Arte e politica: gli artisti e le opere hanno paura della storia dell’arte
Il mondo dell’arte così come lo conosciamo sembra non essere mai stato così distratto e acquiescente come in questo (epocale) momento storico. E mentre la distruzione avanza a grandi passi al massimo si teme di incorrere in qualche errore di comunicazione
Father, father
We don’t need to escalate
You see, war is not the answer
For only love can conquer hate
You know we’ve got to find a way
To bring some lovin’ here today
MARVIN GAYE, WHAT’S GOING ON (1971)
Gli artisti di oggi, a quanto pare (e fatte le dovute eccezioni) vogliono la didascalia: preferiscono l’opera esposta platealmente, senza interferenze dubbi disturbi. Se fanno una mostra, vogliono che la mostra si veda in quanto tale, e che le opere si riconoscano immediatamente come opere: “Ehi, eccomi, sono qui! Mi vedete? Sono l’opera! Sono io, sono proprio io, in tutto il mio splendore!!!”
I lavori esposti devono quindi essere esposti chiaramente, esplicitamente. Ai loro autori piace affatto se le opere si nascondono, o si infiltrano, o si mischiano con gli elementi della realtà, con il contesto. Come mai? Boh. Magari, e dico solo magari, hanno paura che i loro sforzi non vengano riconosciuti e gratificati adeguatamente. Temono, cioè, di non essere creduti.
La sfiducia nei confronti del curatore
Ma poi c’è anche una quota di sfiducia nei confronti del critico-curatore, è dunque anche lui/lei a non essere creduto.
L’artista, perciò, oggi da una parte non sa che pesci pigliare, dall’altra vuole vivere in assoluta autonomia, sganciato rispetti agli altri ruoli e funzioni. Tollera, nella migliore delle ipotesi, la critica (ma preferisce di gran lunga i Bravo/a! Grande! Mitico/a! dei commenti sui social…); mal sopporta i consigli del curatore/curatrice, convinto/a – molto spesso a ragione – che questa figura un po’ fumosa e sfuggente non sia sempre del tutto dalla sua parte; teme da un lato, ma dall’altro desidera ardentemente, le attenzioni e l’influenza sulla propria opera delle gallerie e del mercato.
Artisti e mercato dell’arte
Vive all’interno di questo fantomatico Moloch che è “ilsistemadell’artecontemporanea”, senza rendersi conto fino in fondo che (almeno in Italia) non esiste alcun sistema. Al massimo, ci sono piccoli gruppi di potere e di pressione, in competizione tra loro, che tentano di definire decisioni in realtà prese altrove. (Dunque, il sistema-nonsistema nostrano si limita al massimo alla ratifica, spacciandola all’esterno e all’interno per scelta indipendente). Ecco, l’artista vuole oggi essere indipendente: ma indipendente da che cosa? E da chi?
L’indipendenza dalla storia dell’arte
Innanzitutto, direi, dalla storia; dal passato, proprio e collettivo. Dalla storia dell’arte, percepita e considerata come opprimente, paralizzante. Una storia non troppo conosciuta, sfiorata nel migliore dei casi, e che nondimeno esercita un potere oscuro…
Il passato diventa così non stimolo, archivio a cui attingere fonti e suggerimenti, ma un mare minaccioso che va se possibile evitato accuratamente, o se proprio si deve costeggiato. Così, in modo analogo, il confronto con altri artisti e con gli “intellettuali” (questa categoria misteriosa, oggi pressoché sconosciuta, sparita dai radar e quasi certamente estinta). Certo, magari l’artista può pensare talvolta con nostalgia e rammarico esibiti a come dovesse essere bello e interessante trovarsi al Caffè Rosati o al Bar Jamaica in determinati anni e mesi – ma io continuo a pensare che, se lo stesso artista venisse catapultato improvvisamente e per magia a uno di quei tavolini, si troverebbe non del tutto a proprio agio in compagnia di personaggi paradossali, controversi, a volte antisociali e, insomma, degli autentici svitati. Ho l’idea che quelle discussioni fossero molto più conflittuali, aggressive, impegnative di quanto amiamo pensare – per quanto ricche di ironia, gioco, divertimento.
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In questo tempo buio, in questo tempo che ci lascia attoniti per l’accelerazione… In questo tempo abbastanza incomprensibile, spietato ma comunque interessante, avvilente per la stupidità generalizzata e sorprendente per la genialità isolata… In questo tempo ottuso, di spreco imperdonabile di risorse e di idee e di opportunità…
In questo tempo io, come sempre e come è giusto, non so dare risposte. Soprattutto, per quello che mi e ci riguarda più da vicino, non so dare risposte in merito all’opera d’arte contemporanea, alle opere d’arte contemporanea.
Le opere d’arte nel presente
Eppure queste opere, sinceramente, onestamente (e questa sensazione non riesco proprio a togliermela di dosso), mi sembrano sempre più dei giochini – dico, mentre qui rischia di venire giù tutto, e il mondo sembra una palla impazzita che ruota sempre più furiosamente su se stessa, la gente litiga per strada e l’Occidente non esiste più, e assistiamo alla farsa di nessuno, nessuno che si dà seriamente da fare per la pace (: la stessa espressione DE-ESCALATION, ridicola se non fosse oscena, è sintomatica, significativa: ma che vuol dire “de-escalation”? E perché uno o una con alte responsabilità di governo deve o dovrebbe impegnarsi per il contrario – molto timido, in effetti, come contrario – della escalation? Non si può impegnare direttamente, positivamente piuttosto per la pace, per l’assenza di conflitto? Che cosa glielo impedisce?)
Non so, ma mi sembra che il mondo dell’arte così come lo conosciamo non sia mai stato così distratto e acquiescente come in questo (epocale) momento storico. Al massimo, si cerca di non offendere “le varie sensibilità”, di non “alienare segmenti di spettatori” (!). Si sta attenti cioè a non incorrere in errori di comunicazione, a non essere percepiti come maleducati: questa mi sembra la preoccupazione principale del sistema-mondo artistico (ammesso poi che qualcosa del genere esista sul serio…), nel momento stesso in cui la distruzione avanza a grandi passi e in cui abbiamo prove evidenti di una sorta di follia diffusa, di impazzimento collettivo che periodicamente si impadronisce delle nostre società, erodendo e minando e cancellando ogni discorso razionale, e persino il più sano ed elementare istinto di (auto)conservazione.
Christian Caliandro
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