Il contenutismo disinnesca il contenuto. La distanza tra politiche culturali e arte

La politica istituzionale non è interessata alla funzione dell’arte ma ai contenitori. Mentre il contenutismo svuota le opere della loro dimensione politica e si lascia fagocitare e digerire dal mercato

Un giorno, mentre ero al capezzale di una donna morta che mi era stata e che mi era ancora molto cara, mi sono ritrovato, gli occhi fissi sulla tragica tempia, a cercare meccanicamente la successione, la degradazione dei colori che la morte aveva appena imposto a quel volto immobile. Tonalità di blu, di giallo, di grigio, cos’altro? Ecco fino a che punto ero preso dalle mie ricerche” (Claude Monet, cit. in Carole Talon-HugonL’arte sotto controllo. Nuova agenda sociale e censure militanti, John & Levi, Milano 2020, p. 43). “Vogliamo impostare il discorso della pittura in funzione rivoluzionaria (…) domandiamo non una pittura per la pittura (…) ma pittura come relazione comune, comune modo di identificarsi (…) solo nel rischio e non nel calcolo e nell’ironia sta l’unica possibilità di relazione” (Ernesto Treccani ed Ennio MorlottiManifesto di scultori e pittori [1943], in Alessandro Del Puppo, Banfi e la moralità della pittura, in Egemonia e consenso. Ideologie visive nell’arte italiana del Novecento, Quodlibet, Macerata 2019, p. 65).

Rischi e rivoluzione nell’arte

Elemento del rischio per l’artista, mettere a rischio, rischiare tutto: “in quel momento di interna decisione il pittore rischia tutto se stesso” (Renato GuttusoPaura della pittura, “Prospettiva”, 1942, 25-26). E nesso di questo elemento con la relazione, con la pratica e la teoria della relazione, con la relazione come base esistenziale.

La politica culturale agisce nei confronti dell’arte e della letteratura come la norma giuridica nei confronti della vita morale (…) Si vuole che l’arte (o la moralità) siano un ‘fatto’, qualcosa di sicuramente e gratuitamente fruibile; mentre l’arte, sotto qualsiasi forma, esiste solo a condizione chelo spettatore si impegni totalmente a farla essere; paghi, cioè, di persona” (Franco FortiniQuale arte? Quale comunismo? risposta a un’inchiesta di “Nuovi argomenti”, 1952), in idem, Dieci inverni 1947-1957. Contributi ad un discorso socialista, De Donato, Bari 1973, pp. 139-140, pubbl. anche in Alessandro Del Puppo, op. cit., p. 73). 

Claude Monet, Camille Monet sul letto di morte, 1879_Musèe d'Orsay, Parigi
Claude Monet, Camille Monet sul letto di morte, 1879_Musèe d’Orsay, Parigi

Politiche culturali e artistiche

Distanza tra la politica culturale e artistica, l’immagine dunque dell’arte e della cultura proposta – e imposta – dalla politica istituzionale, concentrata sulle scatole, sui contenitori, sugli oggetti e sui prodotti, da promuovere veicolare pubblicizzare comunicare, e l’arte come-realmente-è (sempre meno), come funziona (o come disfunziona…): la sua richiesta cioè di reciprocità, di rapporto con l’altro. Che deve impegnarsi “totalmente a farla essere”, pagando e rischiando direttamente, in prima persona: altrimenti, semplicemente, l’arte non è.

L’arte sociale è un’arte di contenuti, dove conta ciò che viene mostrato, suggerito o simbolizzato: la sorte dei migranti, le molestie sessuali, il disprezzo per i neri o il disastro ecologico. Per ‘contenuto’ si intende il soggetto, in opposizione alla forma, allo stile, alle qualità ‘aspettuali’ di ciò che viene mostrato. Per questo tipo di arte, l’efficacia non risiede nel come ma nel cosa” (Carole Talon-Hugon, op. cit., p. 64).Più l’opera – e il suo autore – propongono e impongono la propria dimensione ‘politica’, meno sono autenticamente politici; più l’opera e il suo autore si concentrano sullo stile e sul linguaggio, più risultano effettivamente politici. 

La dimensione politica nell’arte

Inoltre, l’opera d’arte dominata attualmente dal contenutismo non è affatto in opposizione rispetto all’opera dominata dal profitto/risultato/performance: ne è invece la naturale conseguenza. Mi spiego meglio. Il fenomeno per cui tra fine Anni Settanta e inizio Anni Ottanta (in coincidenza non casuale con l’inizio del postmoderno nell’arte visiva: mentre negli altri territori, letteratura architettura cinema, esso va posizionato almeno un decennio prima…) l’opera si orienta esplicitamente al consenso – anche mercantile e monetario – del pubblico di spettatori/collezionisti, non necessariamente colti e aggiornati ma certamente danarosi e potenti, rappresenta una mutazione sostanziale nel senso e nel funzionamento dell’opera stessa. 
Questo ‘nuovo’ lavoro, infatti, che nasce quarant’anni fa circa, non è minimamente interessato alla crescita dello spettatore con cui entra in relazione, ma solo (al massimo) al benessere proprio e del proprio autore/autrice. Questo processo risulta ancora più efficace, e dannoso, dal momento che il lavoro si camuffa con i linguaggi e gli orpelli e le apparenze del passato recente (espressionista-astratto, popminimal, concettuale, postminimal, concettuale, poverista, ecc.). 
In questo senso, il contenutismo non resiste a tale processo, ma ne è semplicemente l’ultima evenienza. L’opera contenutista, cioè, mette a regime le ragioni politiche e movimentiste; una sorta di ultima frontiera del sistema che tutto fagocita e tutto digerisce, mentre dichiara il cosa (cioè il problema, il tema), in realtà lo tiene a bada e lo disinnesca.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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