A inizio 2025 torna la Biennale delle Arti Islamiche a Jeddah in Arabia Saudita
Una manifestazione inclusiva ma nello stesso tempo assai identitaria. La seconda edizione della kermesse saudita punta a dimostrare il ruolo centrale rivestito dalle arti islamiche nel panorama culturale globale
“E Dio creò i cieli e la terra e tutto ciò che sta in mezzo”. Dal Corano è tratto l’evocativo titolo della seconda edizione della Biennale delle Arti Islamiche di Jeddah, intitolata And all that is in between. Un nomen omen che dice lunga sull’importanza che la manifestazione riveste per l’Arabia Saudita: a pochi mesi dall’apertura, tutto lascia presagire l’ampia portata dell’evento, esteso tanto in termini spaziali quanto temporali. Con un numero significativamente maggiore di opere (oltre 500), più di 20 commissioni originali ad artisti sauditi e stranieri e la partecipazione di oltre 30 istituzioni provenienti da tutto il mondo.
Una seconda edizione in crescita per la Biennale delle Arti Islamiche
In effetti questa seconda edizione della Biennale saudita si presenta molto più ambiziosa della prima. Un’espansione con cui la manifestazione si conferma essere la piattaforma di riferimento per le arti islamiche nel mondo. Del resto, la sede stessa dell’evento, il Terminal Occidentale dell’Hajj dell’Aeroporto Internazionale King Abdulaziz, oltre ad essere un luogo carico di memoria per i milioni di musulmani che ogni anno si recano in pellegrinaggio a Hajj e Umrah, rappresenta una dichiarazione di intenti nel suo essere quello che la Biennale si propone di diventare: un punto d’incontro tra culture diverse.
Una Biennale delle Arti Islamiche all’insegna della fede
Aperta dal 25 gennaio al 25 maggio 2025, la Biennale di Jeddah a cura di Julian Raby, Amin Jaffer, Abdul Rahman Azzam e Muhannad Shono assume un taglio decisamente religioso, proponendosi di indagare il modo in cui la fede viene vissuta, espressa e celebrata attraverso il sentire, il pensare e il creare. La manifestazione è articolata in sette sezioni – AlBidaya, AlMadar, AlMuqtani, AlMathala, Makkah al-Mukarramah, Al-Madinah al-Munawwarah, and AlMusalla, disseminate lungo uno spazio di 100.000 metri quadrati – e si prefigge l’ardito compito di comprendere “la meraviglia di ciò che il divino ha portato all’esistenza” tramite l’accostamento di testimonianze delle culture islamiche, inclusi – eccezionalmente – oggetti provenienti dai luoghi santi di La Mecca e Medina, e opere d’arte contemporanea.
Aperta all’estero sì, ma senza smentire il suo ruolo di Biennale delle Arti Islamiche
Per quanto Sua Altezza il Principe Badr Bin Abdullah Bin Farhan Al Saud, ministro della Cultura del Regno dell’Arabia Saudita e presidente del CdA della Diriyah Biennale Foundation, rivendichi “l’intenzione di esprimere, attraverso la manifestazione, il potere trasformativo delle arti nel costruire una società vibrante e prospera, dedita a promuovere l’espressione creativa, le arti e la cultura, arricchendo il panorama artistico globale”, è abbastanza evidente che il focus sia più musulmano che globale. Sembra quindi che la Biennale delle Arti Islamiche sarà proprio quello che in effetti dichiara di essere, ovvero una dimostrazione di come “le arti della civiltà islamica, sia contemporanee che storiche, realizzate o ispirate dalle comunità islamiche in tutto il mondo, abbiano influenzato il discorso culturale per secoli fino a oggi”. Per usare le parole di Aya Al-Bakree, Ad della Diriyah Biennale Foundation.
Colpisce positivamente, infine, che tra le nuove commissioni ad artisti provenienti dall’Arabia Saudita, dalla regione del Golfo e oltre, spicchino quelle a tre donne: Nour Jaouda, Charwei Tsai e Fatma Abdulhadi.
Ludovica Palmieri
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