Riapre il museo Gulbenkian di Lisbona con l’architettura di Kengo Kuma 

L’architetto giapponese porta il Sol Levante nella nazione più occidentale d’Europa: Portogallo e Giappone dialogano nell’architettura del rinnovato CAM Gulbenkian di Lisbona. Ecco tutte le novità e le mostre in corso

La novità culturale dell’autunno a Lisbona è la riapertura del CAM, il Centro de Arte Moderna Gulbenkian. Chiuso dall’agosto del 2020, l’edificio costruito nei primi Anni Ottanta dall’architetto inglese sir Leslie Martin (1908-2000) in Stile Internazionale, è stato riprogettato e rinnovato, soprattutto negli esterni, dal giapponese Kengo Kuma (Kamagawa, 1954). Il nuovo CAM ha cambiato letteralmente d’aspetto, aprendosi alla città e integrandosi con il gran parco pubblico che circonda la Fondazione Gulbenkian. 

Gli esterni del CAM Gulbenkian di Lisbona 

Il primo edificio firmato da Kengo Kuma in Portogallo non poteva che essere un omaggio al Giappone: si ispira, infatti, all’engawa, la passerella in legno che unisce i diversi ambienti delle case tradizionali giapponesi, una sorta di veranda dal tetto spiovente. Dal nuovo accesso al museo – sul lato sud del parco della Gulbenkian – un’enorme tettoia, coperta di piastrelle lucide bianche in ceramica portoghese, attira l’attenzione e induce a varcare l’impercettibile perimetro di accesso a un giardino. L’architetto paesaggista libanese Vladimir Djurovich ha voluto che questo spazio verde, integrato di recente nei 18 ettari del rigoglioso parco della Gulbenkian, mantenesse un aspetto spontaneo, quasi incolto. Djurovich ha, infatti, circondato le piante esistenti di grandi aiuole, integrandole con specie autoctone (come i bellissimi cespugli di rosmarino) e disegnando vialetti, con un piccolo stagno rotondo al centro che accentua l’atmosfera nipponica. Il giardino, aperto al pubblico fino al tramonto, funge da introduzione all’edificio ed è un luogo di condivisione del CAM con la città. Dal verde si passa con altrettanta naturalità all’ombra dell’Engawa, la tettoia a forma di V rovesciata, lunga un centinaio di metri e foderata di listoni in legno tipo teck, sostenuta da un sistema di doppi pali in ferro. Per accedere al museo, Kengo Kuma ha creato così uno spazio ibrido – né outdoor indoor – che delimita e ricopre un luogo di passaggio, di incontro, di armonia tra natura e architettura. 

L’interno, il ristorante e il bookshop del Gulbenkian 

All’interno dell’edificio, invece, il celebre architetto giapponese si è limitato ad abbattere qualche parete e ad aprire grandi finestre su ambo i lati del giardino, per illuminare di luce naturale la hall di ingresso, che ospita in questi mesi anche una curiosa installazione, la H-BOX. Si tratta di una sala-video mobile (già presentata al Pompidou e alla Tate Modern) progettata dal franco-portoghese Didier Fiúza Faustino per mostrare una serie di opere video di artisti internazionali, tra i quali Rosa Barba e Cao Fei.  
Bellissima la nuova caffetteria, Mesa do CAM, con arredi minimal, tavoli comunitari e uno stile zen anche nel menù, firmato dal portoghese André Magalhães (chef del noto ristorante di Lisbona Taberna da Rua das Flores), che impiega ingredienti locali trattati in maniera rigenerativa (e a prezzi assolutamente ragionevoli).  Raffinato anche il bookshop a vista che, oltre a libri e cataloghi, vende anche stupendi gioielli d’autore e pezzi di design di artisti rinomati; come le ceramiche di Joana Vasconcelos per la tradizionale fabbrica portoghese di Bordallo Pinheiro. 

La “Nave” con l’installazione di Leonor Antunes 

Del vecchio, e forse anche un po’ datato, edificio di Leslie Martin resta intatta, invece, l’enorme Nave: un gigantesco openspace dal soffitto inclinato, sorretto da grandi campate in cemento, difficile da “riempire” con opere d’arte e dove a stento risalta l’installazione site specific dell’artista portoghese Leonor Antunes (Lisbona, 1972). Non è sufficiente, infatti, appendere alle travi in cemento opere d’arte fatte di corde, strisce di tessuto e di altri materiali, con colori, fogge e accoppiamenti diversi per rendere emozionante l’ingresso in quest’immensa navata semivuota.  In realtà, ne La costante disuguaglianza dei giorni di Leonor (questo il titolo dell’installazione) l’artista portoghese riflette sulla vulnerabilità del gesto creativo, in dialogo con una serie di opere “femminili” della collezione del CAM, e non solo, esposte nel Mezzanino, lo spazio sopraelevato al quale si accede dalla Nave attraverso due rampe di scale. Un dialogo, però, reso difficile dalla distanza fra le opere e dalla scarsa chiarezza delle descrizioni nelle cartelle. 

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Kengo Kuma e il dialogo tra Portogallo e Giappone 

Il resto delle proposte espositive di questo primo semestre di riapertura del CAM è incentrato sul dialogo fra l’edificio e la cultura giapponese che lo ispira, dialogo nel quale Kengo Kuma stesso ha coinvolto personalità di spicco del mondo nipponico, artisti e intellettuali.  Si intitola Engawa Project (dal simbolo stesso dell’edificio) e al primo piano presenta una serie di pezzi d’arte contemporanea giapponese, alcuni realizzati da artisti che non hanno mai esposto prima d’ora in Portogallo.  
Nell’Engawa space – ridisegnato sotto il Mezzanino, creando aperture con vista dal basso al nuovo giardino – è allestita invece la personale dedicata a Fernando Lemos (1926-2019), artista multidisciplinare brasilo-portoghese formatosi in Giappone e per questo denominato “il calligrafo occidentale”. In mostra, una panoramica esaustiva della sua lunga attività, tra fotografia, disegni e opere grafiche che si riflettono in antiche stampe giapponesi. 

La collezione permanente del CAM Gulbenkian di Lisbona 

Alla collezione permanente del CAM è per ora riservato, a rotazione, uno spazio piuttosto esiguo al piano interrato, esiguo se si considera che la collezione comprende circa 12mila opere e spazia dalla fine del XIX secolo ai giorni nostri, con i nomi più significativi dell’arte portoghese e internazionale.  
Tide Line è il titolo della selezione attuale (esposta fino a maggio del 2026) che riunisce un’ottantina di pezzi – tra dipinti, video, fotografie, installazioni, grafiche e sculture – che riflettono sulle rivoluzioni e i cambiamenti in corso, soprattutto quelle nell’ambito dell’ecosistema naturale. Il tema si ispira all’omonimo lavoro di Hamish Fulton, che mostra la linea di incontro fra due correnti nell’oceano, e si sviluppa in un dialogo (talora forse poco evidente) tra pezzi contemporanei e opere moderniste. Tra le riflessioni più acute, quelle di artisti portoghesi di origine africana come Monica De Miranda e Kiluanij Kia Hends. Il progetto senza dubbio più interessante è però Bardo Loop, la video installazione di Gabriel Abrantes (North Carolina, 1984) commissionata dalla Gulbenkian per l’occasione: un melodramma in 4 video della durata di pochi minuti, nel quale creature fantastiche esplorano frammenti autobiografici dell’artista, inserendoli nel contesto delle catastrofi umanitarie del nostro tempo. Il montaggio delle immagini, proiettate su grandi pannelli verticali, è davvero suggestivo per la sovrapposizione visiva e auditiva. Bella, infine, la proposta del CAM dell’Open Storage, che permette al pubblico e agli studiosi di scegliere e ammirare su richiesta alcune delle opere della collezione permanente rimaste nei depositi. 

Federica Lonati 

Lisbona // fino al 20 gennaio 2025 
Il Calligrafo Occidentale. Fernando Lemos e il Giappone 
 
Lisbona // fino al 17 febbraio 2025 
Leonor Antunes. La costante disuguaglianza dei giorni di Leonor 
 
Lisbona // fino all’11 maggio 2026 
Tide Line – Collezione CAM 
 
CAM – CENTRO DE ARTE GULBENKIAN 
Rua Marqués de Fronteira 
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Federica Lonati

Federica Lonati

Federica Lonati (Milano, 1967), giornalista professionista italiana, dal 2005 vive a Madrid. Diploma al Liceo Classico di Varese e laurea in Lettere e Filosofia all’Università Cattolica di Milano, si è formata professionalmente alla Prealpina, quotidiano di Varese, scrivendo di cronaca,…

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