Dal cinema all’archeologia: il futuro della creatività è degli ingegneri?
Le professioni technology based risulteranno più alla portata di ingegneri: cinema, musica e archeologia. Proprio per questo è sempre più necessario un dialogo con chi detiene il sapere umanistico
Dal 1990 ad oggi, il mondo si è completamente rivoluzionato. Sono cambiati stili di vita, comportamenti individuali e collettivi. È cambiato il modo in cui comunichiamo, pensiamo, ragioniamo, studiamo. È cambiato il modo in cui gli esseri umani combattono le guerre e cercano l’amore della propria vita. Cambiamenti che non sono avvenuti per ideologia o per religione, ma come conseguenze concrete degli strumenti a nostra disposizione.
Oggi, qualsiasi elemento della nostra esistenza deve gran parte della propria struttura alle tecnologie che in questi ultimi 30 anni sono state immesse sul mercato. L’Intelligenza Artificiale, è soltanto l’ultima esplosione sul versante cronologico, ma altre già sono più o meno pronte a sostituirla quando il boom dell’IA avrà raggiunto la fase discendente della parabola (come già è accaduto con gli NFT, con il Metaverso, con la VR, e via discorrendo).
Le varie declinazioni dell’innovazione tecnologica: scettici e apocalittici
Sono in molti a dirsi preoccupati sul futuro occupazionale: c’è chi ritiene che l’Intelligenza Artificiale possa sostituire l’uomo nell’elaborazione di prodotti culturali; chi teme che alcune professioni saranno completamente sostituite da robot o da software.
Si tratta, in molti casi, di prospettive che cedono all’apocalittismo (e il richiamo non è casuale), ma che sicuramente riescono a cogliere un elemento che sarà sempre più evidente nel corso dei prossimi anni: è sicuro che molte professioni cambieranno.
E cambieranno perché gli strumenti software presenteranno dei vantaggi in termini di rapporto qualità-prezzo dei beni e servizi strumentali molto più conveniente se messo in confronto a tecnologie meno avanzate.
Strutture produttive, tecnologia e lavoro
Non si tratta, però, di una novità: è da più di un secolo che, malgrado con tempi diversi, si assiste ad una continua modifica delle strutture produttive, e di conseguenza, delle professioni di cui tali strutture produttive sono composte.
Non sempre, però, questi cambiamenti hanno generato una massiva perdita occupazionale. Tranne alcune professioni, infatti, l’introduzione di una tecnologia in grado di facilitare una determinata operazione non ha comportato la piena sostituzione del personale, ma un incremento delle competenze.
Ciò di certo non ha generato problemi a livello individuale: se prima uno sviluppatore di siti poteva avere grandi margini di guadagno da ogni sito, la necessità dei grandi motori di ricerca (leggi Google) di avere quanti più siti disponibili, ha portato proprio quei grandi motori di ricerca a creare delle soluzioni che, con un po’ di alfabetizzazione, ti consentono di creare un sito web praticamente a costo zero. Non è che lo sviluppatore web abbia smesso di esistere. Magari dove prima erano necessari 10 sviluppatori per agenzia ora ne basta 1. Ma sono anche state create altre 9 agenzie.
Nel discorso della creatività e della cultura, tuttavia, questo andamento presenta i propri principali limiti.
Non perché adesso ci sono IA che possono realizzare immagini, libri, articoli di giornale e a breve potranno realizzare anche corto e lungometraggi, affatto.
Produzione culturale e tecnologia
Il problema dell’evoluzione delle professioni culturali è piuttosto legato al set di competenze che è ormai necessario possedere, che nella maggior parte dei casi affondano in ambito tecnologico più che culturale ed artistico.
In ambito cinematografico, come indicato da Marco Milone in una sua riflessione su L’Indiscreto, l’intelligenza artificiale è già un elemento centrale della produzione cinematografica. Le sue applicazioni variano dal light design al trucco, fino al montaggio di trailer cinematografici (che tuttavia richiedono poi un editing umano).
Tutti elementi che spostano la gamma delle competenze necessarie per lavorare nel mondo della creatività in modo considerevole: chi ha studiato make-up, ad esempio, difficilmente potrà essere in grado di padroneggiare il trucco digitale come si fa con il trucco fisico. Chi ha studiato scenografia avrà le medesime difficoltà con i software di ricostruzione ambientale.
Tutte professioni che, essendo technology-based, risulteranno più alla portata di ingegneri. La musica? Lo stesso. L’archeologia? Idem.
Non potendo ormai tornare indietro. Né volendo farlo. Ed essendo molto improbabile la completa acquisizione di quelle competenze che consentano la piena padronanza delle professioni fisiche e digitali, sarà sempre più necessario creare dei livelli di comunicazione e di partnership importanti tra chi possiede un bagaglio umanistico e chi invece proviene da un percorso prettamente tecnico.
Il dialogo tra umanisti e tecnologia
Il rischio è che, altrimenti, la creatività sia nei fatti uno spazio libero all’interno del perimetro reso disponibile dalle tecnologie.
Riuscire a comprendere la funzione strumentale della tecnologia è importante, perché invece di ridurre competenze, le arricchisce, e perché chi immagina al di fuori del possibile rappresenta una linfa vitale per coloro che poi dovranno davvero creare l’impossibile.
Altrimenti il problema non sarà più quello dell’identità digitale, ma dell’identicità delle espressioni.
Stefano Monti
Libri consigliati:
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati