Nostalgia ineluttabile. A Genova la grande mostra su un sentimento moderno
Una mostra sulla nostalgia che chiede però di guardare al futuro. Il lungo viaggio nel sentimento dal Rinascimento al Contemporaneo
Non deve sorprendere che in un mondo così ossessionato dalla tecnologia, dall’innovazione e dalla competizione come il nostro vi sia, a rovescio della medaglia, un costante sguardo volto all’indietro e all’altrove, un languore personale e civile che spinge al rallentamento, a tratti all’atrofia. Eppure, questo sentire, che per molti è una delle cifre dei nostri tempi, non è affatto una qualifica esclusiva della nostra epoca, piuttosto una variazione su un tema: a indicarlo è un percorso tutto dedicato a un sentimento, quello della nostalgia, al Palazzo Ducale di Genova. Il lungo viaggio di Nostalgia. Modernità di un sentimento dal Rinascimento al Contemporaneo espone, in centoventi opere, l’evoluzione del tema nel corso di quasi quattrocento anni dalla sua formulazione, così come appare nella dissertazione medica di Johannes Hofer nel 1688 come disturbo dato dal “dolore del ritorno”.
I corsi e i ricorsi della nostalgia
Il foltissimo percorso, che molto deve ai prestiti della Wolfsoniana di Nervi ed è accompagnato da un podcast realizzato con Chora Media, si snoda in dodici sezioni tematiche tra le stanze dell’appartamento del Doge e la cappella, dove è esposta una grande installazione di Anish Kapoor. Le diverse sezioni, introdotte da citazioni letterarie, si articolano senza un ordine cronologico – “secondo la tendenza ciclica della nostalgia stessa”, dice il curatore Matteo Fochessati – ma seguendo le diverse coniugazioni del sentimento, saltando da personaggi omerici e virgiliani (bella l’Odissea di Ingres) al futurismo, fino alla contemporaneità (con la celebre foto dei “passeggeri abbandonati” di Adrian Paci), dalla nostalgia del paradiso (tra Brueghel il Giovane e Carena) a quella del classico, con le opere del Grand Tour di Loria e le rovine di de Pisis. Intensa, e familiare, la nostalgia nell’età della propaganda, con la famiglia che ascolta il duce di Ricchetti(ritoccata dopo la caduta del Fascismo) e il modellino del revanchista padiglione Italia all’Expo di New York del ’39. Che vederci da lontano riesca a vaccinarci? “Non esiste un vaccino”, dice Fochessati, che ha qui lavorato in collaborazione con Anna Vyazemtseva della Wolfsoniana. “Tutte queste espressioni dell’arte fascista e nazista tornano ancora nei giorni nostri. Uno dei testi in catalogo, dello storico Ferdinando Fasce, parla proprio di questo: le strategie propagandistiche ideologiche di allora sono proprio le stesse che vediamo in Putin, Trump e nella Brexit. È la ciclicità della storia”.
Nostalgia, ottimismo e praticità
È comunque ottimista il percorso, prima mostra sotto la direzione di Ilaria Bonaccossa, che da uno sguardo all’esotico approda alla nostalgia della felicità (tra spiagge piene di bimbi e le luci notturne di Coleman e Balla) e a quella dell’infinito, con un grande Spalletti e una bellissima scultura di Martini. “Nonostante la nostalgia sia considerata un sentimento ‘un po’ sfigato’, è comunque qualcosa che può aiutarci a capire meglio il nostro passato, e quindi a pianificare meglio il nostro presente e il nostro futuro”, dice Fochessati. Più pratica la direttrice Bonaccossa: “Siamo una società del remake e della riappropriazione, sono temi molto frequenti nel nostro presente: c’è questo costante bisogno di guadare indietro, perché forse stiamo perdendo capacità di guardare avanti. Questa mostra invece ci chiede di muoverci in avanti, di fare un salto”.
Giulia Giaume
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