Il museo più necessario di Milano: scoprire il MUSA, che racconta le persone
Il museo milanese conduce il visitatore alla scoperta di una delle discipline scientifiche più importanti per il recupero della memoria e dell'identità umana. Una visita al MUSA dell’Università è oggi quanto di più necessario per immunizzarsi contro l'indifferenza e la mancanza di empatia
Alcuni musei sono un toccasana per l’anima: visitare le sale mette in pace con il mondo e con sé stessi. Passeggiare in gallerie colme di tesori e bellezza è il più potente antidepressivo che esista. Paesi come il Canada, il Belgio o il Regno Unito hanno programmi di “Arte-terapia”, dove la visita a musei e spazi d’arte e di conoscenza è prescritta dal personale medico come parte della terapia per un benessere completo. Esistono poi musei più didattici ed istruttivi, dove si scopre la bellezza della ricerca scientifica, lo stato dell’arte della tecnologia e la varietà della natura.
Oggi, tuttavia, non parleremo di questi musei.
I musei necessari: il caso del MUSA
Ci concentreremo su una terza tipologia, che definiremmo quella dei “musei necessari”, istituzioni che cambiano l’idea che abbiamo di una data realtà, che sono in grado di commuovere e sensibilizzare i visitatori su determinate tematiche: sono i musei che fanno crescere e che rendono consapevoli della realtà in cui viviamo. Anche in Italia, abbiamo musei di questo tipo: ad esempio, all’interno del Museo delle Civiltà all’EUR di Roma troviamo il Museo delle Opacità (ex Museo Coloniale), che affronta le spinose questioni legate all’ingombrante eredità coloniale del Regno d’Italia. A Milano troviamo il Museo dell’Olocausto presso il Binario 21 della Stazione Centrale. E poi c’è il MUSA, il Museo Universitario delle Scienze Antropologiche, Mediche e Forensi per i Diritti Umani.
Visitare il MUSA è, a nostro avviso, un’esperienza imprescindibile per comprendere il presente, il passato e il futuro della nostra società. Situato nel complesso universitario di via Ponzio, nel quartiere di Città Studi a Milano, il museo nasce dall’esperienza del leggendario LABANOF, il Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense, una delle eccellenze scientifiche dell’Università degli Studi di Milano, creato nel 1995 dai professioni Marco Grandi e Cristina Cattaneo.
La Cattaneo, artefice del MUSA, ha realizzato questo spazio come un ambiente aperto alla cittadinanza, fortemente didattico e divulgativo, a servizio della parte più nobile e sana della società. La base del museo sono gli oltre diecimila scheletri umani che compongono la CAL (la Collezione Antropologica LABANOF), una delle antologie umane più complete e grandi d’Europa, capace di coprire l’intera storia urbana della città dalla Mediolanum romana agli eventi di cronaca dei nostri giorni: un’autentica Spoon River meneghina.
Il percorso espositivo del MUSA di Milano
Il percorso didattico comincia da una sala che presenta il lavoro scientifico degli esperti, che operano in una gamma di contesti che va dall’archeologia alla criminologia. Il trattamento dei reperti è sempre dato con grande attenzione e rispetto per il contesto del ritrovamento, che spesso costituisce la chiave di lettura principale. Diverso è il caso di un antropologo forense che opera sulla scena di un delitto rispetto a uno scienziato che estrae informazioni da una necropoli longobarda. Superata la sala didattica iniziale, la sensazione è quella di entrare in una sorta di macchina del tempo, dove ci troviamo faccia a faccia con persone di ogni ceto sociale.
Che cos’è il LABANOF
L’itinerario cronologico inizia dalla multietnica città di duemila anni fa, che divenne capitale di una vasta porzione dell’Impero Romano. Gli abitanti erano provenienti da ogni parte del mondo allora conosciuto: una tomba dell’hinterland milanese ha raccolto la vicenda di una giovane donna dai tratti asiatici. La vita all’epoca era parecchio dura: l’individuo più anziano di cui sono stati recuperati i resti aveva circa 70 anni d’età, mentre per le donne la vita media si riduceva di addirittura una quindicina d’anni a causa dei rischi della gravidanza e per lo stato di salute più precario.
Il LABANOF ridona voce e racconta le storie degli abitanti di allora, ricostruendone lo stile di vita, l’età, l’usura fisica data dal lavoro, la statura, la dieta e le malattie, e talvolta indica anche la causa di morte. Il tutto è raccontato da alcuni schermi interattivi che, attraverso delle animazioni, narrano uno dei mille casi a disposizione degli studiosi.
Un pannello laterale presenta i risultati di uno studio che ha fatto molto parlare di sé: nel 2018 infatti il LABANOF si occupò di studiare i resti del Santo Patrono di Milano: Sant’Ambrogio, e dei martiri San Gervaso e San Protaso, sepolti nella cripta della basilica di Sant’Ambrogio. A partire dallo scheletro è stato ricostruito il volto del santo meneghino per eccellenza: il risultato non è troppo dissimile dalla sua rappresentazione musiva presente nel sacello di San Vittore in Ciel d’Oro: la sua faccia era di forma allungata, leggermente asimmetrica ed aveva un naso affilato. Nelle lettere alla sorella Marcellina, Ambrogio si lamentava di un forte dolore alla spalla. L’analisi dello scheletro ne ha rivelato la causa: una brutta frattura alla clavicola. I resti dei due martiri invece, molto alti, rivelano tutte le tracce esplicite di una violenza brutale dovuta alle vicende del martirio.
Le storie delle persone secondo il MUSA
Ma il MUSA non racconta solo le storie delle persone le cui vicende umane hanno avuto la fortuna di essere raccolte e tramandate sino a noi: la stragrande maggioranza della Collezione Antropologica del LABANOF riguarda persone comuni. I resti sono rispettosamente riposti in cassette che portano un codice, il luogo di ritrovamento e talvolta una frase di un artista, di un saggio o un brano musicale. Aforismi di Leonardo da Vinci o di Matteo Maria Boiardo, spartiti di Fryderyck Chopin o di Johann Sebastian Bach…sono frasi e melodie che ricordano ai ricercatori e ai visitatori che quelle silenziose cassette una volta erano persone vive, con le loro passioni, i loro sentimenti come noi.
Le salette sono suddivise per periodi storici: epoca romana, epoca altomedievale, epoca moderna…l’intera vicenda umana è raccontata in maniera inequivocabile da quel che raccontano le ossa: si va dalla necropoli longobarda ritrovata in piazza Sant’Ambrogio nel corso degli scavi per la linea 4 della metropolitana a quello straordinario spaccato verticale che è dato dalle sepolture presenti al di sotto dell’ospedale cittadino: la cripta e il sepolcreto della Ca’ Granda. In quest’ultimo contesto i resti sono piuttosto disordinati, e la raccolta delle informazioni è più complessa, ma non per questo meno interessante. Come si procede in casi simili? Le guide spiegano il loro lavoro: si parte dal conteggio degli individui contenuti nei sepolcreti, poi si cerca di suddividerli per età, per statura, per genere di nascita e poi quando possibile si cerca di ottenere una datazione. Per alcuni individui le indagini riescono ad individuare anche la causa della morte. Sono numerose le testimonianze delle dure condizioni di vita durante la complessa vicenda storica della Milano degli Sforza, degli Spagnoli, dei Francesi e degli Austriaci. Le guerre d’Italia si fanno sentire sulla qualità di vita delle persone comuni, che soffrono incessanti epidemie di peste (nel 1524, 1576 e quella “manzoniana” del 1630), vaiolo, tifo e colera. L’impressione è quella di trovarsi di fronte ad una sorta di museo di storia della città: non sono raccontate necessariamente solo le vite delle grandi personalità, ma di tutto quel tessuto urbano di piccole storie che hanno reso Milano una città così importante per la storia d’Italia e d’Europa.
Il MUSA ai tempi di Napoleone Bonaparte
Quando si supera la parentesi Napoleonica e la restaurazione austriaca, si ha come l’impressione di uscire dalla macchina del tempo. Ci si trova nuovamente proiettati nel presente, e il presente non è certo scevro di una certa amarezza. Non trattiamo poi così diversamente le persone meno tutelate rispetto a qualche secolo fa, anzi!
Il MUSA racconta le loro storie “anonime” perché nell’antropologia vale il criterio di avalutatibilità di un corpo: la storia che raccontano le ossa di Sant’Ambrogio vale esattamente come quella di un homeless morto di freddo nel febbraio 2014 in piazza Napoli. Entrambi i resti godono della stessa attenzione: sono resti umani, degni di attenzione in quanto tali.
Uno spazio, forse quello più interessante per chi segue il mondo della criminologia e dell’antropologia forense è quello dedicato alla scena del delitto, ai ritrovamenti dei cadaveri in scene complesse il cui contesto è stato spesso alterato dagli stessi perpetratori del crimine. La scienza in questo caso assurge ad una missione civica, individuando indizi lasciati dai colpevoli che possono così essere incriminati ed assicurati alla giustizia.
La questione di genere al MUSA
Un’altra sezione si occupa del lato più prettamente legale a tutela delle categorie frequentemente oggetto di violenza e di prevaricazione. Si raccontano i casi di violenza di genere contro donne, minori, individui omosessuali o appartenenti ai collettivi LGBTQIA+. In questi casi, il lavoro degli scienziati fornisce prove dell’avvenuta violenza. Le guide del museo spiegano in dettaglio come la scienza odierna sia in grado di dimostrare tali delitti, giungendo in soccorso a coloro che prendono coraggio per denunciare i loro aguzzini.
Il LABANOF si è anche occupato delle grandi tragedie passate alla storia: un caso esemplare è stato il duro lavoro di ricostruire le identità di coloro che hanno perso la vita nelle catastrofi aeree come la tragedia aerea di Linate del 2001. Quella del volo per Copenhagen dello scalo lombardo è un tipico “disastro chiuso”, cioè un dramma con una lista di passeggeri ben compilata ed avvenuta in un contesto definito: la pista di decollo. Diverso è il caso dei cosiddetti “disastri aperti umanitari”, e cioè i drammi che accadono durante i viaggi in barcone organizzate da mafie e da organizzazioni criminali senza scrupoli, che non hanno alcun interesse a raccogliere i dati dei passeggeri.
Il caso Melilli al MUSA
Un muro presenta alcune lapidi in marmo con centinaia di numeri di identificazione, una data, il 18 aprile del 2015 ed un luogo, il Canale di Sicilia: è la cosiddetta “Tragedia di Melilli”, dal nome della base navale NATO presso cui furono portati i resti del barcone naufragato in quella che venne definita la più grande tragedia della storia del Mediterraneo. Un totale di 675 corpi fu recuperato in quell’occasione, e il lavoro degli antropologi del LABANOF è stato quello di cercare di raccogliere il maggior numero possibile di informazioni relative alle vittime, per aiutare le autorità che cercarono di dare un nome a coloro che persero la vita tentando di giungere presso le coste europee. Un breve documentario presenta la vicenda del recupero del relitto dal fondo del mare e il durissimo lavoro svolto dagli antropologi nel documentare e ricostruire ogni dettaglio utile all’identificazione dei corpi. Le guide del museo fanno presente che il caso di Melilli è solo una piccola parte di un quadro ben più drammatico: sono circa trentamila le persone migranti morte negli ultimi anni cercando di attraversare il mar
Mediterraneo per arrivare in Europa
Al termine del percorso espositivo ci si trova arricchiti e in un certo senso vaccinati contro l’indifferenza e la mancanza di empatia. Si ritorna a passeggiare per le strade milanesi, ma quello che è cambiato è il nostro sguardo. Si esce da MUSA con degli occhiali nuovi attraverso i quali si può interpretare molto meglio la realtà. Il commediografo latino Publio Terenzio Afro fece dire ad un protagonista di una delle sue opere, dal titolo “Heautontimorumenos” (“Il punitore di sé stesso” in greco), una frase che riecheggia nella nostra mente una volta usciti dal MUSA: “Homo sum, humani nihil a me alienum puto”, cioè: “Sono un essere umano, nulla di quanto sia umano ritengo a me estraneo”. Forse oggi il Museo Universitario delle Scienze Antropologiche, Mediche e Forensi per i Diritti Umani è davvero il museo più necessario tra quelli di Milano: una vera istituzione al servizio della società, utile a ricordare i valori fondanti su cui si basa la convivenza civile.
Thomas Villa
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