Chi è davvero il pittore fiammingo Michiel Sweerts in mostra a Roma?
L’Accademia Nazionale di San Luca accoglie una mostra su uno dei più validi e misteriosi pittori fiamminghi a cura di Andrea G. De Marchi e Claudio Strinati, Segretario Generale dell’Accademia
Fine maestro del pennello, aristocratico capace di esprimersi in sette lingue, umile filantropo, religioso, insegnante, intrepido viaggiatore, forse amante di una delle donne più influenti di Francia. Chi è l’artista fiammingo presentato all’Accademia Nazionale di San Luca alla mostra Michiel Sweerts. Realtà e misteri nella Roma del Seicento?
Chi era Michiel Sweerts
Nei suoi dipinti, Michiel Sweerts (Bruxelles, 1614? – Goa, 1664?) alternò accensioni a velature in contro-luce. E così è per la sua vita, fatta di dati certi e ombre ineffabili, tanto che c’è chi ne ha tratto un romanzo (Un peintre disgracié, 2017, di Dominique Cordellier). Riscoperto nel ‘900, fu amato da storici dell’arte quali Roberto Longhi, Vitale Bloch e Giuliano Briganti. Solo due mostre romane lo avevano raccontato prima d’ora, negli Anni Cinquanta. È il mistero che lo avvolge, oltre all’eccelsa e vigilata caratura espressiva, ad aver fatto impennare il mercato. L’anno scorso un suo Ritratto d’artista che presenta la Vergine in preghiera è stato venduto da Christie’s per un miliardo e 734 milioni di dollari, superando di molto le stime iniziali di 400 milioni. Già l’atto di battesimo è un enigma: attestato al 1618, viene smentito dall’artista che si dice nato nel ‘24. È noto che la sua famiglia rientrò nella cerchia dei “magnifici sette”, la nobile oligarchia cattolica di Bruxelles che dal 1383 comandava le Fiandre, dedicandosi anche ad opere di bene attraverso la Carità Suprema.
La pittura secondo Michiel Sweerts
Sul suo tocco, la sua modalità di stesura dell’olio e i soggetti scelti si è discusso a lungo. Abbandonata l’idea di un confronto con Veermer, lo è stata anche quella di un’appartenenza al filone dei Bamboccianti. Sweerts evitò di netto la poetica corale votata alla scenografia di un’Italia pittoresca e stracciona, divenuta topos dei grandturisti a venire. Scrutò il mondo degli emarginati – in mostra vi è più di una tela con prostitute e bevitori – ma seguì la pista di un realismo di stampo quotidiano, lontano dalle allegorie rinascimentali e dagli eccessivi contrasti dei caravaggeschi. Un piglio sobrio che lo avvicina a maestri quali Francesco Villamena per la preziosa severità d’espressione e soprattutto a Velásquez per la rarissima dignità conferita alle figure umane. Il Maestro spagnolo, tra l’altro, operava a Roma, al servizio della famiglia Pamphilj, proprio negli anni in cui vi operò Sweerts che influenzò a propria volta il brussellese Jodocus van de Hamme.
Sweerts a Roma. I Caravaggio Pamphilj e lo Speron d’Oro
Giunto nella Città Eterna nel 1643, Sweerts ottenne subito, in virtù del suo rango, un breve papale che gli concedeva “tutti privilegi, grazie, cancellazioni, esenzioni e prerogative” e fu eletto rappresentante della Bent, l’Associazione degli artisti stranieri presso l’Accademia di San Luca. Tra il ’46 e il ’51 visse in via Margutta dove conobbe maestri francesi, tedeschi, fiamminghi e olandesi. L’anno dopo entrò nell’orbita di Camillo Pamphilj, ritraendo i calchi di Duquesnoy. Fu attratto dalle sue Lotte di putti, zuffe bacchiche che riecheggiavano i baccanali di Tiziano e la Roma antica. L’interesse per la scultura lo indusse ad aprire una bottega: entrano nei suoi dipinti gessi e terraglie, strumenti didattici divenuti cifra del suo lessico. Celebre è il suo scorticato. Ma ciò da cui rimase davvero stregato furono le opere del giovane Caravaggio che il nipote di papa Innocenzo X acquistò da Caterina Vittrice: il Riposo durante la fuga in Egitto, la Maddalena e la Buona Ventura poi donata a Luigi XIV.
