Arte al microscopio. Intervista all’artista Emma Helene Moriconi in mostra a Milano 

A partire da un’esperienza intima della corporeità, le opere di Emma Helene Moriconi s’interrogano su una fisicità anatomica vista da vicino. Ne parliamo con lei in questa intervista

In occasione della residenza presso gli spazi di Villa Clea a Milano, Emma Helene Moriconi (Milano, 1997; vive a New York) racconta Intimus, mostra personale che esplora la ricerca pittorica maturata negli ultimi tre anni, presentata su invito della curatrice Allina. Villa Clea è uno spazio d’arte e una residenza artistica, dove la spazialità, i materiali, gli arredi e gli oggetti generano una profonda esperienza sensoriale. In un contesto di spazi fluidi, contemporaneamente abitativi ed espositivi, Villa Clea funge da luogo di incontro informale per artisti e appassionati d’arte. 

Intervista a Emma Helene Moriconi 

All’interno della conversazione presente in mostra a Villa Clea hai menzionato che l’intimità è uno dei temi centrali all’interno della tua pratica. Come riesci a intrecciare il concetto di intimità con elementi della natura come minerali e organismi nei tuoi lavori? 
Stavo riflettendo sull’idea del corpo interiore rispetto a quello esteriore, le parti più profonde e intime di noi stessi, o in latino Intimus. Il concetto di intimità è fondamentale nel mio lavoro, poiché considero i nostri corpi e organi in relazione al paesaggio più ampio. Le mie opere possono essere considerate quasi una mappa topografica del corpo. Una delle mie artiste preferite, Ilana Halperin, ha coniato il termine “Intimità Geologica”, che mi ha ispirato a riflettere sull’accumulo di minerali all’interno del corpo umano, altrettanto importante quanto i minerali calcificate nelle grotte. Le opere diventano un paesaggio intimo e personale dove la vita non è più misurata come la durata della vita umana. I nostri corpi, in particolare i nostri intestini sono abitati da molti organismi viventi, come batteri e funghi, molti dei quali si trovano simultaneamente nel suolo e negli strati rocciosi. È quasi come se stessi rovesciando il corpo e invitando a adottare uno sguardo anonimo verso l’interno. 

Da cosa origina questa tua sensibilità? 
Quando mi è stata diagnosticata una malattia autoimmune da adolescente, volevo comprendere cosa stesse accadendo all’interno del mio corpo a livello molecolare e biologico. Mi sono confrontata con immagini e video tecnici dei miei organi interni. Mentre lavoravo su questo ultimo corpus di lavoro, ho fatto ulteriori esami medici e mi sono ritrovata a decifrare raggi X e ultrasuoni dei miei organi e delle mie ossa. C’è qualcosa di estremamente intimo e vulnerabile nel guardare il funzionamento e i meccanismi interni del proprio corpo. 

I riferimenti culturali di Emma Helene Moriconi 

So che tra le tue ispirazioni ci sono le parole della grandissima Etel Adnan. Mi interessa sapere di più: cosa ti colpisce in particolare della sua poetica? La poesia ha un ruolo costante nel tuo processo creativo, o è stato un incontro più recente? Mi piacerebbe sapere come integri questi riferimenti letterari nel tuo modo di raccontare il mondo attraverso la sua dimensione micro, sia nei temi che nella tecnica 
Leggo e assimilo frequentemente nozioni nei campi dell’antropologia, della letteratura, della biologia, della fisica e della musica e sono delle influenze sempre fluide e in evoluzione. Recentemente leggevo la poesia di Adnan e ha risuonato profondamente in me. In The Spring Flowers Own e Manifestations of the Voyage, Adnan riflette sull’idea del viaggio continuo della vita; i suoi racconti personali sono intrecciati con momenti complessi di violenza, guerra e disastri naturali. Allo stesso tempo, le parole di Adnan hanno la capacità di infondere vita in questi momenti anche ordinari e negli aspetti dell’ambiente che ci circonda. Aspiro a catturare l’agency e il potere dei fenomeni naturali, dai fiumi ai vulcani, alle foreste, evocato nella poesia di Adnan, dando vita ai battiti e ritmi invisibili degli ecosistemi. L’approccio letterario alla fisica di Carlo Rovelli mi ha colpita e mi ha aiutato tantissimo a comprendere e riformulare la mia connessione con il tempo e lo spazio. 

In che modo? 
Il mio lavoro è un continuo push-pull con i miei materiali – olio, cera, colla di coniglio, juta, seta – un equilibrio di medium che rivela una sovrapposizione di strati quasi come la texture della pelle e dei tessuti. Le composizioni sono densamente stratificate e tendo a mescolare il primo piano e lo sfondo, invitando lo spettatore a immaginare una rete intricata di materia, a considerare diverse durate della vita, da un tempo infinitamente micro a uno incitamento macro. 

Natura e corpo nelle opere di Emma Helene Moriconi 

Il tuo lavoro sembra cercare una connessione profonda tra il corpo umano e l’ambiente circostante. Come rappresenti questa relazione tra ciò che è umano e ciò che è minerale o biologico? 
Quando ero più giovane e sottoposta a esami medici, ad esempio, questi ambiti biologici e scientifici non erano più un concetto astratto ma qualcosa di personale e di conseguenza quasi un punto di partenza per il mio lavoro. Le mie composizioni sono intrise di un certo livello di dolore e piacere, di crescita e disagio. Tendo a utilizzare una palette viscerale e organica per evocare i batteri intestinali umani, simili a terreni geologici e antiche sedimentazioni. 

Ad esempio? 
I dipinti The Alteration of Olivine II e The Veins of Red Iddingsite rappresentano queste trasformazioni e alterazioni minerali, evocando al contempo strutture e elementi anatomici umani come vene e ossa. La roccia iddingsite di colore rosso-bruno è il risultato di un’alterazione del minerale olivina che avviene durante l’ossidazione: le composizioni chimiche interne cambiano, ma la forma esterna viene preservata. I dipinti Notes on the thalloid body I & II rappresentano studi di ciò che è conosciuto come tallo, ossia l’intero corpo di un organismo vegetativo pluricellulare in cui non c’è organizzazione dei tessuti in organi; si trova in organismi vegetativi come alghe, funghi e licheni. Sono affascinata da questa sorta di “disorganizzazione” del corpo e delle sue varie parti in contrasto con gli organi umani altamente organizzati. 

Il microscopio nella pratica di Emma Helene Moriconi 

L’osservazione al microscopio offre un modo per esplorare ciò che è invisibile ad occhio nudo. Come questa pratica scientifica influisce sulla tua estetica artistica? 
Con lo sviluppo del microscopio alla fine del XVI Secolo, l’illustrazione scientifica divenne prominente e gli strumenti ottici permisero di visualizzare oltre la capacità dell’occhio umano. Dalle osservazioni microscopiche di Robert Hooke attraverso vari obiettivi, ai disegni a mano e acquerelli della Luna di Galileo Galilei, sono attratta da questi precedenti storici di quelle che possono essere considerate le prime “vere” rappresentazioni di fenomeni naturali invisibili a occhio nudo. Ciò che mi interessa di più, e penso che sia ciò che emerge maggiormente nel mio lavoro, è come queste visualizzazioni degli strumenti ottici abbiano influenzato la comprensione moderna del mondo, l’ambiente, e il rapporto umano con la natura. 

Cosa intendi in particolare? 
In passato ci fu un crescente interesse nell’acquisire conoscenze sul mondo naturale, documentandolo e catalogandolo, il che influenzò profondamente la tradizione pittorica occidentale e la consuetudine per cui osservatore si pone a distanza calcolata dalla natura che osserva. Visivamente, il mio lavoro si immerge nel soggetto nell’immediato, quasi cercando di cancellare precedenti gerarchie e categorizzazioni. Questo processo per me è quasi una metamorfosi per evocare le immagini microscopiche quasi sfocate, chiedendo agli spettatori di considerare ciò che vedono in modo più profondo. Quando ho scoperto la pratica scientifica di tingere campioni e organismi con pigmenti per accentuare e aumentare la visualizzazione al microscopio in contrasto con la luce, ho cominciato a dipingere delle reti dei fungi blu brillanti e organismi vegetali fluttuanti di un rosso acceso, riflettendo su cosa significhi raffigurare e rappresentare ciò che si sta realmente “guardando”. 


 
Mi hai raccontato di quanto la tua ricerca al microscopio sia essenziale nel tuo lavoro, e so del tuo interesse nei funghi e nelle connessioni tra organismi e minerali. Come integri la consapevolezza ecologica nelle tue opere?  
Penso spesso alla “rappresentazione” rispetto alla “presentazione”, a quali narrative possa evocare. Sto cercando di portare attenzione a questi aspetti altrimenti trascurati del nostro ecosistema e della natura, che sono in realtà la risposta a molte domande e preoccupazioni ecologiche di oggi. L’antropologa Anna Tsing evidenzia modi di immaginare un’umanità ambientalmente impegnata, in cui altre forme di vita sono ovunque e sono coinvolte nella formazione di tutto, ovvero ciò che lei chiama “socialità più che umana”. Dove tutte le cose, sono vive e sociali: si costruiscono nelle relazioni con gli altri, si reagiscono e si trasformano. Dai funghi ai minerali e agli organismi vegetali, questa teoria sociale si dovrebbe estendere a tutto l’ecosistema, poiché questi nuovi modi di conoscenza possono aiutarci a conoscere paesaggi particolari e comprendere i cambiamenti ambientali in relazione a tali trasformazioni paesaggistiche. 

Come pensi che pratiche artistiche come la tua possano contribuire a una maggiore comprensione delle nostre relazioni con l’ambiente naturale? 
Sto continuamente sviluppando nuovi modi per conoscere il mondo e gli altri, estendendo e facendo crescere i nostri modi di vivere e apprendere. Siamo partecipanti così come osservatori, non siamo mai stati solo “individui”: per questo il mio lavoro si concentra su relazioni cooperative e simbiotiche. Penso sia vitale che le pratiche artistiche visive e i linguaggi visivi immaginino tali collaborazioni ecologiche, sensibilità interspecie e relazioni che vadano oltre l’idea della conquista della natura e di altre specie da parte dell’uomo, ma in cui umani e non umani non solo vivono insieme, ma prosperano, si scambiano e crescono in simbiosi. 

Arnold Braho 

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