Cosa vedere al festival Fotografia Europea 2024 di Reggio Emilia
Sono 22 le mostre del percorso ufficiale di Fotografia Europea 2024, cui si aggiungono centinaia di altre esposizioni del circuito off. In attesa delle celebrazioni per i vent’anni del festival, Reggio Emilia dimostra anche quest’anno l’impegno a favore della fotografia e della cultura
“Se potessi parlare alla natura, che cosa le diresti?”. La domanda campeggia su un pannello che consente ai visitatori di Fotografia Europea di lasciare un messaggio che andrà a creare un archivio di pensieri dedicati, appunto, alla natura. L’edizione 2024 si concentra sul rapporto tra l’essere umano e il sistema che lo circonda e il tema è reso esplicito dal titolo della rassegna, tratto da un frammento di Eraclito: “La natura ama nascondersi”. Come sempre, Fotografia Europea espone nelle sue sedi progetti rappresentativi del Vecchio Continente – dal reportage alla fotografia di ricerca – realizzati sia da autori storici sia da giovanissimi che si affacciano sull’universo degli scatti e che quest’anno vengono ospitati nel Palazzo dei Musei.
Fotografare le nuvole. La mostra nei chiostri di San Pietro
Il vasto complesso dei chiostri di San Pietro è la sede più ricca di Fotografia Europea, ospitando ben dieci mostre. Quella più poetica, a nostro avviso, raduna gli esiti ottenuti volgendo l’obiettivo verso il cielo: Sky Album, esposizione ideata dall’Archive of Modern Conflict, passa in rassegna 150 anni di tentativi messi in atto per catturare la forma delle nuvole. Dai primi paesaggi con nuvole, possibili da immortalare solo dopo l’avvento di pellicole particolarmente sensibili, il percorso passa attraverso le catalogazioni scientifiche, le ossessioni dei fotografi che hanno sistematicamente scattato immagini di nembi, cumuli & co., fino alle stampe ottenute durante le ricognizioni aeree durante la Seconda guerra mondiale e alle ricerche contemporanee.
Il cambiamento climatico in fotografia
Tra i nuclei monografici, sempre ai chiostri di San Pietro, spicca quello di Helen Sear che spesso si concentra sugli alberi, la cui essenza è resa mediante fotografie dal tono concettuale e con scatti multipli che superano i limiti della lente singola della fotocamera. Gigantesche lightbox avvolgono i visitatori nelle atmosfere magiche e tragiche del Delta del Gange grazie al progetto di Arko Datto che indaga, con fotografie dai toni saturi, una delle aree considerate epicentro del cambiamento climatico. La stessa tematica sta alla base di Permafrost, la serie di Natalya Saprunovasulla Lapponia e sul Canada settentrionale, dove le popolazioni devono affrontare il progressivo scioglimento del permafrost, con il conseguente rilascio di grandi quantità di gas serra. Ancora di catastrofi parla Matteo De Mayda con un’installazione che fa riflettere su cause e conseguenze della tempesta Vaia, la quale nel 2018 ha devastato i boschi del Nord-Est: se è vero che la natura ama nascondersi, sempre più spesso essa si manifesta in modi distruttivi, reagendo violentemente al nostro impatto sul pianeta. Ai grandi eventi, Terri Weifenbach preferisce invece l’osservazione delle piccole cose, su cui tuttavia si riflettono i fenomeni atmosferici. Completano il percorso le mostre di Yvonne Venegas, Jo Ractliffe, Lisa Barnard, Bruno Serralongue.
Le mostre di Palazzo da Mosto a Reggio Emilia
Altra tappa irrinunciabile è Palazzo da Mosto, dove vanno in scena, tra le altre, due esposizioni di grande impatto estetico ed emotivo: si tratta di Day by Day di Karim El Maktafi e di Shifters di Marta Bogdańska. Al primo, giovane italo-marocchino, Fotografia Europea ha commissionato un racconto dell’Appennino emiliano: El Maktafi ha così realizzato un reportage che inserisce umani, animali e vegetali in un paesaggio che fa ancora sperare nella possibilità di una convivenza sostenibile tra tutti i viventi. Bogdańska si concentra invece sullo sfruttamento degli animali nel ruolo di spia, soprattutto durante le guerre novecentesche, dando così voce a piccioni fotografi, delfini spia, lucertole nucleari, cavalli con maschere antigas. Insomma, un invito a guardare oltre l’orizzonte antropocentrico.
Luigi Ghirri in mostra a Palazzo dei Musei
Non potendo essere esaustivi, viste le numerose esposizioni del festival, consigliamo infine la visita a Palazzo dei Musei, dove è allestita Luigi Ghirri. Zone di passaggio che ovviamente prende il via dalle ambientazioni notturne del fotografo reggiano – la cui presenza è quasi un obbligo morale per ogni edizione del festival – e poi si amplia grazie agli scatti di autori come Mario Airò, Paola De Pietri, Armin Linke e altri che hanno rappresentato il rapporto tra buio e luce, quindi le improvvise illuminazioni generate da lampi, fulmini, lucciole, fuochi artificiali.
Marta Santacatterina
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