Italiani ovunque. Sì, ma un po’ meno in Biennale
Molte le mostre in Laguna che dimostrano la vivacità della scena artistica dello Stivale. Ma come fare per riportare gli artisti italiani all’Arsenale e ai Giardini? Qualche riflessione
Se le ultime edizioni della mostra più importante del mondo avevano avuto il demerito negli eventi collaterali o nelle iniziative circostanti e satellite di escludere o quasi le esperienze midcareer provenienti dal nostro paese, la rassegna del 2024 è contornata da mostre, progetti, ricognizioni che mettono in luce quanto l’Italia abbia da offrire se parliamo di nuove o mature generazioni di artisti che interpretano in modi differenti il presente.
Artisti italiani alla Biennale di Venezia
Gli Anni ’90 e il primo decennio degli anni 2000 sono stati contrassegnati dal fiorire di Biennali ovunque; manifestazioni di medio o ampio carotaggio che nel corso di quel ventennio hanno tentato di scippare lo scettro a Venezia con operazioni sensazionali e la carovana dei globe trotter dell’arte a disfare la valigia per metterne insieme alla bell’e meglio subito un’altra pronti a viaggiare da un continente all’altro. Poi, il sogno di confini sempre più labili è svanito e con esso le biennali hanno assunto una posa introspettiva. In questo scenario Venezia, con la sua lunga storia, è rimasta insieme a documenta regina indiscussa. Tale posizionamento però non ha il più delle volte fatto sì che i curatori chiamati a curare “la Biennale” per antonomasia abbiano sentito il bisogno, la curiosità o l’opportunità di fare scouting tra gli artisti del nostro Paese. Così avviene che nella se pur interessante manifestazione curata nel 2022 da Cecilia Alemani e nonostante la consonanza del tema risultassero vistose assenze di artiste come Elena Bellantoni o Lucia Veronesi per fare solo due esempi, mentre tra le mostre collaterali imperversavano in Laguna le mega operazioni delle megas.
Gli italiani alla Biennale di Pedrosa
Italiani stranieri ovunque, anche alla Biennale di Pedrosa. È vero, l’Arsenale ospita il focus sugli italiani expats, riconoscimento racchiuso nel bell’allestimento progettato sulle orme di Lina Bo Bardi, lasciando intravedere il fronte e il retro dell’opera con l’intento di aumentarne la accessibilità. Con l’architetta italiana naturalizzata brasiliana Leone d’oro alla memoria alla Biennale Architettura 2021 Adriano Pedrosa gioca in casa, dato che dirige il Museo d’Arte di San Paolo da Bo Bardi progettato. Nonostante ciò, il display non rende giustizia agli artisti che ospita, risultando pur nella onestà dell’obiettivo, confusionario e non permettendo al visitatore curioso di scoprire realmente le storie, le vicende, la pratica di artisti che fuori dai confini dello Stivale, emigranti sempre, stranieri ovunque, hanno intessuto vita e opere, a cavallo tra mondi. Meno straniera la pittura di Giulia Andreani, classe 1985, che ai Giardini si difende molto bene con opere di grande formato, o l’intervento di Anna Maria Maiolino, Leone d’Oro per questa edizione, che pur dislocandosi in una stanza tutta per sé alle pendici dell’Arsenale, mostra nella sua interezza la solidità di una ricerca che meritava il giusto riconoscimento. E ancora Alessandra Ferrini, peraltro contemporaneamente protagonista di una bella mostra al Museo Novecento di Firenze. Fino all’intervento – pensato però nella cornice di Biennale College – della giovanissima Agnes Questionmark, classe 1995, tra le figure emergenti più interessanti della nuova generazione di artiste. Italiano è quanto meno grazie al curatore Marco Scotini e tra le punte di diamante di questa edizione della Biennale di Venezia il Disobedience Archive, progetto nato a Berlino nel 2005 che racconta in video mezzo secolo di disobbedienza, in uno dei display più efficaci della mostra veneziana. Se ne parlerà più diffusamente su queste colonne.
Italiani midcareer a Venezia
Si diceva degli italiani in Laguna. Al di là del Padiglione nazionale quest’anno ben rappresentato da Massimo Bartolini, vitali e resilienti gli artisti italiani hanno sempre colto l’occasione della Biennale come un momento di festa e di confronto partecipando e dando il proprio contributo. Quest’anno, come non succedeva da tempo, l’agenda biennalesca è contrassegnata da progetti personali di artisti midcareer che rappresentano al meglio la qualità dell’arte che il nostro Paese sta producendo, checché se ne voglia dire. Francesco Lauretta e Luigi Presicce, con la Scuola di Santa Rosa, e su progetto curatoriale di Federica Forti, animano il Padiglione del Congo, fermando il tempo nella corsa all’evento lagunare con l’arte del disegno, della partecipazione e della pittura che i due maneggiano molto, ma molto bene. Eva Marisaldi è alla Casa Goldoni. Francesco Vezzoli, tra Cosmé Tura, Antonio Canova, i fondi oro veneziani, mostra la raffinatezza tessile e fabbrile nell’iconografia contemporanea del proprio immaginario. Chiara Dynys è a Ca’ Pesaro. Antonio Geusa colma il gap di una Biennale antitecnologica portando da TAEX una mostra d’arte digitale e immersiva con teste importanti come Francesco D’Isa. Il sempre meno italiano e più americano Federico Solmi se ne esce a Palazzo Donà delle Rose con una mega personale che mostra i muscoli di un immaginario serissimo portato avanti in anni di ricerca. E si potrebbe andare avanti ancora per molto.
Cosa si può fare
È stato dopo la pandemia e i numerosi lockdown che gli artisti italiani sono finalmente ritornati ad avere mostre personali nei musei del proprio Paese, dopo anni di basement, di project room e di progetti alternativi, tra associazioni e gallerie, in una competizione spesso impari con i colleghi della stessa età provenienti dall’estero. Il Padiglione Italia è uscito dalla logica della collettiva per presentare progetti in grado di competere sulla piattaforma globale. Qualche passo in avanti dunque si è fatto, ma c’è ancora molto da fare in termini di promozione e sostegno agli artisti del nostro Paese. Intensificare la programmazione in termini di mostre personali e progetti di ampio respiro ad artisti midcareer, implementare i bandi e renderli più accessibili anche a chi non gode di grossi network e risorse economiche o sostenitori ingenti, promuovere progetti di residenza e di scambio con istituzioni all’estero e visiting con curatori internazionali. Perché questi ultimi non pensino sempre all’Italia come a una terra di nostalgia, tesa a maneggiare il passato, di vespe, di dolci vite e di amarcord. Gli artisti italiani sono vivissimi e bravi. Peccato che molto spesso, e non da oggi, alla Biennale rappresentino altri paesi, probabilmente più furbi di noi.
Santa Nastro
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