Inizia un progetto d’arte in una azienda vinicola nel punto più a sud della Sicilia
Ecco il progetto “Stati di Agitazione Creativa”. Alla guida dell’iniziativa di valorizzazione del Val di Noto c’è una giovane imprenditrice siciliana, che ha pensato a una piccola rivoluzione culturale per la sua terra. L’intervista
Nel Val di Noto – e più precisamente nella Tenuta vitivinicola Barone Sergio – ha appena preso avvio il progetto Stati di Agitazione Creativa. L’azienda, tra i maggiori produttori di vino in questa zona, ha dato vita a un’iniziativa artistica per valorizzare i muri dell’antica masseria. A capo di tutto c’è la giovane imprenditrice Luigia Sergio, che dopo dieci anni di lavoro a Milano, è ritornata nella sua Pachino e ha in mente una piccola rivoluzione culturale che ha l’obiettivo di coinvolgere anche i comuni limitrofi di Porto Palo, Noto e Rosolini. L’abbiamo intervistata per farci raccontare tutto su questo suo progetto. Dopo anni di esperienza in campo pubblicitario, l’imprenditrice è tornata a Pachino, in Sicilia, dove ha subito sviluppato una forte affinità con il territorio e con l’azienda vinicola di famiglia. “Il settore del vino, con i suoi canoni comunicativi tradizionali, ha rappresentato per me una sfida stimolante nel reinterpretare il marchio Barone Sergio in modo innovativo, riflettendo il cambiamento generazionale tra mio padre, me, e mia sorella Angela. La passione per questa zona potrebbe essere nel mio DNA, date le mie origini”.
L’intervista a Luigia Sergio
Cominciamo con il contesto: com’è il Val di Noto?
Questa è una di quelle zone di turismo alto; è un luogo con un’energia molto particolare. Il motivo è forse l’estrema posizione a Sud: ci troviamo addirittura al di sotto del parallelo che passa per Tunisi! Ha una bellissima grinta, con una promessa di crescita, secondo me. È un contesto molto vivace, e penso sia come una “pagina bianca” su cui scrivere quello che si vuole.
Dopo dieci anni come producer per l’Agenzia Utopia M&C Saatchi di Milano, ti sei ritrasferita a Noto. Perché questa scelta?
Diciotto anni fa ho fatto la valigia e sono andata via dalla Sicilia, approdando all’agenzia dopo gli studi in comunicazione. È stata per me una preziosissima occasione, che mi ha trasferito una certa mentalità creativa. Posso dire di aver assunto una forma mentis molto curiosa: quando si fa questo mestiere, è necessario guardarsi intorno, capire ogni giorno quello che succede a livello artistico e creativo.
Quando sono tornata qui, durante il Covid, ho cominciato ad occuparmi degli eventi e dell’accoglienza dell’azienda, allora ben poco sviluppata. I vini erano – e sono – buoni, ma mancava tutta l’attività per accompagnarli e promuoverli, considerando che questa è una zona a fini turistici.
Il progetto Stati di Agitazione Creativa secondo Luigia Sergio
Come è nato il progetto artistico?
Tutto è nato come un gioco: abbiamo cominciato con il lavoro di Andrea Parisio, quando mi hanno chiesto una mano per il Festival del muralismo a Pachino. Grazie a questa occasione sono entrata poi in contatto con l’artista Ligama, che aveva appena terminato un murales a Caltagirone. E da lì è nata l’idea di coinvolgerlo per dipingere qui, nella mia azienda, il primo muro. Nell’estate 2023 abbiamo organizzato una vera festa del muralismo.
Ho poi deciso di legare l’attività dell’artista alla comunicazione dell’azienda in modo duraturo: da questi murales, infatti, verranno prodotte le etichette per le nuove bottiglie. Tramite Andrea Parisio, ho anche conosciuto il Duo Amazonas. Con loro abbiamo voluto rappresentare qualcosa che avesse a che fare con le nostre tradizioni, creando un murales che ci riporta al passato. Con Buccio – un mio amico fotografo rientrato da Londra – abbiamo organizzato, nello stesso periodo, una mostra di street photography, all’interno della mia residenza a Pachino. E la cosa ha preso piede.
Perché hai scelto questo nome, Stati di agitazione creativa?
Prende il nome da alcune considerazioni che ho fatto con i miei collaboratori, tra cui Giovanni Cardillo, direttore artistico di Zancle Art Project e amico da una vita. Qui in azienda mi ha proposto di immaginare un percorso artistico strutturato e multidisciplinare; io ho subito visto la possibilità, in questa idea, di poter esprimere tutti i valori del territorio. Così è nato il programma vero e proprio: volevamo tutti un nome che suggerisse qualcosa che è in movimento, che è partito ma che non si ferma, anzi è solo all’inizio. Ci sono diversi case studies oggi che raccontano l’arte e il territorio, o il vino con l’arte. Noi abbiamo ripreso quell’idea, ma con un piccolo valore aggiunto, dando un’impostazione un po’ diversa dal classico binomio vino/arte.
Come mai sei partita proprio con la realizzazione dei murales?
La mia passione è sempre stata il muralismo: un’arte fruibile a tutti. Un muro non ha bisogno di far pagare il biglietto per essere visto. Sta alla singola persona che, se vuole, può fermarsi e guardarlo. È come se fosse un regalo.
Quali differenze pensi abbia il tuo progetto rispetto ad altri di residenza artistica, e perché lo definisci una “rivoluzione”? La differenza, o comunque, la peculiarità di questa residenza d’artista, sta nel fatto che noi cerchiamo autori che possano esprimere con il loro lavoro i valori dell’azienda e del territorio, nella maniera più visibile e contaminante possibile. Non abbiamo l’obiettivo di creare una collezione aziendale, come avviene invece in molti progetti analoghi. La nostra iniziativa è ancora allo stato embrionale, con molte occasioni e opportunità da sprigionare. La scelta degli artisti avviene di volta in volta; cerco gente che riesca ad abbracciare un tipo di mentalità più volta alla sperimentazione, riuscendo a percepire e raccontare i valori della terra locale. Vogliamo coinvolgere diverse arti espressive; il muralismo, come ho detto, è quello più vicino al mio modo di sentire, ma abbiamo comunque intenzione di spaziare su diverse discipline, che possano contaminarsi tra loro.
Che situazione hai trovato a Noto? È cambiata nel tempo?
Sono tornata a Noto inizialmente per lo smartworking dovuto al Covid. Dopo quell’esperienza, nel 2020 ho scelto di tornare in Sicilia. Non a Messina, dove abita la mia famiglia, ma proprio qui, a Noto. Sono tornata diverse volte nel corso degli anni e questo posto mi ha sempre attirata. Qui ho conosciuto una comunità molto forte, e ne ho compreso il grande potenziale. Una mia amica una volta mi disse: “Tu sei ferma in questo posto, ma è il mondo che viene qui da te.” E in un certo senso, è proprio vero. Siamo l’ultima “frontiera” dell’Italia; più a sud c’è solo il mare e poi l’Africa.
Il futuro del progetto Stati di Agitazione Creativa
Il progetto punta a espandersi in tutto il Comune di Noto, e in quelli limitrofi. Con quali strategie e strumenti pensi di operare per coinvolgere sempre di più la comunità?
Già facendo i primi murales, si è sparsa la voglia di progettare artisticamente e di sviluppare altri percorsi artistici. Siamo in una zona di frontiera, e spesso i comuni non parlano tra loro. Questo rende la cosa più complicata, ma con alcune persone ci stiamo già attivando per organizzare nuove iniziative. Il lavoro artistico non può che fare bene a tutta la comunità: partendo in piccolo, si può solo crescere. Ci sono già molte associazioni attive sul territorio, gruppi di persone che hanno molto a cuore la parte sociale e comunitaria: mettendo questa rete insieme, possono nascere tante nuove occasioni. C’è dunque un certo attivismo che va messo in rete; ci sono persone che remano dalla stessa parte, ma ancora non lo sanno.
Quali sono i tuoi obiettivi a lungo termine?
Riuscire a fare rete tra questi gruppi di interesse, trovando i finanziamenti per tutte le attività. E poi, incasellarle nel giusto modo, indirizzandole con progetti ben costruiti, e organizzando qualcosa a livello annuale che attiri l’interesse delle persone. Chi fa vino pensa solo a lungo termine: è una mentalità che ho ereditato, insita nel vignaiolo.
Alessia Tommasini
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