60 Biennali di Venezia ed io sono ancora straniero. Racconto e pagelle di Pino Boresta
L’arte è scambio continuo di significati ed esperienza per il mondo. La platea della Biennale è riuscita nell’edizione curata da Pedrosa in questo intento? Secondo Boresta ha almeno tentato di farlo
Anche quest’anno, come ogni due anni non ho trovato la forza per rinunciare al rito espiatorio e sacrificale della Biennale di Venezia nei suoi giorni di preopening, per amore dell’arte, ma anche perché avevo un lavoro da fare, che andava fatto ed ho fatto.
Pino Boresta alla Biennale di Venezia
Decidiamo quindi di partire mercoledì, già troppo tardi per una pura e totale immersione nel gigantesco flusso estetico ed informativo della Biennale d’arte più importante del mondo. Parcheggiamo lo sgangherato ma utilissimo camper ereditato da mio padre a Mestre e con tre fermate di autobus arriviamo a Venezia, dove carichi come muli prendiamo un battello strapieno all’inverosimile che per solo quattro fermate (ma fosse stata anche una sola) paghiamo la folle cifra di quasi 20 euro (in realtà 9 euro a testa). Scendiamo a Rialto e li vicino prendiamo possesso del grazioso miniappartamento che un’amica ci ha affittato ad un prezzo di favore. Ormai è tardi e non facciamo in tempo a raggiungere le Corderie per cui ci cambiamo ed usciamo per vedere cosa riusciamo a vedere lì intorno. Scorgiamo un via vai di persone difronte ad un edificio che scopriamo essere il Padiglione del Montenegro, dove è appena iniziato il liturgico rituale di un vernissage. Ed è proprio qui, appena arrivati, che faremo l’incontro più importante di tutta la gita, quello che mi auspicavo da tempo. Il giorno seguente ci alziamo con calma ed in un modestissimo bar, facciamo la colazione più cara che abbia mai pagato per due miseri cappuccini e due cornetti, ben 16 euro. Bisogna stare allerta, questi sono i rischi di una delle più belle città del mondo. Ricordo accora quella volta che il Comune di Venezia ebbe il coraggio di farmi pagare 1200 euro per un eccesso di velocità superiore di soli 10 Km/h sul Ponte della Libertà.
All’epoca non riuscivamo a mettere insieme il pranzo con la cena e fu un mio caro amico d’infanzia che mi aiutò a pagarla.
La visita di Pino Boresta ai Giardini della Biennale
Ma torniamo alla kermesse più importante del mondo dell’arte, dobbiamo sbrigarci perché i Giardini della Biennale di Venezia, dove si ergono i Padiglioni nazionali, sono lì che mi aspettano. Sono, infatti questi (insieme l’Arsenale) i miei templi, i miei “Sancta Sanctorum” necessari dove riscattare il mio stato d’artista sempre in fuori gioco ed a perenne rischio di cartellino rosso e conseguente espulsione dal capo di gara. È lì, che riscatterò il mio stato d’artista emarginato e procederò alla purificazione ed espiazione dei miei peccati di outsider tra gli outsider. Ho un lavoro da fare e anche quest’anno non mi sottrarrò dal mio dovere di artista, realmente, fuori dagli schemi. Decidiamo di andare a piedi perché non siamo lontani ed il risparmio non è poco. Arriviamo ci mettiamo in coda alla lunghissima fila e quindi riusciamo finalmente ad entrare. E ora via: A caccia dell’opera differente da tutte le altre, qualità che spesso va scapito della densità e dello spessore emotivo dell’opera stessa.
A caccia dell’esperienza inaspettata, senza porci limiti e confini di sorta perché è questo quello che riteniamo sia il compito dell’arte contemporanea.
A caccia dell’opera d’arte che non ci vuole più semplici spettatori, servi di scena, ma bensì primi attori. Perché così da tempo è stato decretato da successo dell’Arte Relazionale, che ha sdoganato la passività dello spettatore.
