Il pronto soccorso delle belle arti. L’Italia e il suo grave problema di tutela del patrimonio
La tutela, si sa, è cosa difficile. Soprattutto in Italia, dove le risorse si disperdono in gravose burocrazie, che falliscono nel seguire un criterio di priorità e di urgenza degli interventi. Come uscirne?
I problemi che affliggono la tutela del patrimonio artistico italiano sono notoriamente molteplici. Molte volte non si riesce a tutelare: per la mancanza di fondi e di personale, certo (aggravata dalle ultime riforme, che hanno sempre più separato musei e territori, con i secondi che, in molti casi, sono scivolati nell’oblio). Ma non è solo una questione di carenza di risorse: anche quando i soldi ci sono, non vengono spesi nel modo più efficace. Sono impiegati in progetti di studio, catalogazione, restauro, che magari non sono inutili in sé, e anzi spesso hanno una loro plausibilità, ma che il più delle volte non obbediscono a un criterio che nel campo della tutela ha un’importanza ancora più decisiva, trattandosi di una corsa contro il tempo per salvare beni in pericolo: il criterio della priorità.
La tutela in Italia deve cambiare passo
Prevalgono altre ragioni, burocratiche (legate a questioni di più facile fattibilità, di competenze amministrative, di impegni di spesa), che portano a disperdere le risorse su tanti fronti, anziché concentrarle sui casi più urgenti. Occorre pertanto un ribaltamento radicale del modus operandi, per arrivare ad avere delle soprintendenze-ospedali. La metafora sanitaria può sembrare fuori luogo, in questi tempi di tagli e di liste di attesa infinite: ma non trovo immagine migliore per visualizzare un organismo in cui si badi innanzitutto alla gravità delle situazioni, proprio come in ospedale ci si concentra su chi è in pericolo di vita, rimandando gli interventi meno urgenti.
Un modello “pronto soccorso”
Operazione preliminare e imprescindibile è quindi quella di stilare, per ogni territorio, la lista delle priorità, che l’organo di tutela deve redigere basandosi non solo sulle proprie, esigue forze, e sulla documentazione d’archivio, ma attraverso un serrato confronto con gli altri enti territoriali, con gli studiosi locali, con le università (ogni angolo delle Penisola è così ricco di testimonianze, che è difficilissimo conoscerlo nel dettaglio). Incrociando la stima dell’importanza dei diversi beni artistici e architettonici e la valutazione della gravità del loro stato di conservazione si ottiene la lista dei ‘malati’ (ovviamente da aggiornare di tanto in tanto) che dovrà guidare l’azione di salvaguardia. Si partirà dai primi due, tre casi e su di loro si concentrerà ogni sforzo, magari con un occhio non solo al recupero materiale del bene, ma anche al suo reinserimento sociale, ossia alla sua fruizione e al suo utilizzo, nella prospettiva di una sostenibilità culturale ed economicadell’operazione sul lungo periodo. Solo dopo che i primi casi saranno affrontati e risolti, si potrà scorrere la lista, concentrando gli interventi sui casi successivi.
Il possibile ruolo dei privati
Va da sé che in questa lista di priorità troveranno posto non solo beni pubblici, ma anche di enti non statali, a cominciare naturalmente dalla Chiesa, e di privati, esattamente come in ospedale si cura il paziente senza interessarsi alla sua provenienza, al suo credo religioso, al suo orientamento sessuale. Importanza storico-artistica e condizioni di conservazione devono essere i soli due criteri guida: e dunque anche edifici e opere di privati saranno presi in considerazione. Nessuno vuole ricoprire privati cittadini di denaro pubblico: piuttosto, la soprintendenza deve assistere il privato da un punto di vista legale ed economico, aiutandolo a individuare possibili fonti di finanziamento pubbliche e private (sponsor) e mettendolo in contatto con le migliori professionalità.
È necessario colmare il divario tra pubblico e privato
Il privato di buona volontà, che pure vorrebbe intervenire, è spesso lasciato solo: così si ricomporrebbe quella frattura che spesso si riscontra tra cittadino e organo di tutela (che invece è chiamato a rapportarsi con rigore con quei privati che lasciano andare in malora i beni di loro proprietà). D’altra parte, nel campo dei beni culturali, la distinzione tra pubblico e privato è spesso artificiosa: prendiamo ad esempio le tante facciate decorate a sgraffito e ad affresco che si sgretolano o svaniscono sotto l’azione delle intemperie, o ancora vengono cancellate da interventi inappropriati. Nella maggior parte dei casi si tratta delle facciate di private abitazioni, ma c’è forse qualcosa di più pubblico di questa forma di street art ante litteram, di cui tutta la cittadinanza può fruire passeggiando in centro, semplicemente alzando gli occhi verso figure e decorazioni che, sbiadite ma ancora leggibili, attendono interventi di recupero non più procrastinabili?
Fabrizio Federici
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