Il curatore Andrea Bellini racconta il suo Padiglione Svizzero
Un po’ svizzero, un po’ brasiliano e anche un po’ italiano il padiglione elvetico a Venezia, curato quest’anno dal direttore del Centre d’Art Contemporain di Ginevra che ce l’ha raccontato qui
In occasione della 60. Biennale di Venezia, il Padiglione Svizzero presenta la mostra Super Superior Civilizations dell’artista svizzero-brasiliano Guerreiro do Divino Amor e curato del direttore del CAC Centre d’Art Contemporain di Ginevra Andrea Bellini. L’intervista.
Andrea Bellini, la curatela del Padiglione Svizzero arriva dopo dieci anni di direzione del CAC di Ginevra. Ormai sei un curatore anche svizzero.
Diciamo, per essere brevi, che ho la doppia cittadinanza. L’ho ottenuta con una certa rapidità, perché la nonna di mia moglie era originaria di Saint Croix, un paesino del Cantone di Vaud. Questa signora, deceduta a 103 anni, era una vera eccentrica: negli anni Trenta girava per le strade di Parigi con un giaguaro al guinzaglio. In Svizzera, al di là degli stereotipi con la quale la guardiamo, si incontrano anche – e per fortuna – dei tipi piuttosto curiosi e un poco folli.
L’artista che rappresenta la Svizzera alla biennale di Venezia di quest’anno è Guerreiro do Divino Amor. Come lo hai conosciuto? E perché hai deciso di lavorare con lui?
Conosco questo artista svizzero brasiliano da diversi anni. Ho visto la prima volta i suoi video nel 2017 e gli ho dedicato una retrospettiva al Centre d’Art Contemporain nel 2022. Trovo interessante il suo lavoro perché non assomiglia a quello di nessun altro. Come spesso accade, gli artisti più originali sono degli autodidatti. Guerreiro non ha studiato arte ma architettura, prima a Grenoble e poi a Bruxelles. Ancora studente ha cominciato a lavorare a un progetto cartografico mondiale, di cui le due opere nel Padiglione Svizzero rappresentano il sesto e settimo capitolo. Il progetto cartografico, dedicato ogni volta a una città o una nazione diversa, consiste nel mettere in scena e stigmatizzare quelle che l’artista chiama “le super finzioni”, cioè quei racconti collettivi con i quali rappresentiamo noi stessi e il mondo nel quale viviamo.
Insomma, un artista insolito, certo poco noto nel mondo dell’arte europeo, se escludiamo la sua partecipazione a due Swiss Art Award non ha aveva fatto molto nemmeno in Svizzera. Tu non sei certo un “curatore al dente”, per citare il tuo recente libro Storie dell’arte contemporanea, edito da Timeo.
Beh, mi fa piacere che tu non mi consideri un curatore al dente. Il curatore al dente, lo dico per coloro che non hanno letto il libro, è il curatore che conoscendo a perfezione la temperatura del mondo dell’arte presenta solo artisti “giusti” e lo fa solo al momento “giusto”, mai un attimo prima e mai un attimo dopo. È il Dark Vador della strategia. Comunque, ad ognuno la sua poetica curatoriale: nel mondo dell’arte c’è spazio per tutti e – a pensarci bene – c’è bisogno di tutti.
Parliamo del padiglione, com’è concepito?
Nel Padiglione Guerreiro presenta Il Miracolo di Helvetia, dedicato appunto alla Svizzera, e Roma Talismano, la sua ultima opera in ordine di tempo, dedicata all’Italia. Abbiamo trasformato completamente gli spazi, si tratta di due opere ambientali e immersive. Il Miracolo di Helvetia è presentato all’interno di una grande cupola, una sorta di planetario prodotto a Kiev. Mentre Roma Talismano consiste in un ologramma, nel quale l’artista e performer brasiliana Ventura Profana interpreta una canzone scritta dall’artista durante il suo periodo di residenza a Roma. Dietro questo ologramma campeggia una struttura semicircolare che mette in scena una divertente allegoria della città eterna. È un omaggio alla tradizione dei panorami svizzeri, che erano i mezzi di comunicazione di massa del XIX Secolo.
