrificio, ero riuscito a crearmi, ed ho avuto paura. Ho avuto paura che fosse giunto il momento di arrendermi, arrendermi una volta per tutte, nonostante la mia testardaggine nell’andare avanti contro tutto e tutti. L’idea che si fosse scatenata una specie di caccia a me; all’uomo che regalava libri mi ha sconcertato. Pensare poi di rischiare addirittura una sorta di arresto o allontanamento dal luogo del “delitto”, che ho sempre percepito come casa degli amanti dell’arte, mi ha afflitto profondamente facendomi molto soffrire. Tanto più perché l’intervento era conosciuto e spesso apprezzato dai più. Non posso nasconderti che ho provato la sensazione di cadere dentro le pagine di “Fahrenheit 451”. L’arrivo del primo addetto alla sicurezza, che ha poi orgogliosamente chiamato tutti gli altri ed in seguito gli ispettori di Polizia, mi hanno fatto sentire come il peggiore dei terroristi, come il peggiore dei malviventi. Quando poi uno degli addetti alla sicurezza si è pure ripetutamente rifiutato di darmi la mano, così come avevo fatto con tutti gli altri, presentandomi, ho provato una profonda umiliazione come fossi il peggiore dei criminali. Ma quello che più mi allarmava non era tanto la mancanza di rispetto nei miei confronti, ma la vulnerabilità della mente di molti giovani che percepiscono direttive estremizzandole e senza avere su queste un pensiero analitico personale, prima di sentenziare giudizi definitivi. Questo comportamento è l’anticamera al nazismo. Capita spesso che mi chiedano dove trovi il coraggio di fare quello che faccio. Io non so dare una risposta precisa e definitiva, ma suppongo che uno dei motivi consista nel credere fino in fondo in quello che faccio senza avere la presunzione di essere meglio di tanti altri artisti ai quali è riservata maggiore attenzione. Artisti che ottengono facilmente quelle necessarie gratificazioni di cui nutrirsi per trovare la linfa vitale che esorta ed incoraggia a procedere nel proprio percorso. Inoltre, non posso capacitarmi a credere che proprio nell’anno in cui ad Arte Fiera si celebrava la “Performance”, sempre più apprezzata e con uno stand dedicato, sia stato a me riservato questo tipo di trattamento. Proprio a me, che da tanti anni mi spendo in direzione di questa forma d’arte a volte autorizzata e a volte no. Esattamente come fece Maurizio Cattelan con il suo stand clandestino di cui si è festeggiato il ritorno a Bologna dopo molti anni. Purtroppo, la mia colpa continua ad essere quella di non avere mai smesso di credere che, nonostante il mondo dell’arte proprio non ne voglia sapere di dare anche a me un po’ di spazio, prima o poi arriverà il giorno in cui mi verrà concessa questa opportunità per dimostrare al grande pubblico quello che valgo veramente. Ed anche quest’anno, non aspettandomi certamente nessun premio, mai avrei pensato che la profonda e insita rivalità/concorrenzialità del mondo dell’arte fosse disposta a; spingere, chiedere, esortare e insistere affinché si arrivasse fino a tanto nei miei confronti. Marcel Duchamp, a cui credo vada riconosciuto un pizzico di intuito disse: “Il grande artista di domani entrerà nella clandestinità”. Probabilmente io non sono tale, cioè “grande artista”. Ma, non rischiamo che se a decidere la carriera di un’artista continua ad essere la politica interna all’arte secondo criteri di appartenenza e conoscenza (piuttosto che in base alle capacità e meriti acquisiti sul campo), presto nessuno avrà più voglia di impegnarsi per dare il meglio di sé nell’interesse reale del dibattito artistico? Le cose andrebbero, così, sempre peggio. E se avessero ragione coloro che sostengono che si debba prendere in particolare considerazione chi viene denigrato, diffamato ed ostacolato perché è assai probabile che si tratti di un genio? Probabilmente io non sono un “genio”. Ma sono sicuramente un artista fuori dagli schemi (come in passato lo sono stati altri), che porta avanti con tenacia la sua lotta contro i meccanismi di accettazione e scelta del mondo dell’arte. Tento di trasformare la mia frustrazione in opere d’arte che non siano beni superflui per i ricchi, ma che facciano riflettere in modo utile gli altri. Credo che essere artista sia uno stile di vita e un atteggiamento che non deve produrre oggetti effimeri ma soprattutto azioni che gli altri non hanno il coraggio di fare. Qualcuno ha scritto che a volte è sufficiente un solo lettore per cambiare il destino e la fortuna di uno scrittore, così come avvenne al grande John Fante il cui valore fu scoperto da Charles Bukowski e da lui divulgato facendolo conoscere al grande pubblico. Sarei un ipocrita se negassi che anche io spero che un giorno possa accadere anche a me. Ho a lungo pensato come terminare una lettera come questa ed il modo migliore mi è sembrato quello di chiedere aiuto al magnifico Fabrizio De André: “Le vere domande e le vere risposte non sono fatte di parole: sono fatte di azioni, di gesti, di atti, di opere in cui possono anche essere compresse le parole. Eppure, ogni cosa fatta in qualche modo la si paga in ansia, in insuccesso e, se tutto va bene, in nostalgia.”
I miei più sinceri e cordiali saluti,
Pino Boresta
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati