In che modo abitiamo le città? Arte e architettura in mostra al Madre di Napoli

Gucci e il Museo MADRE di Napoli collaborano per una mostra che, a partire dal genio architettonico di Aldo Loris Rossi, indagano le modalità di interazione tra spazio civico e antropico

La città nascondeva inclinazione pedagogica. Senza volerti insegnare nulla ti costringeva ad apprendere, fra banalità, segreti pregevoli…”.
Questo scriveva Enzo Striano ne Il resto di niente del 1986, rappresentando una Napoli transitoria al livello politico-sociale. Lo stesso titolo del romanzo, e il senso di scoperta di una possibile identificazione tra spazio ed emozione, sono stati presi in prestito anche per definire la mostra, ora allestita presso il MADRE – Museo d’Arte contemporanea Donnaregina a Napoli in collaborazione con Gucci, che vuole focalizzare l’attenzione sulle forme architettoniche come esperienze antropiche.

Aldo Loris Rossi in mostra al MADRE di Napoli

Il protagonista dell’esposizione è l’architetto e teorico napoletano Aldo Loris Rossi (Bisaccia, 1933 – Napoli, 2018), portavoce di un linguaggio radicale dagli Anni Sessanta dove architetture e urbanistica – partenopee per lo più – sono codici estetico-funzionali di un sistema futurista ed espressionista. L’estetica dei suoi progetti e i messaggi politici sottesi alle opere, suggeriscono visioni quasi utopistiche di un dialogo felice tra spazi e fruitori. Le forme architettoniche restituiscono immaginari che con determinazione si insinuano negli anfratti emotivi degli abitanti definendo le relazioni intime tra uomo e creato dall’uomo. Il disegno dal sapore fantascientifico di una città popolata da creazioni dalla bellezza quasi aliena ha ispirato copiosi artisti di oggi a immaginare mondi surreali in continuità con gli scenari proposti da Rossi. 

I progetti di Aldo Loris Rossi

La Casa del Portuale (1968-1980), nei suoi frammenti geometrici esposti, fa da trait d’union tra un linguaggio brutalista radicale e echi contemporanei scenografici in un immaginario rivisitato dallo scenario musicale o fotografico di una Napoli autentica ma verace. Altri scorci urbani sono estratti da disegni, sempre di Rossi, di grande complessità geometrica, che hanno indagato, spesso con l’architetto Donatella Mazzoleni, i sistemi abitativi come strutture formate da nuclei portanti e un proliferarsi composto di moduli espandibili. Le dinamiche connesse a una realtà extra-ordinaria coinvolgono idee su trasporti gonfiabili, unità abitative sviluppate secondo l’asse verticale, città auto-generatrici in un crescendo organico: le ‘utopie concrete’ di Rossi sono uno svezzamento alle idee avanguardiste post-belliche.

Il futurismo contemporaneo di Aldo Loris Rossi

Il dizionario estetico proposto dalla rosa di artisti e architetti esposti al Madre ricostruisce realtà sospese, un’eco di panorami bisbigliati da Fritz Lang e riemersi come promesse distopiche. L’interazione tra artisti lontani per generazione e provenienza si rafforza su affinità espressive dense di dottrine cosmiche, legate da ricerche e indagini su come le forme possano inseminare un’emozione. La questione attorno cui gravitano le proposte dei creativi in mostra consiste nei modi dell’abitare: la dimensione urbana in cui l’uomo è immerso è catalizzatrice di moti dell’anima che tanto possono cavalcare verso nuovi ideali utopici per un futuro 1984 o anche sono in grado di imprigionare gli esseri in una trappola spaziale. In un’alternanza di zampilli emotivi, il leitmotiv dell’esposizione è l’estensione fisica capace di condizionare i modi di vivere degli individui: laddove siano edifici si tratta di impalcature funzionali al fare, davanti a opere d’arte ci confrontiamo con dispositivi atti allo stimolo sensoriale di uno spazio vissuto per lo più collettivo.

Il resto di niente, installation view at museo Madre, Napoli, 2024. Photo Agnese Bedini e Alessandro Saletta, DSL STUDIO 1
Il resto di niente, installation view at museo Madre, Napoli, 2024. Photo Agnese Bedini e Alessandro Saletta, DSL STUDIO

Gli artisti in mostra al MADRE

Dominano l’ambiente, fin dall’ingresso, le sculture gonfiabili di Franco Mazzucchelli: installazioni che si rivolgono allo spazio espositivo espandendosi nel perimetro delle sale. Le sperimentazioni dell’artista trovano origine negli Anni Sessanta fino ad oggi, con le opere Catena Doppio Cuscino che sanno interagire dinamicamente con la collettività. Si espande nello spazio anche l’installazione sonora di Sara Persico, composta ad hoc per la mostra. Gli stimoli acustici che accompagnano gli ospiti nel percorso generano un osmotico ritmo tra armonia e discordanza sulle note delle registrazioni raccolte in Libano. Codici espressivi di maestri dell’arte come Vincenzo Agnetti e Nanda Vigo sono proposti sotto forma della serie Feltri, dove l’uso della parola genera nuovi ritratti esistenziali, e Deep Space, sculture luminose che generano esperienze polisensoriali legate all’intuizione del tutto. Indagini sulle città si traducono nelle opere Cars di Angharad Williams, dove i veicoli individuati tra le strade di Berlino si fanno portavoce di un identikit sociale della metropoli. Spazi conviviali, spazi evocativi di atmosfere e spazi emotivi sono offerti dal duo RM che propone A shack of wealthA dog, a car, an epidemic of body liceRATSIl parco, la panchina, la stazione e You make the program for Life. You make the program. Le fotografie di Tobias Zielony Jim C. Nedd raccontano la complessità della società tramite ritratti antropologici di chi vive le città. Giulio Delvè riflette sul rapporto dei corpi di stato con lo spazio pubblico che percorrono tramite i loro veicoli, proponendo l’oggetto simbolico della portiera di un’auto della Polizia in dialogo con quella dei Carabinieri nell’opera Carazia. Il dipinto del popolo che vivifica gli ambienti urbani è offerto da Domenico Salierno nella sua video-poesia Sigarette e Signore, riflettendo sulla quotidianità degli emarginati in relazione ai “signori”. Il pericolo maggiore di uno sgretolamento della civiltà è suggerito da Ozgur Kar, che ci mette in guardia sulla possibile catastrofe di un uomo che diventa un’isola per mano di una tecnologia disfunzionale. La mostra condensa le utopie spaziali, rimbalzando lo spettatore tra promesse di ideali architettonico-sociali e ritratti di desolazioni urbane, ingombrando spazi vuoti, ma colmi di presenze in attesa.

Elizabeth Germana Arthur

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