Le polemiche sull’opera di Gaetano Pesce a Napoli. Intervista al curatore Vincenzo Trione 

La polemica sull’opera del grande designer e artista ha imperversato su stampa e social, mettendo in dubbio la paternità dell’autore, trasformandola in un simbolo del patriarcato, gridando allo sdegno e all’oscenità e generando anche motti, meme e battute. Ma cosa è successo esattamente?

L’arte pubblica non è pubblica se non genera reazioni. Ha fatto molto discutere il progetto Napoli contemporanea curato dal storico e critico d’arte Vincenzo Trione, consigliere del Sindaco del capoluogo campano Gaetano Manfredi. Un museo ubiquo, per prendersi cura dello spazio urbano attraverso l’arte – così nelle intenzioni dei promotori, che ha occupato i luoghi nevralgici di Piazza Municipio, come epicentro, e Rotonda Diaz, Rampe del Salvatore e vicoletto San Pietro a Majella, Port’Alba e Castel Nuovo, con le opere di Marinella Senatore, Francesco Vezzoli, Antonio Marras, Michelangelo Pistoletto (la sua Venere degli stracci monumentale è stata al centro di un importante caso di cronaca che ha portato il dibattito nazionale sulla questione dell’arte pubblica, dopo l’incendio che l’ha devastata lo scorso luglio 2023, le discussioni che ne sono generate, e la ricostruzione). 

Il caso Gaetano Pesce 

Non ha pace Napoli contemporanea, o forse sa cogliere nel segno. Ad ogni modo, esattamente un anno dopo l’opera Tu si na cosa grande del compianto Gaetano Pesce, nato a La Spezia nel 1939 e deceduto a New York nel 2024, opera testamento dell’artista, ha generato sotto la cura di Silvana Annicchiarico, cui Trione ha affidato il progetto, una valanga di reazioni, battute, meme, ilarità, ma soprattutto grande sdegno nel mondo dell’arte e della cultura. L’opera, in gestazione da novembre del 2022, è stata realizzata sotto la guida dello stesso Pesce che negli ultimi anni della sua vita, spiega Annicchiarico, “sentiva fortemente il “rumore del tempo” e soprattutto nell’ultima fase della sua vita questo rumore era amplificato. Era travolto da una fervida creatività e dal desiderio di fare. Pesce voleva un’opera che testimoniasse l’affetto per una terra che amava profondamente e in cui affondavano le radici della sua famiglia. Gli elementi utilizzati da Pesce per questa installazione sono degli archetipi della sua poetica. Il cuore, per esempio, lo ritroviamo nel lontano 1972 in un bozzetto intitolato Two Hearts Lamp, o ancora nel progetto del 2001 per il Word Trade Center dove immaginava un’architettura pluralista capace di raccontare le culture e luoghi. Lo stesso Pulcinella lo ritroviamo nel 2020: ridotto a una camicia con bottoni neri, diventa una lampada da terra”. 

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Progetto dell’opera Tu si ‘na cosa grande di Gaetano Pesce

L’opera di Gaetano Pesce. Come nasce un caso 


Ma perché ha generato scandalo l’opera di Gaetano Pesce? Quella che per volontà dell’artista e designer doveva essere un omaggio a Napoli (“nostro padre non avrebbe mai pensato di offrire a Napoli qualcosa di offensivo o scontato.  Al contrario, ha voluto donare due cuori. Ha scelto di celebrare il lato più femminile e colorato di Pulcinella, vestendolo con tonalità vivaci, in netto contrasto con il tradizionale bianco. È stato un gesto di grande dolcezza, che ha messo in risalto una Napoli ricca di sfumature, aperta e accogliente, proprio come l’amore che lui provava per lei”, hanno dichiarato i figli Jacopo e Milena Pesce) si è trasformata in un boomerang. C’è chi ci ha visto un travisare dell’opera del maestro, un allontanarsi dal bozzetto originale, chi ha visto il Pulcinella del soggetto iniziale trasformarsi in Arlecchino, chi ha semplicemente invocato una violazione dello spazio urbano. I più, non solo i maliziosi, hanno individuato una monumentale fallica, trasformando addirittura l’artista della emancipazione femminile, con la famosa poltrona Up, in un alfiere del patriarcato. Ma quale è stata la gestazione dell’opera? Ci siamo fatti raccontare la vicenda dal curatore di Napoli contemporanea Vincenzo Trione. 

Intervista a Vicenzo Trione 

A che punto è il progetto Napoli Contemporanea?  
Il progetto è partito nel 2023. Abbiamo iniziato a fare una serie di interventi, anche un po’ corsari e imprevedibili diffusi in diversi luoghi della città, con un punto fermo che è quello di Piazza Municipio, andando poi ad occuparne altri, con le opere di Marinella Senatore, Francesco Vezzoli, Antonio Marras, fino alle note opere di Michelangelo Pistoletto e Gaetano Pesce.  

Con quale idea? 
Quella di offrire al pubblico un’arte fuori dai musei e dalle gallerie, un’arte che si vede senza pagare il biglietto e che afferma con grande forza che l’assunto che l’arte può essere un’arma impropria per vedere luoghi che non avevi mai visto o riscoprire quelli familiari sotto una luce diversa. Comunicando con tutti e rimettendo al centro i valori della decorazione e della riconoscibilità, entrando quindi nel discorso pubblico. 

Quali sono le prossime azioni in cantiere? 
L’evento Pesce ci ha costretto a ragionare sui prossimi appuntamenti. Faremo certamente un grosso progetto al Maschio Angioino, previsto per la prossima primavera. 

Certo, non sono mancate le polemiche, prima la Venere degli Stracci e l’incendio conseguente, poi la grande scultura di Gaetano Pesce…. 
Ciò che è successo con Gaetano Pesce era per noi del tutto inatteso. E a mia memoria nell’arte nulla del genere è mai avvenuto. 

Qualcuno ha detto che Pesce, scomparso lo scorso 3 aprile, non avrebbe mai approvato un progetto del genere. Lei che ne pensa? 
L’opera di Pesce è stata disegnata circa due anni su nostra committenza, e dopo un confronto con il Sindaco e con la curatrice Silvana Annicchiarico, che da sempre lavora con l’artista. Nella prima versione si doveva collocare nella rotonda Diaz, poi è stata spostata alla Villa Comunale, infine a Piazza Municipio. In questi passaggi Pesce ha affrontato diversi ripensamenti, il primo dei quali eliminando i bottoni dalla camicia di Pulcinella per evitare la somiglianza con Pierrot. L’opera ad ogni modo è completamente autografa, controllata da Pesce, dallo Studio Pesce, dagli eredi e dal produttore. 

Vincenzo Trione
Vincenzo Trione

Quindi non c’è stato un problema di maestranze… 
No, il Comune si è affidato interamente al rapporto con gli eredi, con lo studio e con Luca Bertozzi che è l’artigiano viareggino con cui Pesce ha realizzato tutte le opere di arte pubblica. 

Tra gli Anni ’90 e i primi 10 anni del 2000 Napoli si è resa protagonista nell’arte contemporanea con le famose installazioni di Piazza Plebiscito (La Montagna di Sale di Paladino, l’opera di Jenny Holzer, Jannis Kounellis e così via). Anche allora la volontà era politica e anche allora ci furono atti di vandalismo, razzie, polemiche, ma non reazioni così forti come quelle che vediamo oggi. Cosa è cambiato, secondo lei? La percezione dell’arte contemporanea? Siamo più preparati o più sensibili alle immagini? Oppure è il modo di comunicare che si è amplificato? 
Il rilievo che hanno avuto le operazioni condotte in epoca Antonio Bassolino è stato senz’altro apripista a livello nazionale. Siamo però in un’epoca quasi archeologica rispetto alla nostra, la rete era ai primordi, i social di là da venire, c’era meno consapevolezza rispetto ai propri giudizi, si tendeva maggiormente alla provocazione. Per Napoli contemporanea, l’obiettivo che ci siamo prefissati con il Sindaco è stato di intercettare una sensibilità diffusa, e anche popolare. Abbiamo scelto artisti profondamente legati al valore delle immagini e dell’ornamento, capaci di mettere in dialogo con le opere con lo scenario urbano. Con Pistoletto e Pesce è successo qualcosa di unico, c’è stata una forma di immedesimazione del pubblico con l’opera.  

In che modo? 
Queste sono opere che raggiungono il proprio obiettivo se vivono come icone e come immagini, se riusciamo a riappropriarci di esse, anche attraverso un selfie e i social. Certo, ciò che è accaduto con l’opera di Michelangelo Pistoletto va oltre l’iconoclastia e ha raggiunto una dimensione tragica. Però posso dire che con la seconda versione della Venere c’è stata anche una difesa da parte dei napoletani, mentre nel caso di Pesce ciò che è prevalso è stato il senso dello sberleffo. Per dire, Mimmo Paladino ha paragonato l’opera alla pernacchia di Eduardo De Filippo. Ad ogni modo, che l’installazione di Pesce nel giorno dell’inaugurazione, sia risultata nei trend topic dopo l’uragano, suscitando un milione e mezzo di reazioni, mi sembra un dato rilevante… 

Secondo lei che cosa ha dato più fastidio dell’installazione? E soprattutto a chi? 
Ha dato fastidio ad un certo mondo dell’arte. Ha anche generato le reazioni di alcune femministe che hanno urlato al patriarcato, facendomi tornare alla mente il film di Fellini, La città delle donne. Però critici e artisti come Achille Bonito Oliva, Mimmo Paladino, Vittorio Sgarbi o un giovane curatore come Eugenio Viola hanno assunto posizioni pubbliche a favore del Pulcinella. Hanno colto il valore di un’opera che crea scandalo, ma incoraggia anche il senso del gioco… 

Immagino le battute dei napoletani a riguardo infatti. 
I borghesi hanno storto il naso, certo, ma ho letto anche tante prese in giro molto divertenti. Però credo anche che ci sia anche un problema di prospettiva. Se l’opera si guarda dalla prospettiva di Palazzo San Giacomo il riferimento sessuale evocato è assolutamente legittimato, ma vista frontalmente, dando le spalle al porto, si capisce senza alcun dubbio che si tratta di un abito. 

Si tratta dunque di una questione di comunicazione (social), più che altro? 
C’è anche questo dato. Da storico dell’arte, però, posso dire che spesso le opere prendono pieghe inaspettate anche per gli artisti stessi. 

Santa Nastro 

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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