La grande mostra di Federico Barocci a Urbino
La Galleria Nazionale delle Marche rende omaggio a uno dei nomi più rilevanti dell’arte urbinate: Federico Barocci, detto anche l’erede di Raffaello
Tra i nomi illustri che hanno scritto nei secoli la storia di Urbino, Federico Barocci (Urbino, 1535 – 1612) ha oggi un posto rilevante. Quasi dimenticato nel periodo delle Avanguardie, è stato oggetto di una riscoperta che ha contribuito a ristabilirne la fama presso la critica. La grande mostra Federico Barocci Urbino. L’emozione della pittura moderna, organizzata dalla Galleria Nazionale delle Marche, prosegue su questo percorso, offrendo al pubblico un’occasione di riscoprire un pezzo di storia della città, del Museo e di questo artista che celebrò le glorie del crepuscolo del Ducato. Dopo più di 110 anni da quando il fondatore della Galleria, Lionello Venturi, espresse per la prima volta l’intenzione di fare una simile esposizione, la promessa diventa realtà: grazie a prestiti nazionali e non, le 76 opere qui riunite illustrano tutta la carriera di Barocci, il pittore della Cristiana Letizia, nonché erede – mancato, per quel che riguarda la scena romana – di Raffaello.
La mostra di Federico Barocci a Palazzo Ducale a Urbino
La ricca rassegna al Palazzo Ducale di Urbino – che come un grande trompe l’œil ne estende la visione oltre le tele in cui è spesso raffigurato – tratteggia un profilo esaustivo di Federico Barocci, risaltandone il valore. I sei nuclei narrativi, disposti in ordine cronologico, illustrano il contesto culturale dell’epoca, per poi entrare nel vivo della sua produzione con le grandi pale d’altare legate ai committenti religiosi. Emblematica è la Deposizione per il Duomo di Perugia, in cui emerge la struttura musicale della composizione, accompagnata dalla perpetua grazia delle espressioni e dei colori. Natura ed affetti caratterizzano la terza sezione, espressi anche attraverso la frequente inclusione di piccoli animali – cagnolini, uccellini, o gatti – che coabitano la scena. Si prosegue poi nel tempo, fino alla conclusione della mostra, pensata nell’appartamento roveresco al secondo piano.
La centralità del disegno e dell’incisione nell’opera di Barocci
Due brani espositivi sono dedicati ai disegni preparatori e all’attività grafica di Barocci. Come emerge dalla mostra, ogni aspetto delle opere finali è accuratamente studiato e provato a più riprese su carta, alternando carboncino, pastelli e olio. L’idea compositiva è verificata in concreto – si racconta facesse posare gli allievi per assicurarsi gesti naturali e non forzati –, e solo poi trasferita su tela. Lo stesso vale per le luci e i colori: provati in miniatura per rendere al meglio la dolcezza caratteristica della Cristiana Letizia quale ideale di fede umile fonte di gioia. Un capitolo a sé hanno infine le quattro incisioni, realizzate a morsure replicate. Una variante di acquaforte che avvicina la grafica alla pittura, ammorbidendone l’impatto chiaroscurale, quale innovazione assoluta per l’epoca.
L’intervista ai curatori
La mostra, affiancata da un intenso impegno di ricerca e restauro, intende restituire un grande urbinate alla contemporaneità, donando “un sorriso e un po’ di bellezza, di cui tutti oggi abbiamo bisogno”. Sono le parole di accompagnamento dei curatori Luigi Gallo e Anna Maria Ambrosini, che abbiamo intervistato in esclusiva.
Nei secoli, Urbino ha visto nascere ed emergere grandi nomi del panorama culturale, da Raffaello ai letterati della corte ducale. Federico Barocci è uno di questi.
Il suo ruolo a Urbino è fondamentale quale ultimo grande interprete di una scuola locale che ha prodotto personaggi del calibro di Pedro Berruguete e Raffaello. Barocci ne porta avanti il lascito dinnanzi ai suoi contemporanei, come Caravaggio e i Carracci. È l’artista che, già in vita, figura come il più pagato d’Italia: i prezzi dei suoi quadri sono altissimi. Se non è il più famoso, di certo è il più costoso dell’epoca.
E qual è invece il ruolo di Urbino per l’artista?
Urbino è altrettanto centrale per Barocci. Basti considerare che – ad eccezione di brevi momenti della sua vita – egli vive e lavora sempre in città. E questa assume nelle sue opere una funzione iconica: ne diventa la firma distintiva. Allo stesso tempo, i suoi lavori – in cui ricorrono le immagini del Palazzo Ducale o gli scorci del convento – hanno forte valenza politica nella scacchiera delle famiglie più potenti europee. È in capolavori come la grande Crocifissione, commissionata per il Sovrano di Spagna, che l’edificio urbinate dipinto sullo sfondo esporta il prestigio del Ducato, affermandone la rilevanza presso le corti estere.
Entriamo nel vivo della mostra: una grande occasione di riscoperta di questo maestro moderno e di onore per il ruolo culturale marchigiano.
La mostra si inserisce in un percorso ormai pluriennale della Galleria, volto a porre in risalto l’irraggiamento culturale di Urbino nei secoli. Allo stesso tempo, però, è la realizzazione di una promessa: la fine di un’attesa lunga più di 110 anni. Si tratta della promessa fatta ai cittadini nel 1913 da un giovane Lionello Venturi, fondatore di questo museo. Dopo tre anni di studio e lavoro, è oggi realtà, forte dell’entusiasmo di ognuno dei prestatori coinvolti. Tutte le strade si riuniscono: la storia di Urbino, la biografia di Barocci, e l’origine della stessa Galleria.
Guardando alle opere riunite, colpiscono l’estrema dolcezza e la sensibilità nella mano di Barocci.
Sono l’espressione piena della Cristiana Letizia, sentimento promosso ai tempi da san Filippo Neri che mira a riavvicinare i fedeli alla Chiesa. A una Chiesa “degli umili”, improntata alla gioia cristiana. L’artista ha con lui stretti rapporti, concretizzatisi in due grandi pale (qui esposte) per la Chiesa della Valpolicella. La dolcezza di Barocci – quasi un sentimento romantico – si afferma come terza via, alternativa al crudo Realismo di Caravaggio, e al Classicismo dei Carracci. Sarà fondamentale per il Barocco successivo, e non solo: la sua sensibilità emozionale è estremamente moderna, e capace di attraversare le epoche.
In ultimo, non si possono tralasciare disegno e incisione.
Proprio così. Barocci utilizza molto il disegno preparatorio. Le fonti ce lo dicono e lo stile ce lo conferma: la sua è una ricerca molto attenta al naturalismo plastico delle luci e dei colori, e alla grazia dei sentimenti umani. Il che richiede un lungo studio prima della messa in opera definitiva. E poi ci sono le incisioni. Benché ne abbia prodotte solo quattro, sono testimonianza chiave di utilizzo di una tecnica innovativa, quella a morsure replicate, che richiede ripetute immersioni nell’acido, così da ottenere un chiaroscuro più morbido e sfumato. Un gioco di ombre da lui anticipato, che avrà un enorme successo nel pieno Seicento, e un ulteriore lascito di Federico Barocci, che ne riconferma l’importanza nel panorama della storia dell’arte.
Emma Sedini
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati