Alla Milano Fashion Week 2024 l’alta moda incontra le opere di Piero Manzoni 

Si parla della nuova Collezione primavera/estate 2025 della stilista Maria Calderara, presentata in questi giorni con una mostra che accosta abiti e bijoux alle opere del grande artista a cui sono ispirati. Ecco l’intervista

Non c’è nulla da dire: c’è solo da essere, c’è solo da vivere”. È questa forse la frase più celebre che ci ha lasciato il grande artista Piero Manzoni (Soncino, 1933 – Milano, 1963). Queste le parole con cui concluse il testo Libera dimensione, pubblicato sulle pagine della rivista Azimuth nel 1960, che legano il suo pensiero al nuovo progetto della designer Maria Calderara. Si tratta della Collezione primavera/estate 2025, presentata in occasione della Milano Fashion Week 2024. La stilista italiana, già da diverse stagioni, ha scelto di unire lavoro e passione in abiti e accessori in cui l’alta moda si fonde con l’arte contemporanea. Grazie alla scelta accurata dei materiali e a lavorazioni artigianali minuziose, ogni pezzo diventa unico, irriproducibile: come è vero per le opere d’arte a cui si ispira. Dopo Antonio Scaccabarozzi ed Eugenio Tibaldi, la collezione proposta per l’anno prossimo dialoga con i lavori – ma soprattutto con la poetica – del grande precursore della Conceptual Art: Piero Manzoni. Una sfida all’inizio inimmaginabile, “impossibile” – a detta della designer – che è oggi realtà, grazie alla stretta collaborazione con la Fondazione Piero Manzoni. Collaborazione concretizzata anche nella mostra visitabile presso lo SPAZIO Maria Calderara di Milano, in cui i capi e i bijoux di #TOUCH dialogano da vicino con alcuni dei lavori dell’artista a cui la stilista si è ispirata. Con l’occasione, l’abbiamo intervistata in esclusiva per capire di più di questa sua contaminazione artistica.  

La poetica di Piero Manzoni nella collezione di Maria Calderara a Milano 

La sfida iniziale della designer nel disegnare la Collezione #TOUCH a partire dall’opera di Piero Manzoni era insita nella complessità della sua figura. Nella sua brevissima esistenza, egli riuscì a superare il concetto stesso di arte per come la si era definita fino a quel momento. Abbandonando forme, colori, e persino l’intervento fisico dell’artista, giunse a esprimere nei suoi lavori provocatori l’essenza pura della materia. Di più: l’essere (e nient’altro) di un’opera d’arte. 

Gli Achrome di Piero Manzoni 

Uno dei primi passi in questa direzione – che si ritrova negli abiti presentati in mostra – è la serie degli Achrome, realizzata da Manzoni a partire dal 1957, con vari materiali. Tele, polistirolo, lana di vetro: tutti si prestano a rendere superfici monocromatiche e incolori. Un esempio sono quelli ottenuti con l’immersione di una tela nel caolino (un tipo di argilla usata per produrre la porcellana), che viene poi stesa lasciandola libera di afflosciarsi a formare grinze e linee irregolari. Il titolo, Achrome, suggerisce l’intento dell’artista che accomuna la serie: ridurre l’opera al non-colore, a una totale neutralizzazione e assenza di esso. Intento che viene tradotto da Calderara nell’abito in tela paracadute, reso “croccante” dalle increspature sui profili. O nella camicia con appliqués sferiche di polistirolo, bianco su bianco, per lasciare che siano i materiali a differenziarsi pur nell’assenza di colore.  

Le impronte di Piero Manzoni  

Un secondo atto performativo chiave nella produzione di Manzoni e che si ritrova nella collezione – tradotto nei bijoux – è Consumazione dell’arte, dinamica del pubblico, divorare l’arte. Un evento da lui organizzato il 21 luglio 1960, quando invitò il pubblico a “intervenire in modo attivo” nella sua mostra, consumando le opere esposte. Si tratta ovviamente di una provocazione: le opere erano 150 uova sode, da lui timbrate con la sua impronta digitale. Un’idea rivoluzionaria, che si accosta alla celebre serie di Merde d’Artiste, o alle Sculture viventi: corpi di modelle “firmate” da Manzoni, e considerate per questo arte.  

L’intervista a Maria Calderara alla Milano Fashion Week 2024 

Cominciamo con l’origine della tua ispirazione ai grandi artisti del passato contemporaneo. 
Ormai da diverse collezioni, sto lavorando in dialogo con gli artisti. Sono sempre stata un’appassionata d’arte e collezionista, dunque per me è stato naturale sentirne le influenze e rendere le ricerche di alcuni di loro delle vere fonti di ispirazione. Questo mi ha permesso – e mi permette tutt’ora – di legare di più il mio lavoro al mio quotidiano e alle mie passioni. Indagare e comprendere a fondo il percorso intellettuale degli artisti è per me veramente affascinante. 

E come ti sei avvicinata, in particolare, alla ricerca di Piero Manzoni? 
Non molto tempo fa, ho avuto la fortuna di conoscere Rosalia Pasqualino di Marineo, direttrice della Fondazione Piero Manzoni, che ha sempre seguito con attenzione il mio lavoro ed è rimasta molto incuriosita da questo legame tra i miei abiti e l’arte.  
Proprio un anno fa, alla presentazione della collezione #ROUNDRIVER, in dialogo con Antonio Scaccabarozzi, è rimasta entusiasta del mio lavoro. Così mi ha chiesto di sviluppare una collaborazione insieme, fondata sull’opera di Manzoni. Lì per lì, le ho detto di sì – allora senza rifletterci troppo – ma mi pareva impossibile. 

E poi, come si è concretizzata questa collezione “impossibile”? 
Mesi dopo, ne abbiamo riparlato a mente fredda, e solo allora ho realizzato quello che stava avvenendo. Ho quasi avuto un momento di panico: non sapevo se – e come – sarei riuscita a confrontarmi con un artista del calibro di Piero Manzoni, che personalmente amo moltissimo.  

La Collezione #TOUCH ispirata a Piero Manzoni 

Entriamo dunque nel vivo di questa nuova Collezione. Illustraci un po’ i temi, i tratti delle opere e della poetica di Piero Manzoni che ritroviamo negli abiti e negli accessori. 

L’opera di Manzoni, come ho già anticipato, mi ha sempre affascinato immensamente. E questa collezione è stata l’occasione per approfondire e comprendere davvero a fondo il pensiero e la pratica dell’artista, per poi riportarli nel mio mondo.  
Non mi sono ispirata ad opere in particolare, bensì alla visione generale dell’arte di Manzoni. La sua celebre frase del 1960 “Non c’è nulla da dire: c’è solo da essere, c’è solo da vivere” per me è un mantra, una sintesi.  

E il processo creativo? Come sei passata dalle opere ai modelli definitivi?   
La relazione costante con Rosalia e con lo staff della Fondazione mi ha permesso di lavorare con serenità durante tutto questo periodo. La loro attenzione e conoscenza sono state per me una garanzia per non commettere errori e leggerezze. È stata un’esperienza creativa magica, fuori dal tempo. Ispirata dalle parole e dal modus operandi di Manzoni, ho attivato una ricerca di materiali a tutto tondo, in cui “tutto è possibile”, tutto può diventare una superficie che segue – nel mio caso – le forme del corpo in modo inaspettato. 

Guardando ai capi presentati in mostra, si nota una grande attenzione all’artigianalità e a certi piccoli dettagli. Mi riferisco ad esempio alle impronte digitali timbrate sui tessuti e riprese sui gioielli… 
In effetti, credo molto nell’artigianalità di questo lavoro. Attraverso la relazione ormai ventennale con le professioniste dei miei laboratori, ho immaginato lavorazioni manuali ispirate all’artista, con cui sono riuscita a dare nuova vita anche a materiali che già erano parte della mia ricerca. Ho deciso di timbrare a mano l’impronta di Manzoni sugli abiti, per restituire la potenza e l’unicità del suo gesto – quando marchiò le uova con i suoi pollici – e rendere così ogni capo unico per posizione e quantità di colore sul tessuto. Anche nei bijoux, ho timbrato le sue impronte con una tecnica molto raffinata, che si avvale di carta velina e di un susseguirsi di colla e vernici, in un processo lento e meditativo. 

Come avvenuto in passato, anche quest’anno presenti le tue creazioni con una mostra-dialogo tra abiti e opere d’arte.  L’allestimento di questo nuovo dialogo fa parte della ricerca con cui desidero rendere omaggio a Manzoni. Non voglio infatti limitarmi alla creazione della collezione, ma desidero evidenziare il legame profondo che ho intrapreso con il suo pensiero. I materiali e i supporti si muovono liberi nello spazio espositivo, passando dai dipinti alle mie creazioni, e a volte restando sospesi. Nel progetto dedicato a Scaccabarozzi, ad esempio, avevo usato fogli di polietilene – materiale a lui molto caro – per creare un nucleo all’interno dell’ambiente della mostra che ospitasse i miei abiti, creando un dialogo strettissimo con le opere dell’artista installate sui muri. E ora, con Piero Manzoni, vorrei fare un po’ la stessa cosa. Creare un “ambiente completo”, sintesi di quello che ho assimilato e interpretato del suo lavoro.  

Emma Sedini 

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Emma Sedini

Emma Sedini

Etrusca e milanese d'origine in parti uguali, vive e lavora tra Milano e Perugia. È laureata in economia e management per arte, cultura e comunicazione all'Università Bocconi, e lì frequenta tutt'ora il MS in Art Management. Nel frattempo, lavora in…

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