Rituali indigeni dall’Oceania nella nuova mostra da Ocean Space a Venezia

“Sono le storie a far girare il mondo”. Le opere delle artiste indigene Latai Taumoepeau ed Elisapeta Hinemoa Heta chiedono lo stop allo sfruttamento degli oceani, attraverso un recupero di liturgie tradizionali e legami ancestrali

Sono oltre 14mila i chilometri che separano Venezia dalla Regione autonoma di Bouganville, in Papua Nuova Guinea. Da qui proviene l’artista Taloi Havini, oggi nelle eccezionali vesti di curatrice della nuova mostra – nata da una collaborazione tra TBA21 – Academy e le OGR di Torino – allestita negli spazi sconsacrati della Chiesa di San Lorenzo a Venezia. Due artiste indigene dell’Oceania, la tongana Latai Taumoepeau e la māori Elisapeta Hinemoa Heta, sono state invitate a ripensare gli ambienti dalle barocche rimembranze della chiesa veneziana, e lo fanno con due installazioni site-specific e performabili che hanno il merito di accorciare le distanze e avvicinare i cuori. 

Elisapeta Hinemoa Heta, The Body of Wainuiātea, 2024, Re-Stor(y)ing Oceania, installation view at Ocean Space, Venezia. Photo Giacomo Cosua
Elisapeta Hinemoa Heta, The Body of Wainuiātea, 2024, Re-Stor(y)ing Oceania, installation view at Ocean Space, Venezia. Photo Giacomo Cosua

La mostra “Re-Stor(y)ing Oceania” a Venezia

Il titolo della mostra – Re-Stor(y)ing Oceania – gioca sull’ambiguità, accostando le necessità di cura e “restauro” di un ambiente così delicato come quello degli atolli oceanici e le tante possibilità che si aprono con la loro narrazione: come spiega la curatrice “sono le storie a far girare il mondo”. A legare le isole del Pacifico e quelle della laguna veneziana, oltre alla loro intrinseca natura anfibia, è la minaccia incombente dell’innalzamento del livello del mare: se nelle prime sta costringendo gli abitanti a migrare verso terreni più elevati e asciutti, nelle seconde renderà presto necessario attivare il MOSE quasi perennemente (con tutti i relativi ed elevatissimi costi) fino a quando anche questo non basterà più. 

latai taumoepeau deep communion sung in minor 2024 re storying oceania installation view at ocean space venice photo giacomo cosua 1 Rituali indigeni dall’Oceania nella nuova mostra da Ocean Space a Venezia
Latai Taumoepeau, Deep Communion sung in minor, 2024, Re-Stor(y)ing Oceania, installation view at Ocean Space, Venezia. Photo Giacomo Cosua

Il rituale di Latai Taumoepeau da Ocean Space

Il rapporto degli indigeni con le acque è tuttavia segnato da profondo rispetto e sensibilità, soprattutto a contrasto con le pratiche di sfruttamento ed estrazione mineraria nel Pacifico che tuttora si fanno testimoni di una gravosa eredità coloniale. Nel primo ambiente della Chiesa, Latai Taumoepeau risponde a queste problematiche con l’opera Deep Comunion sung in minor (ArchipelaGO, THIS IS NOT A DRILL): si tratta di un’installazione sonora immersiva costituita da sedici piattaforme su un pavimento specchiante (che simula le acque), altrettante pagaie e altoparlanti. Il pubblico è invitato ad attivare l’installazione, pagaiando e quindi determinando l’intensità e la variazione dei suoni riprodotti dagli altoparlanti. Quando tutte le piattaforme sono occupate e attivate, l’opera assume una dimensione rituale e collettiva, generando una polifonia che prende la forma di un canto in onore di Moana (l’oceano). Protagonista è quindi il corpo e i suoi movimenti: l’artista e la curatrice, infatti, sottolineano l’idea di “fare lo spazio” più che di abitarlo o esplorarlo. Il corpo è il mezzo attraverso il quale possiamo generare lo spazio e renderlo un luogo di attività, consapevolezza, responsabilità: “l’oceano – spiega Taumoepeau – è un antenato che dobbiamo preservare e rispettare. Mi piace l’idea che la danza liturgica possa provocare sudore e lacrime, qualcosa che possiamo offrire all’altare della Chiesa”.

L’installazione collettiva di Elisapeta Hinemoa Heta

Quello dell’offerta è un tema che ricorre anche nell’opera, ospitata nell’ambiente adiacente, di Elisapeta Hinemoa Heta: su una piattaforma di mattoni di terra e sotto una volta in tessuto le cui pieghe evocano i dodici livelli del cielo, sedici sedute sono disposte a cerchio e orientate secondo i punti cardinali. Completano l’opera un karanga (un appello cerimoniale riprodotto tre volte al giorno in onore di Moana) e dei vasi di zucca intagliata contenenti olio di cocco profumato, appoggiati ai piedi dell’altare. Nel realizzare The Body of Wainuiātea, l’artista Elisapeta Hinemoa Heta ha voluto creare uno spazio di condivisione, in cui il pubblico è invitato a entrare per connettersi alle storie ancestrali, al proprio passato e a quello degli altri, generando una dimensione in cui personale e collettivo sono osmotici e intrecciati. 

Alberto Villa

Durante i giorni di inaugurazione della 60. Biennale Arte di Venezia, le due opere saranno attivate da performance aperte al pubblico.

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Alberto Villa

Alberto Villa

Nato in provincia di Milano sul finire del 2000, si occupa di arte contemporanea scrivendo per magazine di settore e curando mostre. Si laurea in Economia e Management per l'Arte all'Università Bocconi con una tesi sulle produzioni in vetro di…

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