“Curare le mostre non può essere neutrale”. Intervista al curatore Arnold Braho
Curatore indipendente e assistente di Marco Scotini, Arnold Braho ci racconta la sua visione politica della curatela, i suoi punti di riferimento e i suoi progetti
Arnold Braho, classe 1993, vive a Milano muovendosi tra il ruolo di assistente curatore e l’attività di curatore indipendente. Oltre a scrivere come contributor per varie riviste di settore è co-fondatore della piattaforma curatoriale Sa.turn (tra editoria, arti visive e musica) e del collettivo Provinciale11. Come curatore indipendente ha recentemente presentato Racconti dalle Terre Piumate, mostra personale di Pietro Fachini da ArtNoble Gallery a Milano (2024), Não contes à mãe, mostra personale di Delio Jasse presso la Zet Gallery di Braga in Portogallo (2023) e la collettiva Fare i conti con il rurale alla Fondazione Arsenale di Iseo (2023). Come assistente curatore, invece, ha preso parte a diversi progetti internazionali curati da Marco Scotini, collaborando con varie istituzioni come il Center for Italian Modern Art (NYC), la 17. Biennale di Istanbul, Villa Arson (Nizza, FR), FM Centro per l’Arte Contemporanea (MI) e il MAXXI di Roma.
Intervista ad Arnold Braho
Qual è stato il tuo percorso di studi?
Ho iniziato studiando storia dell’arte a Venezia, per poi proseguire con il biennio in Arti Visive e Studi Curatoriali alla NABA di Milano. Tuttavia, ciò che mi ha avvicinato all’arte è la musica e le sperimentazioni post-rock e shoegaze. Come curatore mi divido tra progetti indipendenti con giovani artisti, i collettivi Sa.turn e Provinciale11 di cui faccio parte e il mio ruolo da assistente di Marco Scotini.
Che peso (e valore) ha nella tua carriera da curatore indipendente il ruolo da assistente curatore?
È innegabile come il lavoro con Marco Scotini contribuisca alla formulazione del mio pensiero teorico, permettendomi di poter approfondire figure straordinarie, come quella di Nanni Balestrini (tra azione politica e artistica) che abbiamo recentemente portato presso il Center for Italian Modern Art di NYC, presentando le relazioni dell’artista con grandi esponenti della musica del tempo come Luigi Nono e Demetrio Stratos.
In occasione della 60. Biennale di Venezia sei stato assistente curatore per il progetto Disobedience Archive di Marco Scotini. Di che cosa si tratta?
Credo che Disobedience Archive sia uno dei progetti espositivi più radicali degli ultimi venti anni. Ideato da Marco Scotini nel 2005, a Berlino, attualmente conta 15 edizioni assumendo un formato diverso a ogni sua formulazione. I materiali d’archivio che vengono presentati hanno a che fare con la disobbedienza e le lotte di liberazione, e vanno dalle forze dirompenti degli Anni Settanta fino ai giorni nostri. Come assistente di progetto partecipo a Disobedience Archivedalle due ultime edizioni, tenutesi alla 17. Biennale di Istanbul nel 2022 e alla Beta Biennale di Timișoara, sempre nello stesso anno.
E com’è stato?
In entrambe le versioni, il fil rouge è stato la scuola: in Turchia, per esempio, il progetto espositivo disegnato da Can Altay – e allestito in una scuola femminile greca, ormai fatiscente a causa delle politiche nazionalistiche di Erdogan – si ispirava al cinema pedagogico di Jean-Luc Godard, analizzando la pedagogia radicale, il femminismo e l’ecologia. Quest’anno il progetto esposto alla 60. Biennale d’Arte di Venezia tratta il tema dell’attivismo della diaspora e della disobbedienza di genere. Il mio ruolo, in questo caso, è stato partecipare alla ricerca di materiali filmici e seguire gli artisti invitati.
Parlando dell’attività da curatore indipendente: qual è la tua idea di curatela? Ci sono temi che prediligi?
Nel costruire una mostra ci si trova sempre di fronte a un doppio sfasamento dello spazio e del tempo (Okwui Envezor, The Black Box), ecco: è importante riconoscere da che punto si guarda quell’idea di tempo e di spazio, tanto quanto di storia. Nella realizzazione di una mostra potrei definire il mio approccio “drammaturgico” (riprendendo Harald Szeemann e il collettivo curatoriale croato WHW), in quanto pongo al centro la performatività della narrazione, del processo, dell’uso dello spazio, della co-presenza del pubblico e dei ruoli messi in gioco, riconoscendo la non-neutralità dell’esposizione.
In che senso?
Sulla linea di Brecht, credo che la curatela possa essere intesa come una spia, una modalità per cacciare indizi e collocare l’opera e il pubblico in una battaglia terribilmente complessa (e non necessariamente vincente) contro le condizioni ideologiche e politiche dominanti. La mia posizione, per esempio, tenta di mantenere (o recuperare) una prospettiva decoloniale del Sud Globale, dando voce a una serie di reti sociali e politiche culturali che si basano sulla pluralità del discorso.
Parlaci dei tuoi progetti recenti
Tra i principali progetti curatoriali che ho presentato nell’ultimo anno c’è la mostra personale Não contes à mãe di Delio Jasse, tenutasi presso Zet Gallery a Braga in Portogallo, che ho curato in collaborazione con Helena Mendes Pereira. Presentando le più recenti opere dell’artista abbiamo decostruito la visione modernista, unidirezionale e gerarchica della storia coloniale portoghese in Mozambico e Angola, lasciando una domanda aperta: è possibile concepire l’immagine fotografica come dispositivo attraverso cui rimpossessarsi delle voci soppresse dal passato coloniale? Inoltre, con il collettivo Provinciale11 abbiamo inaugurato il primo ciclo di residenze d’artista, in collaborazione con il comune di Mulazzo in Lunigiana (Toscana), il supporto di Toscanaincontemporanea2024 e della Cassa di Risparmio di Carrara. Infine, insieme a Paola Shiamtani curo specchiospecchio, una vetrina in Porta Genova gentilmente concessa da Studio SBT, che attiviamo mediante modalità completamente anarchiche.
Di recente hai iniziato a collaborare con ArtNoble Gallery a Milano, dove a febbraio hai curato la mostra personale di Pietro Fachini Racconti dalle Terre Piumate e a giugno proporrai una collettiva con Sa.turn.
Con Racconti dalle Terre Piumate, prima mostra personale di Pietro Fachini presentata a marzo 2024 a Milano, il tentativo era quello di servirsi dell’espediente narrativo della fiaba per raccontare la vita all’interno di un bosco di sughere in Sardegna, tra microstorie, tracce e memorie fatte di apparizioni, allegorie, suggestioni magiche ma anche di ferocia. Invece, il secondo progetto che proporrò da ArtNoble Gallery inaugurerà a giugno 2024 e lo curerò con il collettivo Sa.turn, di cui faccio parte insieme a Stefano De Gregori, Giordano Cruciani e Camilla Cassinari. Fondato nel 2021 a Verona grazie anche al supporto di Stefano Pizzamiglio, Sa.turn nasce con lo scopo di proporre progetti interdisciplinari tra editoria, arti visive, performance e musica. La mostra in questione si intitolerà Theater of Dis-Operations e presenterà processi e operazioni artistiche capaci di offrire nuove strategie di sabotaggio della violenza, attraverso un repertorio di dispositivi di vario genere e atti potenziali.
Caterina Angelucci
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati