Dopo la Biennale, il Pecci di Prato. La prima grande mostra dell’artista Louis Fratino è in Italia
Fonti letterarie illustri, un ricordo della Transavanguardia e la pittura italiana da faro guida per questo giovane artista del Maryland, ma di origini molisane, che dalla mostra internazionale di Pedrosa a Venezia sbarca in Toscana con la sua prima personale, intitolata Satura, nel nostro Paese
Non ripetermi che anche uno stuzzicadenti,
anche una briciola o un niente può contenere il tutto.
È quello che pensavo quando esisteva il mondo
ma il mio pensiero svaria, si appiccica dove può
per dirsi che non s’è spento. Lui stesso non sa nulla,
le vie che segue sono tante e a volte
per darsi ancora un nome si cerca sull’atlante.
Eugenio Montale, L’Eufrate (Satura II, 1971)
La mostra che il Centro Pecci di Prato dedica al giovane emergentissimo pittore Louis Fratino (Annapolis, 1993) – il quale alla Biennale di Venezia di quest’anno ha presentato una delle sale più interessanti e coinvolgenti al Padiglione Centrale dei Giardini – rende conto dello sviluppo della ricerca di questo artista.
Chi è l’artista Louis Fratino
In particolare, Fratino si concentra sulla propria relazione sentimentale e culturale con l’Italia, intesa come paesaggio identitario (le sue origini sono infatti molisane) e come identità artistica, con uno specifico riferimento alla pittura italiana tra le due guerre: dunque Filippo De Pisis, Carlo Carrà, Mario Mafai, Felice Casorati, Fausto Pirandello, Renato Guttuso; c’entrano anche, in maniera non marginale, gli scultori Arturo Martini e Marino Marini. Ritroviamo dunque questi modelli sparsi e assemblati nei dodici nuovi quadri realizzati in occasione della mostra a Prato, che affiancano una ventina di altri dipinti precedenti, venti opere su carta e alcune sculture in terracotta. Si tratta di nature morte, interni domestici, paesaggi e ritratti, in cui il corpo nudo e il sesso esplicito sono solo due degli elementi che compongono una poetica fatta di nostalgia e di meditazione.
Louis Fratino a Prato: le fonti
Il ‘montaggio’ di fonti è reso più complesso e articolato dal costante riflesso della poesia e della letteratura, che affiora in questo diario visivo: Sandro Penna (per le poesie del quale, tradotte in inglese, Fratino ha realizzato una pregevole serie di litografie), Pier Paolo Pasolini, Eugenio Montale (dal quale deriva il titolo Satura dell’esposizione), Mario Mieli e soprattutto Patrizia Cavalli.
Come si era accennato qui (L’arte di Louis Fratino alla Biennale di Venezia | Artribune), la lente del “contenutismo” non ci consente di apprezzare a fondo il senso del lavoro sulla pittura, profondo e originale per i tempi che corrono, che Fratino sta portando avanti. La radice indubbiamente picassiana della sua ricerca formale, infatti, lascia qui spazio a e si combina con riferimenti italiani nient’affatto banali per un pittore americano, con la mediazione abbastanza ovvia ma appena accennata della Transavanguardia italiana (soprattutto Francesco Clemente e Sandro Chia, che hanno stabilito quarant’anni fa i contatti più profondi e fecondi con gli Stati Uniti) e in generale del ritorno alla pittura di fine anni Settanta e primi anni Ottanta, post-concettuale e post-moderno: di certo gli americani con Julian Schnabel in testa, ma anche artisti tedeschi come Jörg Immendorf.
L’arte di Louis Fratino a Prato
Louis Fratino si è perciò imbevuto di queste fonti e di queste suggestioni, prelevate dall’arte visiva, dalla poesia, dalla fotografia e dal cinema, per proseguire lo sviluppo di un linguaggio che ha costruito pazientemente in un giro relativamente stretto di anni. Sono dunque tanti i tasselli che compongono il suo stile, nell’ambito di un progetto e di un’indagine personale sul modernismo che hanno ancora ampi spazi di manovra.
Come ha ricordato durante la conferenza stampa il direttore del Centro Pecci Stefano Collicelli Cagol, “questa è la prima mostra dell’artista in un’istituzione: essa ha un respiro internazionale e presenta immaginari che non sono sempre presenti all’interno del discorso mainstream del nostro Paese. Quello di Fratino non è un esercizio citazionista, ma la volontà di recuperare frammenti di bellezza della tradizione, attraverso un lavoro sottile sulla dimensione queer dell’arte che cento anni fa non era trattata”.
A distanza di mesi dalla visita alla Biennale e in occasione della visita a questa bella mostra, si può riflettere che insistere un po’ meno sull’elemento ‘contenutistico’ del lavoro di questo artista – molto meno centrale, a mio parere, di come viene molto spesso presentato – non potrebbe che giovare al lavoro e all’artista stesso.
Christian Caliandro
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