Modernismi a tutte le latitudini: questa Biennale di Venezia estende gli orizzonti del passato
Tra le sezioni del Nucleo Storico previsto da Adriano Pedrosa per la sua Biennale, quella dedicata alle esplorazioni astratte del Sud Globale trova un posto d’onore al cuore del Padiglione Centrale dei Giardini. 37 artisti che testimoniano la diffusione e la riappropriazione del modernismo ben oltre l’Occidente
Il modernismo fa la sua comparsa sulla scena globale a ridosso del collasso dei grandi Imperi. La Grande Russia soccombe nella Rivoluzione del 1917, l’Impero Austro Ungarico l’anno successivo. Questo in Europa. La fine del colonialismo nel continente africano, in America Latina e nel Sud-est asiatico arriva in ondate dai primi decenni del XX secolo al secondo dopoguerra.
Mentre l’Europa perde progressivamente il suo status di culla della civiltà, il concetto di modernità si afferma, quindi, come una grammatica universale di cui “appropriarsi” da parte delle élite colte delle città capitali del cosiddetto Sud del mondo globalizzato.
Il modernismo occidentale
Il linguaggio della modernità prorompe come un desiderio o ancor più un bisogno di quelle élite di artisti, letterati e intellettuali, istruiti e cosmopoliti, di trovare la propria voce. Non certo attraverso un nativismo delle origini, ma come intellighenzia in grado di esprimere una propria cultura, modi di sentire e di stare al mondo dentro il linguaggio del loro tempo.
Spesso le narrazioni rovesciano le storie egemoniche eurocentriche, sia nella letteratura sia nelle arti, dal Dadaismo al Cubismo, fino al Surrealismo. I percorsi di artisti africani e latinoamericani preparano una nuova epistemologia modernista, accompagnata da grandi entusiasmi, teorizzazioni e manifesti politici, e da ironia feroce nei riguardi del potere eurocentrico. Tale affermazione era caratterizzata, tuttavia da molte contraddizioni. La nozione stessa di libertà artistica era sicuramente antitetica al colonialismo, ma allo stesso tempo faceva parte di quella stessa cultura che aveva nutrito questi artisti, assorbita nelle scuole e nelle università dell’Occidente.
La Biennale di Venezia 2024 e i modernismi extra-occidentali
Alla Biennale di Venezia 2024 a cura del brasiliano Adriano Pedrosa, un nucleo storico di dipinti dedicato alla pittura astratta nel mondo è una piccola chicca che permette di entrare in punta di piedi nel mondo colto e rarefatto dell’astrazione geometrica.
E se in Europa primeggiano il Suprematismo delle avanguardie “russe”, il minimalismo dell’inglese Ben Nicholson che si ispira al classicismo rinascimentale italiano, l’estrema sintesi dei paesaggi naturali di Piet Mondrian e il movimento De Stijl, dalle rigorose ortogonali e dai colori primari, gli artisti del sud globale rispondono prendendo a prestito quelle stesse formule, ma modificandole radicalmente.
Tra gli aspetti più interessanti del modernismo nascente sono le diverse modalità con cui viene teorizzato e testimoniato dai dibattiti e dai manifesti prodotti in quegli anni di fervore politico e culturale in tante parti del mondo. Tra le figure di riferimento vi è, a esempio, il brasiliano Oswald de Andrade, poeta e panflettista che nella Revista de Antropofagia dichiara provocatoriamente che “soltanto il cannibalismo ci unisce”. Si tratta di una sfida aperta al predominio culturale occidentale che vede quella nera come “primitiva” e “selvaggia”. Nel suo Manifesto Antropófago, Oswald de Andrade tenta di sovvertire i tabù contemporanei definendo la cultura brasiliana “antropofaga”, in grado di scegliersi i bocconi migliori e più appetitosi delle culture altrui. Nell’atto stesso di ingerire, sia chi ingerisce, sia l’ingerito sono trasformati. Il linguaggio estremo e i giochi di parole articolano binomi quali civiltà e barbarie, cosmopolita e primitivo.
L’identità africana e i modernismi
Ma per gli artisti africani, la ricerca di un’identità in opposizione all’eurocentrismo egemonico era sicuramente più complicata. Tra coloro che per primi hanno contribuito a forgiare una diversa percezione della propria differenza, Aimé Cesaire, poeta e politico della Martinica insieme a Leopold Senghor, intellettuale e futuro primo presidente del Senegal con altri autori africani e caraibici fondono nel 1947 Négritude, gruppo letterario e politico che rivendica con orgoglio l’identità nera, contro quella coloniale francese. In seguito, però, il tema dell’autenticità africana viene criticata come espressione di un “essenzialismo”, ossia di una mentalità colonizzata e una riproposizione (e dunque non una vera sfida) dell’ideologia dei bianchi.
Più tardi Césaire insieme a Frantz Fanon, autore nel 1961 di I Dannati della Terra, pongono le basi di una dialettica politica tutt’interna alla Storia africana che rinnegherà una supposta “autenticità” mitizzata (di cui viene accusato, invece, Senghor). Riconoscono che la cultura europea costituisce parte della persona africana contemporanea, ma integrano i valori europei in una nuova sintesi. Il merito di questi importanti intellettuali africani, entrambi della Martinica, è che sono stati gli iniziatori di un pensiero che riconosce la complessità della loro eredità composita, una sintesi di valori che afferma con forza la centralità della dignità umana e l’originalità di forme d’arte diversificate.
L’astrazione geometrica come via per l’affermazione estetica
A queste avanguardie dei Paesi emergenti non sfuggivano le enormi contraddizioni tra la condizione delle masse diseredate da un lato e il loro status di cittadini in grado di vivere in maniera “moderna”, o privilegiata, la propria emancipazione. Ma il processo di liberazione veniva visto come una dialettica tra Storia e Cultura, un percorso realistico di affermazione che cercava una propria cifra all’interno di una poetica e di un’estetica contemporanee.
Lo spazio della tela in quegli anni era il campo di battaglia dove si concentrava la lotta per il potere di espressione, il luogo privilegiato della visibilità artistica. Il progetto moderno dell’arte passa attraverso la pittura e in particolare attraverso ciò che Filiberto Menna chiamava astrazione analitica. L’attualità di un grande critico e intellettuale italiano in gran parte dimenticato in patria sta ancora oggi nella chiarezza del suo pensiero sulla differenza tra rappresentare e significare. La rilevanza e la bellezza della pittura astratta geometrica fondata su una “matematica plastica” teorizzata da M.H.J. Schoenmaekers in dialogo con Mondrian nei primi decenni del Novecento ha toccato molti talenti in tutto il mondo, compresi molti artisti attivi cinquant’anni dopo, presenti per la prima volta nel Nucleo Storico di questa Biennale: da Mohammad Ehsaei in Iran, Saliba Douaihy del Libano, Carmen Herrera, nata a Havana e vissuta a New York, Anwar Jalal Shemza, nato in Pakistan e vissuto nel Regno Unito, Esther Mahlangu sudafricana di discendenza Ndebele, fino agli artisti della Scuola di Casablanca: Mohammed Chebaa, Mohamed Hamidi, Mohammed Kacimi e Mohamed Melehi attivi soprattutto negli Anni Sessanta.
Una storia dell’arte postcoloniale
Forgiando liberamente altre geometrie, talvolta calligrafiche, per risignificare l’arte a diverse latitudini, le ortogonali diventano a volte curve suadenti che ricordano la grazia di antiche scritte calligrafiche oppure le onde, simbolo della Scuola di Casablanca. Molti di loro non sono stati soltanto artisti, ma maestri e docenti attenti alla pedagogia, che vedevano il loro ruolo al servizio della società.
L’astrazione europea diventa lo spazio aperto di soggettività e realtà sociopolitiche diverse, una spazialità per misurarsi con le altre modernità emergenti. E così, col tempo, ogni Paese costruisce una propria Storia che non segue le logiche storicistiche europee: prima le avanguardie storiche, poi il modernismo, e oggi il multiculturalismo. Negli altri continenti le Storie si sovrappongono e si relazionano secondo logiche e latitudini diverse. Dalla teoria e dalle pratiche di tutti questi artisti, emerge una storia dell’arte postcoloniale che rivive e rivaluta le proprie vicende secondo narrazioni costruite a partire dal rapporto diretto di ognuno con la propria esperienza culturale e sociale.
Anna Detheridge
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