Maria Lai in mostra a New York. Ci racconta tutto la curatrice Paola Mura

100 opere di Maria Lai, tra cui alcuni inediti, costituiscono la prima retrospettiva dell’artista negli USA. Un articolato percorso che va dagli Anni Cinquanta fino agli anni Duemila. Ce lo siamo fatti raccontare dalla neo-direttrice artistica di Magazzino Italian Art, nonché curatrice della mostra Paola Mura

Ripercorre la lunga produzione dell’artista sarda Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardedu, 2013), la mostra A Journey to America. Dalla figurazione dei primi Anni Cinquanta all’evoluzione stilistica verso l’arte astratta con il trasferimento a Roma nel 1956: qui si dedica all’esplorazione di diversi materiali, allontanandosi da disegno e pittura che ne hanno caratterizzato gli esordi. Nel 1968 si reca negli States, dove esplora la cultura visiva dei nativi americani, e nel 1971 espone a Roma i celebri Telai. A questi seguiranno le tele cucite e assemblate e i libri cuciti. È del 1981 una delle opere più significative, il progetto d’arte relazionale Legarsi alla Montagna. Paola Mura, nominata direttrice artistica di Magazzino Italian Art lo scorso settembre e curatrice, ci racconta la mostra in una lunga intervista.

Intervista a Paola Mura

Come nasce il progetto e perché proprio a NY? 
Il progetto Maria Lai. A Journey to America affonda le sue radici nel desiderio di scoperta e dialogo interculturale, alla base della missione di Magazzino Italian Art, la stessa spinta che portò Maria Lai, nel pieno degli Anni Sessanta, a confrontarsi con le pulsioni artistiche dell’America e di New York, la nuova capitale dell’arte contemporanea. In quegli anni, il fervore creativo e le sperimentazioni innovative della città rappresentavano un magnete irresistibile per un’artista in cerca di nuove voci e narrazioni. Lai, con la sua pratica legata ai gesti, ai materiali poveri e alle trame del racconto, si inserisce perfettamente in questo contesto, dimostrando una sintonia profonda con le avanguardie che allora tracciavano nuovi confini. L’esposizione nasce quindi come un omaggio a quell’incontro e a quell’intuizione di connessione che ha continuato a permeare l’opera di Maria Lai anche negli anni successivi. La scelta dell’America e di New York oggi, non è casuale: è un modo per riportare l’artista nella città rimasta impressa come un luogo di incontro e di differenza: pensiamo anche al fitto rapporto epistolare e alla grande affinità elettiva che legava Lai a Nivola, che aveva “bussato alle porte di questa città meravigliosa” e ne era stato accolto in un periodo drammatico. 

Da dove provengono le opere? 
La mostra si fonda su un nucleo di opere provenienti dalla preziosa collezione di Magazzino Italian Art, testimonianza della visione lungimirante di Nancy Olnick e Giorgio Spanu che, già trent’anni fa, avevano riconosciuto il valore rivoluzionario del lavoro di Maria Lai. Il progetto include anche una selezione di opere che l’artista stessa portò con sé nel 1968, durante il suo viaggio in Canada e a New York – ora parte di collezioni private americane. Questi due fulcri principali sono arricchiti da prestiti provenienti da istituzioni prestigiose della Sardegna e della penisola, come il MAN – Museo d’arte della Provincia di Nuoro, il Museo di Aggius, i Musei Civici di Cagliari, il MUSMA – Museo della Scultura Contemporanea di Matera, il Consiglio Regionale della Sardegna, la Fondazione Maria Lai, la Fondazione di Sardegna. Un percorso che tesse insieme memoria e sperimentazione, offrendo al pubblico uno sguardo ampio e profondamente evocativo sull’opera di una delle voci più significative del Novecento italiano. 

