Il difficile mestiere dell’essere umani. Ritratto dell’artista Luca Ferrero
La ricerca di Ferrero si concentra sulle contraddizioni e i paradossi che caratterizzano l’essere umano
Ci sono opere che costringono a uno sforzo per mettere a fuoco ciò che si ha di fronte agli occhi. È il caso di Birdwatching di Luca Ferrero (Torino, 1995). Aguzzando la vista, quel groviglio nero su sfondo trasparente, apparentemente indistinto, inizia a prendere forma: i contorni rivelano le silhouette di ali d’uccello sovrapposte e mescolate, quasi i pennuti si fossero infranti contro quella superficie, simile a una barriera antirumore come se ne trovano lungo le tangenziali. Quei volatili, spiaccicati eppure elegantissimi, mi pare dicano molto sulla poetica di Ferrero. Le sue opere possono suscitare insieme attrazione e repulsione; il carattere residuale dei soggetti è mitigato da un’innata compostezza; la ripetizione, la stratificazione e l’accumulazione che si trovano in diversi lavori non prendono mai il sopravvento su un senso della composizione a tratti chirurgico. Tra questi opposti fa capolino un’ironia sottile e paradossale, attraverso la quale l’artista commenta alcune ossessioni della contemporaneità, per esempio il desiderio di lasciare un segno, a cui si contrappone l’inesorabile transitorietà delle cose, la loro consunzione. Ferrero sembra ricordarcelo quasi in ogni opera; ma per farlo, cerca sempre di adottare nuove forme, nuove strategie.
Intervista a Luca Ferrero
Le tue opere manifestano un’attrazione irresistibile per tutto ciò che è scarto e residuo, talvolta ai limiti del repellente, come nel caso della serie Birdwatching. Da dove arriva questo richiamo?
L’osservazione del mondo e le regole che lo compongono sono il primo passo della mia pratica artistica. Il centro della mia ricerca risiede in un linguaggio preso in prestito dalla realtà: frammenti estrapolati dal loro contesto di origine che vengono traslati con un’accezione, un punto di vista e una regola sfuggiti agli occhi di tutti. Come in un’operazione chirurgica, l’immagine viene esportata dalla realtà e trasfigurata, mantenendone ancora viva l’unicità.
Ad esempio?
Nella serie Birdwatching, i materiali impiegati sono fedeli per composizione e impiego a quelli realmente utilizzati. Così, il plexiglass fonoassorbente diventa il supporto della serie e gli stickers vinilici ad alte prestazioni adesive diventano il materiale per eccellenza che può comporre l’immagine. Il residuo – o in generale ciò che la contemporaneità offre quotidianamente – viene così elevato a materiale che posso utilizzare per il mio lavoro, per rielaborare una realtà che presenta nuove regole pronte per essere colte, senza bisogno di riscriverle, ma scoprendo ed evidenziando linguaggi ancora nascosti.
Ci sono diversi lavori che originano da processi di collaborazione (penso alla serie nata dalle bruciature di sigarette spente su carta), se non da una vera e propria delega (è il caso degli stacchi di affresco del ciclo 4Ever). Che peso ha nella tua pratica il coinvolgimento di altre persone? Si tratta di una pura contingenza oppure ha un valore specifico?
Gran parte di quello che faccio necessita del coinvolgimento e del confronto con le persone, un atto di fiducia, fino a delegare le eventuali mansioni per la realizzazione dell’opera, affidandomi così alle regole dei mestieri, dei materiali e della loro lavorazione. La mia successiva manipolazione è l’unico momento al di fuori di una metodologia rigorosa e consequenziale.
Nel lavoro delle bruciature di sigarette su carta, l’altro da me è colui che scandisce un gesto, un momento, il tempo dell’azione. Mentre nella serie 4Ever, l’opera presuppone un gesto che può essere attribuito a un singolo oppure a un istinto collettivo, nel quale ognuno riconosce i segni dell’altro, li sa leggere e riprodurre o è lui stesso il primo a compierli, lasciando così una traccia del proprio passaggio.
Trovo ci sia spesso un atteggiamento ironico nelle cose che fai: nella scelta dei titoli, per esempio, ma anche nella simulazione beffarda di una certa manualità. Pensi che questo aspetto – l’ironia – sia una cifra della tua ricerca artistica? Mi piace trattare certi temi con un’attitudine irriverente e altri con un profondo rispetto. Non credo che, oggi, ci si ponga ancora il problema della distinzione tra cultura alta e bassa: oramai persiste una scala valoriale puramente omogenea in cui ogni cosa è appiattita e posta allo stesso livello. Diventa quindi fondamentale per me dare al lavoro una stratificazione di significati, in cui certamente esiste una componente ironica, accompagnata però da molteplici modalità di comunicazione.
Ci sono tanti artisti che, proprio su questa specie di black humor, hanno fondato la loro poetica: rimanendo in Italia, i primi nomi che vengono in mente sono quelli di Maurizio Cattelan, Paola Pivi, Vedovamazzei… Sono autori a cui effettivamente guardi? In generale, quali sono i tuoi riferimenti, anche in ambito extra-artistico?
In linea generale, per una mia indole curiosa, ho un interesse aperto a 360 gradi, un’osservazione che passa anche attraverso ricerche distanti dalla mia, credo sia un ottimo antidoto per non stagnare nella propria bolla e aprire di un ulteriore grado il proprio punto di vista. Mi ritrovo spesso a considerare la storia dell’arte come un edificio in continua costruzione: ci sono opere che sono pilastri portanti, su cui poi si possono costruire ulteriori dialoghi, sviluppi, rilanci. Tra gli autori che citi, Maurizio Cattelan ha lasciato, per me, un segno nel modo di fare arte, mentre Paola Pivi e Vedovamazzei sono maestri che fanno parte di un immaginario fondamentale nella storia dell’arte contemporanea. Se dovessi far riferimento agli artisti che ritengo i miei caposaldi, rimanendo in Italia, direi senz’altro Lucio Fontana, Pino Pascali e Alighiero Boetti.
Come tanti coetanei (e non solo) che si cimentano con l’arte in Italia, hai un altro lavoro (sei consulente creativo per un’importante azienda di design); e in passato hai fatto l’assistente per altri artisti. Quanti sacrifici – se così si possono definire – fai per portare avanti il tuo percorso? Quali difficoltà stai incontrando?
Fare l’artista è un ruolo che nasce da un impulso e da una necessità, che ha come finalità il poter riconoscersi nella propria ricerca, potendo poi farne, idealmente, un vero e proprio mestiere. Naturale che sia difficile, si tratta di un ambito complesso, con un linguaggio sempre più articolato da comprendere. Bisogna però trovare una strategia, una visione altra, una alternativa per stare nella società. Sembrerà un po’ masochista, ma in fondo trovo sia giusto non essere subito riconosciuti, così da sviluppare una propria forma di “resistenza” e prendersi del tempo per riconoscere quale linea vale la pena mantenere nel proprio percorso.
Ti va di raccontare i progetti a cui stai lavorando?
Attualmente mi sto dedicando a una nuova serie di opere che si basa sull’appropriazione di immagini e contenuti di altri artisti, entrando sia a stretto contatto con archivi e fondazioni storiche sia collaborando direttamente con artisti contemporanei.
Saverio Verini
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