Neoavanguardia? Carmelo Bene e tutti gli equivoci e le forzature su questo autore
Uno degli autori più mal interpretati del ‘900, come lo stesso autore desiderava. Se fosse ancora vivo sicuramente riderebbe delle cose che si dicono di lui
Carmelo Bene viene spesso appellato in articoli e saggi come genio, quella figura d’eccezione che bisogna riconoscere pur senza comprenderne lo spessore, spesso per assolversi dalla difficoltà di doverlo studiare e conoscere. Rimane dunque una figura con cui ancora pochi studiosi decidono di confrontarsi e di cui spesso si tratta attraverso un filtro circoscritto della sua prassi teatrale e poetica, come la phonè o la macchina attoriale, proprio per la difficoltà di coglierne a pieno la figura. Eppure, il portato storico di rottura del suo essere “contro tutti” ha avuto conseguenze in ambito teatrale, letterario, performativo, cinematografico e filosofico, in modo paragonabile a quelli che a loro tempo furono il Leopardi antiprogressista, il Wilde esteta di fin de siècle e il D’Annunzio cattivo poeta.
Chi era Carmelo Bene
Un punto a sfavore della divulgazione e del pieno riconoscimento dell’opera beniana è la sua inaccessibilità. Nonostante, dopo diverse controversie familiari, il Fondo Archivio Bene sito nel Convitto Palmieri di Lecce sia finalmente accessibile al pubblico e l’opera di Bene sia a tutti gli effetti un classico (Opere. Con l’autografia di un ritratto, Bompiani 1995), il patrimonio beniano rimane di difficile accessibilità e cela ancora molti punti oscuri. Bene ha colto a pieno la filosofia postmoderna e la decadenza di fine ‘900, la fine degli ideali, la frammentazione dei linguaggi e delle arti, le difficoltà di comunicazione nella società mediatica, la pluralità dei media e delle fonti, l’assenza di verità, i simulacri senza contenuto, in un movimento vorticoso e complesso. Tuttavia i suoi romanzi e spettacoli sono oscuri, spesso respingenti, si oppongono alla rappresentazione e a qualsiasi tipo di comprensione, per questo Bene rimane un autore per molti versi inesplorato e inesplorabile, non semplice da affrontare, ma estremamente prolifico perchè aperto a innumerevoli interpretazioni.
Carmelo Bene e la letteratura
Bene, anticipando i tempi, è stato in grado di far crollare proprio la distinzione tra letterato, attore e artista. I suoi contemporanei mal tollerarono infatti che un uomo di teatro, considerato “personaggio” più che autore letterario, divenisse un classico letterario, per di più mentre era ancora in vita. D’altronde cos’è un classico, se non il nuovo che si impone?
Un’altra difficoltà nel rendere giustizia a Bene e alla sua opera è la volontà stessa dell’autore (contraddittoria e ironica) di essere dimenticato (“L’immemoriale” è la prima fondazione post-mortem a lui dedicata), di nascondersi e mascherarsi continuamente (meravigliosi i costumi elaborati per il Pinocchio dalla sua ultima compagna Luisa Viglietti) e di non essere ricondotto a schemi preesistenti, a un’ideologia o corrente di pensiero. Non esiste una lettura univoca della sua opera, proprio perchè l’obiettivo della sua opera è quella di de-pensare, di trasportarci in una realtà altra, di non essere rintracciabile con la logica ma solo con il senso. Per questo è difficile spiegare Bene, e il modo migliore per conoscerlo è il rapporto diretto con la sua opera non mediata da spiegazioni o semplificazioni. La necessaria conseguenza è che possiamo parlare “attorno” a Bene, ma non di Bene, e questo è quello che avrebbe lui stesso desiderato, non essere compreso e ricordato.
Il riconoscimento a Carmelo Bene autore
L’ultima motivazione che ostacola il pieno riconoscimento dell’autore è la tendenza degli studiosi a ricondurre il pensatore, artista e filosofo a una corrente circoscritta, o attraverso gli espedienti letterari, scenici e linguistici utilizzati, a categorie o gruppi per facilità di comprensione e catalogazione. Ma così facendo si incorre spesso in errori di interpretazione, o interpretazioni solo parziali, o se non altro in banalizzazioni del pensiero di autori indipendenti come Bene, sempre per la tendenza umana a voler comprendere e ricondurre i fatti a categorie conosciute. Più spesso sono le estetiche e correnti di pensiero a nascere da autori geniali e a diffondersi per imitazione e trasmissione nel contesto che li circonda: basti pensare a Dalì e al surrealismo, Picasso e il cubismo, Marina Abramović e la performing art. Se dovessimo tracciare una connessione tra Carmelo Bene, e la neoavanguardia teatrale e letteraria italiana, probabilmente sarebbe più corretto definirlo il padre (nonostante sostenesse che “nessuno è padre a nessuno”, frase di Elsa Morante che l’autore non smise mai di ripetere), un padre disinteressato e incosciente che ha gettato i semi, non desiderando che venissero raccolti. Bene ha reso classica la neoavanguardia italiana, nel senso che della destrutturazione del testo, del senso e del pensiero non ne ha fatto la bandiera dello sperimentalismo, ma rifondazione del mondo dalle basi, e per questo ha attratto soprattutto filosofi e poeti.
L’eredità di Carmelo Bene
Chi ha raccolto dunque l’eredità di Bene, non dipende da lui, né all’autore è assimilabile. D’altronde Carmelo era talmente immerso nel proprio lavoro da non osservare neppure, salvo rare folgorazioni, quello altrui. Vedere Bene come frutto di un movimento collettivo, tradirebbe la sua grande, a volte spaventosa e personalissima indipendenza di pensiero e azione. Al convengo di Ivrea lui stesso disse: “Sono anch’io d’accordo con la formula del collettivo teatrale! Io sono collettivo!” (Fernando Taviani, L’attore quando non c’entra, in “Dionysus ex machina”, VI, 2015, pp.179-188)
Questo non significa porre un’ulteriore banalizzazione affermando che il Teatro italiano del secondo Novecento corrisponde a Bene e viceversa. Ma piuttosto che non bisogna tradire l’autore e le intenzioni di un autore che ha vissuto innumerevoli mutazioni, che ha attinto dal classico e dal contemporaneo, inserendolo in correnti come la Neoavanguardia (termine che disprezzava e considerava privo di significato), o il Teatro delle Cantine romane, che ha attraversato solo nel periodo di formazione e nella fase iniziale della sua carriera, tutta dedicata al teatro.
Nell’autointervista con il Manifesto del 28 maggio del 2000 affermò infatti:
“Non vi sono età, vi sono flussi e riflussi, maree nella loro variazione continua. Basta insolentirmi con l’avanguardia! Mi si dia piuttosto del reazionario, dell’antidemocratico. Basta con quella che qualcun’altro ha ben definito la tirannia delle plebi. Il pluralismo d’oggi è questo.
Tutto mi deborda, mi travalica, mi supera: è proprio laddove mi supero… solo ciò mi interessa… il resto è poesia”. Per questo è opportuno strappare Carmelo Bene alla neoavanguardia, per poterlo apprezzare come autore letterario, poetico, teatrale a tutto tondo e senza tempo. La sua è una dissociazione più profonda e asistematica di quella dell’avanguardia, e non ha bisogno di essere etichettata. Bene nasce e rimane un autore profondamente ribelle, acerrimo nemico del teatro borghese, ma è ora di prenderlo sul serio e riconoscerlo come figura la cui ribellione ha rifondato il teatro e la letteratura contemporanea.
Vito Ancona
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