“Musei su ricetta medica”: il progetto della città di Bruxelles si rafforza
Dopo il successo della fase pilota aumenta la collaborazione tra istituti sanitari e musei per migliorare la salute mentale delle persone. Attraverso l’arte
“Un giorno forse capiremo che non si trattava di arte ma di medicina”, scriveva il premio Nobel per la letteratura Jean-Marie Gustavse Le Clézio. Una citazione presa alla lettera dal Comune di Bruxelles, che nel 2022 ha lanciato Museum prescriptions (in italiano “musei su ricetta medica” o letteralmente “prescrizioni museali”), un progetto per aprire le porte dei musei alle persone che soffrono di depressione, ansia, psicosi, disturbo bipolare e altre patologie, avvicinando il mondo sanitario a quello culturale. A giugno, dopo il successo della fase pilota, è stato annunciato il nuovo capitolo dell’iniziativa, con un aumento sia degli istituti medici, passati da uno a 18, che di quelli museali, da 5 a 14. Un numero destinato a crescere.
Arte e salute mentale: la nascita del progetto Arts on Prescriptions
Delphine Houba ha cominciato a interessarsi all’idea ancora prima di diventare Assessora alla Cultura, al Turismo e ai grandi eventi della capitale belga, leggendo un articolo su Le Monde che raccontava di un’iniziativa analoga a Montreal, in Canada. Grazie a un accordo tra il Museo delle Belle Arti e l’ordine dei medici il progetto chiamato Arts on Prescriptions ha permesso il rilascio di 50 “ricette” all’anno per le visite al museo di alcuni pazienti affetti da malattie croniche, cancro e disturbi mentali, tra gli altri. “Nel 2019 sono andata in Quebec per incontrare le persone che hanno lanciato il progetto. Già prima di arrivare pensavo che fosse una buona idea. Tornando a Bruxelles, ho pensato che fosse ancora meglio”, racconta l’assessora.
Così, nel febbraio del 2021 Houba ha coinvolto il reparto psichiatrico dell’Ospedale Universitario Brugmann, di cui fino a poco prima dell’incarico istituzionale era presidente del consiglio di amministrazione, per dare forma al progetto. Il Covid, però, ne ha rimandato l’inizio, al contempo rafforzando la necessità di promuovere l’arte come cura per le persone con problemi di salute mentale nel periodo critico di isolamento dovuto alla pandemia.
Nel settembre 2022, la prima fase pilota è ufficialmente partita con la collaborazione di cinque musei per una durata di sei mesi. Tra questi c’erano la Centrale for contemporary art, il Museo delle fogne o il guardaroba del Manneken-Pis, il celebre bambino che urina, che vanta quasi 1100 costumi, incluso uno del re Luigi XV di Francia del 1747, donato per scusarsi del furto della statua da parte dei suoi soldati, e una tuta dei Rolling Stones con il logo della band. “Il primo obiettivo è quello di fornire più strumenti terapeutici ai team medici. È un mezzo per aiutare le persone, ma senza effetti collaterali. Non è un farmaco”, dice Houba, che aggiunge: “Il secondo obiettivo è quello di attirare nei nostri musei persone che forse non ci sono mai andate, un modo per ricordargli che fanno parte della società, che queste istituzioni sono anche per loro, anche se soffrono di una malattia o un disturbo”.
Come funziona il progetto Arts on Prescriptions
L’iter della prescrizione è simile a quello fatto per un farmaco: lo psichiatra indica quale museo vuole visitare il paziente, che poi si reca lì – da solo o accompagnato da un parente – con la ricetta. A quel punto porta avanti la sua visita gratuitamente come un normale visitatore prima di tornare a discutere e a raccontare l’esperienza come parte della terapia. Per Patricia Belletti, mediatrice culturale della Centrale for contemporary art è anche per questo che il progetto ha funzionato: “Il medico propone questa soluzione ma la persona non è obbligata, non è come prendere una medicina. La persona viene perché se la sente di farlo. Anche solo passare la porta di un luogo bello come un museo può avere un effetto positivo sull’autostima”, dice.