Anche a proposito di quel che accade nel mondo, in qualche modo la Svizzera è un miracolo…
Nella narrazione globale la Svizzera è percepita come un paese perfetto. In ogni dove c’è un paesino particolarmente ordinato ed efficiente che si fregia di essere una Svizzera in miniatura. In effetti qui non c’è disoccupazione, i treni viaggiano in orario, la ricerca tecnologia si armonizza con una natura bucolica e incontaminata, e la gente partecipa alla vita politica del Paese votando in continuazione. Tutto questo è vero ma la Svizzera è veramente un paradiso? Ed è un paradiso alle spese di chi? Queste sono le domande che si pone Guerreiro nel Miracolo di Helvetia. L’ironia irrita, diceva Milan Kundera, “non perché attacchi o si faccia beffe, ma perché ci priva delle certezze, svelando il mondo come ambiguità”.
Temi piuttosto seri, ma tu poco fa dicevi che le opere di Guerreiro sono grandi allegorie, anche divertenti, puoi spiegarti meglio?
Il lavoro di Guerreiro non è un lavoro strettamente politico, è piuttosto un lavoro che si interessa di politica della rappresentazione, e non lo fa utilizzando fotocopie, vetrine o il format del documentario. Il linguaggio che l’artista adotta per i suoi video è ispirato al mondo delle soap opera, al carnevale, alla televisione, ai video clip musicali e in generale alla cultura Pop. Il suo obbiettivo è cogliere quanto c’è di assurdo nelle grandi narrazioni ideologiche contemporanee. Non bisogna essere esperti di arte contemporanea per comprendere la sua opera.
E la sua formazione di architetto che ruolo ha in tutto ciò?
A me sembra che abbia un ruolo fondamentale. L’architettura per lui rappresenta uno strumento per leggere e comprendere la città, i rapporti di forza tra le parti sociali, ma anche – ad un livello più simbolico – l’architettura è vista come cartina di tornasole dell’ideologia. Quindi il neoclassicismo e il riferimento alla romanità, come immagine della superiorità civile e morale occidentale. L’installazione nel Padiglione tratta anche questi temi.
Ma il Padiglione Svizzero è un’architettura tipicamente modernista…
Si, è un bel Padiglione, tra l’altro, ma anche il modernismo, nella sua dimensione più radicale e ideologica, è stato espressione di una forma di terrorismo. In qualche modo pretendeva di decretare ciò che era lecito e ciò che non era lecito, perfino da un punto di vista morale. Con una serie di false pareti in marmo verde abbiamo voluto creare questa frizione tra diversi momenti della storia dell’architettura, presentandoli come una storia ideologica.
Insomma, ritorna la questione annosa dei grands récits, come Lyotard chiamava i racconti ideologici sui quali poggiava tutta la modernità.
Si, credo sia importante stigmatizzare queste grandi narrazioni, questi grands récits, perché sono il frutto di semplificazioni e di drammatiche mistificazioni, soprattutto in un momento come questo, nel quale la politica è tornata a utilizzare un linguaggio vecchio di cento anni, e non solo in Russia.
E Guerreiro do Divino Amor che arma usa per decostruire i grandi racconti?
Come dicevo usa l’ironia. Tutta la sua opera consiste in un invito a ridere del mondo e di noi stessi. L’ironia come una forma di saggezza superiore perché ci aiuta a prendere le distanze non solo dalle superfinzioni collettive, ma anche dalle nostre stesse convinzioni. Volendo parafrasare il titolo della Biennale, Stranieri ovunque, noi con il Padiglione Svizzero invitiamo i nostri visitatori a sentirsi stranieri all’interno delle proprie verità.
Miracolo o no, quale ruolo culturale e socio-politico potrebbe avere secondo te la Svizzera nel futuro dell’Europa?
Francamente questa è la domanda del secolo, la quale richiederebbe un trattato. Quello svizzero è un sistema politico basato sulla ricerca del consenso e sulla partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica del paese. Qui si è rinunciato da tempo a delegare a una sola persona tutto il potere politico. Questo è un paese nel quale convivono pacificamente popoli che parlano lingue diverse e che professano un diverso credo religioso. Sento arrivare l’obiezione: la Svizzera è un paese neutrale e piccolo, il quale fa fatica ad avere un ruolo da protagonista nella vita politica internazionale. Questo è vero ma i cosiddetti protagonisti, per giunta non neutrali, chi sono e cosa fanno? Coloro che pensano che un paese efficiente non possa che essere governato da una sola persona con pieni poteri, alla quale delegano fatalmente il loro destino, non contribuiscono a creare una super finzione pericolosa per il bene collettivo? Questa è la schizofrenia del mondo contemporaneo: parliamo di intelligenza artificiale e al tempo stesso torniamo a vagheggiare sistemi politici autoritari. Vorremmo correre verso il futuro e stiamo dimenticando come allacciarci le scarpe.
Nicola Davide Angerame
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