I dimenticati dell’arte. La storia del pittore Arnaldo Badodi
Un’arte impegnata, intrecciata con la vita reale. La vicenda di un pittore timido e schivo, che da Milano è riuscito a raccontare il mondo
Timido e schivo, percorreva le strade di Milano in sella alla sua bicicletta Bianchi, e dipingeva circhi e ballerine, affollati caffè e saltimbanchi. Per Arnaldo Badodi (1913-1943) le persone comuni erano le uniche a meritare di essere immortalate su una tela, ritratte con pennellate nervose e colori squillanti, quasi espressionisti.
Chi è Arnaldo Badodi
Il pittore nacque a Milano, figlio di un fotografo, e decise fin da giovane di dedicarsi all’arte. Si iscrisse all’Accademia di Brera, dove seguì il corso di pittura con Aldo Carpi, per poi diventare, a sua volta, docente nella stessa istituzione. Frequentava con assiduità e passione l’ambiente artistico meneghino, tanto che nel 1934, a soli vent’anni, entrò a far parte del gruppo Corrente – insieme ad Aligi Sassu, Renato Birolli, Giuseppe Migneco e Giacomo Manzù– che aveva come programma una ferma opposizione alla cultura ufficiale: come ha scritto Maurizio Calvesi, ”antinovecentista in estetica, antifascista in politica”. La componente di ribellione al regime era molto radicata nella personalità del Badodi, uno dei più rigorosi e combattivi del movimento. Nel primo numero di Corrente, uscito nell’ottobre del 1938, l’artista pubblicò un articolo intitolato Pittura e pubblico, dove espose i problemi del realismo, con la finalità di promuovere l’idea di un’arte impegnata, intrecciata con la vita reale. Una vita popolata nei suoi dipinti da “giovani donne sedute a far bella mostra di sé immerse nei loro pensieri davanti a un bicchiere di Campari; odalische e saltimbanchi delusi e inquieti sul palcoscenico a raccontare una favola fuori dal tempo e piccole figure dipinte attorno ad un tavolo da biliardo al dopolavoro ferroviario” scrive il collezionista Giuseppe Iannaccone.
La pittura di Badodi
Secondo il critico Marco Valsecchi, lo sguardo di Badodi era caratterizzato da “un’ironia charlottiana profondamente patetica, fatta di quell’incrocio indistinto fra sorriso e compatimento che Charlot espresse in maniera indimenticabile nella famosa danza dei panini nella Febbre dell’oro o negli ultimi fotogrammi del Circo, quando l’omino è solo sulla strada infinita”. Nel 1938 Badodi venne invitato alla Biennale di Venezia, e cominciò la sua carriera espositiva, sostenuta dalla stima del critico Raffaele De Grada, molto vicino agli artisti di Corrente.
Le mostre di Badodi
Nel 1939 vinse il premio Gavazzi con l’opera La Battaglia di Milazzo, mentre nel 1941 fu protagonista di una personale alla Bottega di Corrente presentata da De Grada, che definì Badodi “il più contenutista dei pittori di Corrente”. Nel maggio del 1942 partì per la Russia come tenente dei bersaglieri; disperso sul fronte russo, morì di tifo nel marzo 1943 a soli trent’anni nell’ospedale russo di Kamenskoye, dopo esser stato fatto prigioniero nella battaglia del Don. Un’interessante selezione dei dipinti di Badodi, che potremmo definire “il Mafai milanese”, è esposta nella mostra “L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano”, aperta fino al 2 febbraio 2025 alla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma.
Ludovico Pratesi
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