Houba sottolinea infatti che nei momenti peggiori per molte persone risulta difficile anche solo uscire di casa. Prepararsi, fare una passeggiata per raggiungere il museo e visitarlo come ogni altro utente senza essere stigmatizzati è parte del processo di reinserimento nella società. Tutto, dalla decisione di effettuare la visita al racconto di com’è andata, è discusso e analizzato durante le sedute: “Ho sempre voluto visitare un museo ma non ho mai osato. Può consigliarmi cosa devo indossare? Può spiegarmi come devo comportarmi?”, ha chiesto una paziente che ha partecipato a Museum prescriptions al suo psichiatra. Durante i colloqui sono poi emersi anche gli effetti positivi legati alla fruizione dell’arte: “È stato molto interessante. La visita mi ha distolto dalle preoccupazioni”, ha detto un’altra paziente.
L’arte al servizio della salute mentale
I benefici dell’arte sulla salute delle persone sono stati ampiamente documentati. Recentemente il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2019 sul legame tra cultura e salute ha analizzato quanto essere impegnati culturalmente influisca positivamente sulla salute mentale, sollecitando anche una maggiore collaborazione tra il mondo della cultura e la sanità pubblica. In Gran Bretagna è stata sperimentata la figura del link worker, che propone alle persone attività artistiche, culturali, sociali, con lo scopo di affiancare e talvolta sostituire la cura medica. Una strategia che porta anche a un risparmio economico per il settore sanitario, allentando la pressione sui medici ed evitando visite mediche non necessarie.
Sono solo alcuni esempi di progetti e studi condotti su questo tema. Anche per questo Houba è meno interessata all’aspetto statistico, nonostante si stimi che nella fase pilota abbiano partecipato 250 persone: “Non vogliamo dimostrare nulla. Il mio punto di partenza è: è stato dimostrato un sacco di volte, quindi ok, facciamolo e basta. Non cerco numeri che dicano quante persone vanno al museo. Questo progetto si occupa di come l’arte e la cultura possano essere parte della soluzione per le persone che hanno bisogno di sentirsi meglio”, dice.
La seconda fase del progetto Museum prescriptions
Il successo della fase pilota, che si è conclusa a marzo 2023, ha spinto il Comune di Bruxelles ad allargare il perimetro dei partecipanti per inaugurare a giugno di quest’anno un nuovo capitolo di Museum prescriptions che durerà un anno, almeno per il momento. 160 professionisti del settore sanitario tra psicologi, psichiatri, fisioterapisti, nutrizionisti e tanti altri potranno prescrivere le ricette ai pazienti, mentre le strutture diventano 18, tra cui due consultori, quattro centri medici, cinque servizi di salute mentale, un centro di arteterapia, tre organizzazioni no-profit, oltre alle collaborazioni con associazioni come quella dedicata alle persone affette da Alzheimer.
Il personale dei musei è stato quindi formato per accogliere al meglio i visitatori, capire le loro necessità e aprirsi anche a visite più ampie. Da ora, infatti, la struttura medica potrà offrire ai propri pazienti visite guidate di gruppo fino a 25 persone nei 14 musei in lista, ma come sottolinea Houba “le strutture continuano a chiamarci perché vogliono far parte anche loro del progetto”. Tutto però potrebbe cambiare con le elezioni comunali del 13 ottobre, nel caso si insediasse una nuova amministrazione poco interessata a iniziative culturali di questo tipo. Nel frattempo, Museum prescriptions continua a suscitare un grande interesse mediatico in tutta Europa: “È stato bello sapere che i medici trovano il nostro lavoro importante per il prossimo. Questo progetto mi ha permesso di conoscere persone che possono aiutarmi a fare meglio il mio mestiere”, dice Belletti. Il sogno è quello di arrivare a coinvolgere sempre più persone, ampliando la rete delle prescrizioni e l’offerta culturale a tutti i cittadini, in modo che l’arte sia patrimonio comune per il benessere psicologico di ogni individuo.
Alessandro Leone
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