Per assurdo, mentre la gloria del Merisi, in vita, fu lacerata dall’esclusione ad un lignaggio che il Maestro finse di avere facendosi portare la spada, nell’anno Santo 1650, Sweerts ottenne un riconoscimento inaudito: il papa lo nomina Cavaliere dello Speron d’Oro “per nascita, come anco per essere eccellente nella Scienza della Pittura”. Un titolo mai più conferito dai tempi del Rinascimento: lo ebbero Vasari, Guercino, Salimbeni, ma in seguito, agli artisti, i papi rilasciarono solo il cavalierato della Croce di Cristo come avvenne per Ribera, Algardi, Borromini, Pietro da Cortona. Lo Sperone accordava al “Cavalier Suarss fiammengo” il diritto di esibirsi con collari, spade e scarpe dorate, ma, come si vede dagli autoritratti in mostra, egli non li sfoggiò mai.
La Carità, la Dama di Francia e il viaggio in Oriente
Rientrato a Bruxelles tra il 1655-56 dopo un soggiorno a Spoleto, Sweerts vi fondò una scuola d’arte finanziando la formazione di giovani pittori. Fu ad Amsterdam, Parigi, Marsiglia e nel 1660, a seguito di una ignota crisi religiosa, andò in Oriente al seguito della Missions Étrangères lazzariste, società apostolica missionaria, fondata nel ‘25 da San Vincenzo de Paoli. È qui che entra in gioco la figura di una donna: la duchessa d’Aiguillon Marie Madeleine de Vignerot, nipote prediletta del cardinal Richelieu, Pari di Francia, dama di compagnia di Maria de’ Medici, a capo delle finanze lazzariste a Roma, in dialogo con i gesuiti e in stretto contatto con San Vincenzo de Paoli. La sua assistenza ai bambini incontrò l’impegno di Sweerts nell’avviamento professionale dei giovani. “Tra loro”, spiegano i curatori della mostra, “deve esserci stata una relazione stretta, ma difficile da precisare viste le grandi differenze sociali”. È possibile ipotizzare che non potendo consacrarsi la loro unione, Sweerts abbia scelto almeno di assecondare della Dama la vocazione spirituale? In una lettera del religioso Nicolas Etienne indirizzata a San Vincenzo, Sweerts è descritto come il più grande pittore di tutti i tempi e uomo dalla vita straordinaria “alla quale si accompagnano segreti mistici centrati sulla Croce”. In queste misteriose circostanze l’artista prese il mare trascorrendo mesi tra la Siria e la Persia a dipingere per signori locali, fornendo ai lazzaristi denaro e relazioni politiche. Alla missione faceva comodo un’artista nobile che in terre orientali generasse immagini sacre perché si diffondessero a scopo evangelico.
La pazzia di Michiel Sweerts
Ma presto qualcosa andò storto. In documenti i lazzaristi cominciano a definirlo “un pazzo polemico”. Sembra più calzante ipotizzare che ebbe con la missione una grossa divergenza. Questo spiegherebbe perché la sua morte, avvenuta nel 1664 circa, è attesta a Goa che dal 1540 era in mano ai gesuiti portoghesi, strenui concorrenti dei lazzaristi. Forse l’idea di Sweerts era quella di raggiungere un ignoto pittore di rango che in quell’anno, nella punta orientale della costa indiana, ritraeva dignitari del posto. Ma null’altro ci è dato sapere. E alle assidue richieste di notizie di Marie Madeleine per il suo amico ormai lontano, risponde ad ora solo il silenzio.
Francesca de Paolis
Francesca de Paolis
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