L’arte relazionale alla Biennale di Venezia?
A caccia dell’opera più originale di tutta la manifestazione, opera dell’artista che in genere non è mai quello che vince l’ambito Leone d’oro. Ma questo non è un problema visto che per alcuni, se hanno la tenacia di vivere a lungo, esistono comunque i Leoni d’oro alla carriera.
A caccia dell’opera che più delle altre mette il dito nelle piaghe del mondo, non limitandosi ad indicare il punto ma affondando l’indice il più possibile nella ferita, perché solo nella percezione reale di una empatica sofferenza di riflesso possiamo capirne il dolore. E più che mai in questa edizione visto il titolo “Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere”
Che ha voluto il suo curatore Adriano Pedrosa.
A caccia dell’opera più inusuale, che correndo presi dal vortice compulsivo di perdersi qualcosa, capiremo solo in seguito, come spesso capita anche me.
A caccia dell’opera che ci illuda che anche se un mondo migliore non sarà facile raggiugerlo, perlomeno c’è qualcuno che ha il coraggio di indicare il problema. Questo perché l’arte spesso è dissenso, ma tutti quelli che lo praticano non possono essere premiati, ed allora accontentiamoci di scoprire chi ci è riuscito. Ed io ancora straniero.
Questo perché come ci dice Concetto Pozzati, il rischio è che l’arte diventi solo flusso informativo e cosmesi estetica del mondo per colpa di una società arrogante e di coloro che hanno il fine ultimo di utilizzare l’arte a soli fini economici finanziari. Bisognerebbe spiegare, invece che l’arte è scambio continuo di significati ed esperienza per il mondo. Non so se la platea della Biennale sia questa volta più di altre riuscita in questo intento ma la mia impressione e che perlomeno abbiano tentato di farlo.
L’azione di Pino Boresta a Venezia
Ed allora giù la maschera, non la mia che ho seminato ovunque per Venezia, ma quella del carnevale veneziano e la vostra che nasconde i vostri veri pensieri, perciò non sospendete il giudizio e dite realmente cosa pensate di questa Biennale; è riuscita nel suo intento? Cosa vi è piaciuto?
Io quello che dovevo fare l’ho fatto:
- Attaccare qualche altro mio adesivo, possibilmente accanto a quello di Julian Assange.
- Recuperare gli adesivi attaccati due prima.
- Fotografare uno dei miei adesivi dove qualcuno ha scritto qualcosa.
- Rettificare qualche manifesto di eventi in concomitanza con la Biennale.
- Abbandonare qualche libro del mio progetto L.C.A. Libri in Cerca d’Autore.
- Farmi una foto davanti al padiglione di Israele chiuso, la cui decisione mi ricorda quella di uno dei miei Testamenti esposti per la prima volta nel 2003 al MLAC (Museo Laboratori dell’Università di Roma La Sapienza) che dice così: “Questo quadro dovrà considerarsi opera d’arte solo quando Ebrei e Palestinesi smetteranno di uccidersi”.
La pagella di Pino Boresta
Quello che dovevo dire l’ho detto e lo concludo qui:
- Il Padiglione migliore quello della Polonia a seguire quello francese e quello tedesco.
- Il quadro più bello della mostra internazionale al padiglione centrale un ritratto dell’artista indonesiano Kusuma Affandi.
- Il lavoro più bello dell’Arsenale “The Mapping Journey Project” dell’artista e studiosa franco-marocchina Bouchra Khalili.
- Eventi collaterali più interessanti: Madang, 30th Anniversary Archive Exhibition of the Gwangju Biennale e All African Peoples’ Consulate dell’artista Dread Scott.
- Mostra in concomitanza alla Biennale quella di Willem de Kooning all’Accademia di Venezia.
Ora tocca voi assegnare i vostri Leoni d’oro.
Pino Boresta
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