In base a quali criteri hai effettuato la selezione delle opere? 
Negli ultimi anni, l’interesse del pubblico americano per Maria Lai è cresciuto vertiginosamente, soprattutto dopo il 2017, quando le sue opere sono state esposte alla Biennale di Venezia e a documenta, conquistando l’attenzione internazionale. Questa mostra è stata concepita come un percorso immersivo, volto a svelare l’evoluzione stilistica dell’artista, dai lavori figurativi degli Anni Cinquanta alle audaci sperimentazioni dei decenni successivi. Un viaggio che non solo racconta una progressione tecnica, ma rivela la visione di un’artista capace di sfidare i confini del consueto, aprendo il proprio linguaggio a un dialogo continuo con l’ignoto e l’innovativo. 

La mostra di Maria Lai a New York

Com’è articolata la mostra? 
La mostra si snoda sui due piani del Robert Olnick Pavilion, spazio dedicato alle esposizioni temporanee e inaugurato nel 2013. Il percorso si apre con una timeline accurata, che intreccia la biografia di Maria Lai con gli eventi storici e artistici, offrendo al pubblico americano uno sguardo profondo e avvincente sull’artista. La prima sezione esplora le radici sarde di Lai, rivelando il legame viscerale con i paesaggi dell’Isola attraverso opere pittoriche degli Anni Cinquanta e Sessanta. 

A seguire, la mostra si snoda verso le sue esplorazioni più audaci: l’astrazione e la pittura gestuale degli Anni Sessanta, dove Lai inizia ad abbandonare la tela tradizionale per cercare nuovi linguaggi. L’artista, quindi, sostituisce il pennello con materiali naturali e “poveri” – fili, stoffe, telai – trasformandoli in strumenti narrativi e poetici. È in questo passaggio che emerge la sua vera cifra artistica: un’arte che fa del gesto e della materia un dialogo continuo con la memoria, con l’identità, e con il mistero del mondo. 

Cento opere in mostra tra cui alcuni inediti, ce ne parli? 
Il progetto presenta un nucleo inedito di opere realizzate da Maria Lai tra il 1967 e il 1968, che danno forma al racconto del suo Journey to America. Queste opere astratte catturano l’influenza dei linguaggi artistici più audaci e innovativi dell’epoca, riflettendo l’eco di un periodo di fervente sperimentazione. La mostra rivela anche come l’immaginario dell’artista sia stato attraversato dalle suggestioni legate ai primi viaggi dell’uomo nello spazio, intrecciando così visioni di un’umanità in evoluzione e spinta verso nuovi orizzonti. 

Alcune opere in mostra, come il prezioso nucleo di opere proveniente da Aggius, elaborato per l’azione collettiva Essere è tessere (2008), sono da allora custodite presso il palazzo civico del borgo gallurese, e sono proposte in una sede museale per la prima volta. Il Gregge di pecore (1959) del Consiglio Regionale della Sardegna non ha mai lasciato la sua sede istituzionale, è straordinariamente significativo che possa essere presentato al pubblico americano, siamo tutti molto riconoscenti per la disponibilità e la collaborazione delle istituzioni. Inoltre, alcuni telai della collezione di Magazzino Italian Art risalenti agli Anni Settanta sono esposti al pubblico per la prima volta. 

Maria Lai, Telaio in sole e mare, 1971, Magazzino Italian Art. Photo Marco Anelli - Tommaso Sacconi
Maria Lai, Telaio in sole e mare, 1971, Magazzino Italian Art. Photo Marco Anelli – Tommaso Sacconi, Courtesy ©Archivio Maria Lai, by Siae 2024/Artists Rights Society (ARS)

Maria Lai a New York

Nel 1968 Maria Lai parte alla volta di New York, con quali obiettivi? 
Tra aprile e maggio del 1968, in un periodo segnato da profondi cambiamenti sociali e dalle rivolte giovanili, Maria Lai intraprende un viaggio in Canada e a New York. In quella cornice vibrante, esplora la possibilità di una mostra, portando con séuna selezione di dipinti gestuali e astratti. Questi lavori, testimoni di un momento di grande audacia creativa, trovano oggi il loro spazio espositivo per la prima volta nella mostra, riannodando il filo tra quel viaggio e l’eredità lasciata dall’artista. 

Con quali risultati?
Affascinata dall’arte dei nativi americani, Maria Lai, a partire dai primi Anni Settanta, inizia a intrecciare nei suoi telai materiali come piume e colori vivaci, dando vita a opere cariche di significati simbolici. L’America diventa un tema ricorrente nel suo immaginario e nella sua poetica, riaffiorando in lavori come Il canto delle formiche rosse N. 5 Millequattrocentonovantadue, tributi alle popolazioni indigene e alla controversa “scoperta” di Cristoforo Colombo. Spicca anche La Torre (1997-2002), un telaio creato in memoria dell’attentato dell’11 settembre a New York rielaborando una struttura lignea del 1971, periodo di costruzione delle Twin Towers. E infine nel 2008, durante la sua ultima azione collettiva Essere è tessere, la lettura dei versi di Canto di me stesso Una via per le Indie di Walt Whitman – sottolinea il suo legame con il più amato fra i poeti americani, intrecciando storie e simboli che superano i confini geografici. 

Maria Lai, Lenzuolo, 1982
Maria Lai, Lenzuolo, 1982, Courtesy ©Archivio Maria Lai, by Siae 2024/Artists Rights Society (ARS)

L’arte relazionale e il successo

L’artista è stata una delle antesignane dell’arte relazionale, come è approdata a questo linguaggio?
Maria Lai, profondamente legata alla sua terra e alla sua comunità d’origine, ha sempre concepito l’arte come uno strumento di trasformazione. Nel 1981, ispirandosi a una leggenda del suo paese natale, realizza a Ulassai Legarsi alla montagna, considerata il primo esempio di arte relazionale in Italia. Maria Lai anticipa di quasi vent’anni il concetto di “estetica relazionale” teorizzato da Nicolas Bourriaud nel 1998. Nel 2008 torna a esplorare queste tematiche ad Aggius, borgo della Gallura che sente vicino per storia e identità alla sua Ulassai. Qui realizza Essere è Tessere, un’altra azione collettiva che diventa occasione di riscoperta e riflessione sull’identità individuale e comunitaria. Quest’opera riafferma il potere trasformativo dell’arte: un mezzo per ricostruire legami, riscrivere relazioni e aprire nuove prospettive di consapevolezza, sia per il singolo che per la collettività. 

Maria Lai è una delle più significative e riconosciute artiste del XX Secolo. Perché le sue opere hanno riscosso questo straordinario successo?
Maria Lai ha una straordinaria capacità di intrecciare tradizione e innovazione in modo irripetibile con straordinaria immediatezza. Le sue opere parlano a un pubblico vasto, usando un linguaggio visivo che, pur profondamente radicato nella cultura tradizionale, si apre a sperimentazioni capaci di dialogare con le sensibilità contemporanee. La sua arte è come un intreccio di memorie, legami, trasformazioni e tensioni verso l’ignoto.Lai racconta storie universali, comunicando emozioni e riflessioni che toccano chiunque le osservi, indipendentemente dal contesto storico o geografico. Il successo di Lai va oltre la sua maestria tecnica: risiede nella sua abilità di veicolare un messaggio potente, senza intimidire, ma anzi coinvolgendo lo spettatore. La sua arte apre spazi di interrogazione, in cui ciascuno può cercare il proprio significato, in dialogo con il mondo e con gli altri, come in un gioco. 

Roberta Vanali

Libri consigliati:


[amazon_affil

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Roberta Vanali

Roberta Vanali

Roberta Vanali è critica e curatrice d’arte contemporanea. Ha studiato Lettere Moderne con indirizzo Artistico all’Università di Cagliari. Per undici anni è stata Redattrice Capo per la rivista Exibart e dalla sua fondazione collabora con Artribune, per la quale cura…

Scopri di più