La recensione della mostra del Futurismo di Alberto Dambruoso, il curatore defenestrato
Ci sono persone che la mostra sul Futurismo l’hanno apprezzata. Altri no. Dopo tutte le polemiche parla il curatore Alberto Dambruoso, escluso dal progetto: “una mostra poco didattica e per nulla internazionale. Opere sbagliate, artisti mancanti e un allestimento disastroso”
Ha fatto certamente un certo effetto entrare qualche giorno dopo l’inaugurazione, alla mostra Il tempo del Futurismo per la quale avevo lavorato per più di un anno e mezzo. Vedere appesi alle pareti della GNAM alcuni dei capolavori che avevo contribuito a portare in mostra non è stata certamente cosa da poco. Non è mia intenzione riprendere la polemica sulla mia epurazione e su quella degli altri membri del comitato scientifico ma certamente la nostra presenza avrebbe probabilmente evitato i tanti errori (alcuni grossolani) nell’allestimento della mostra.
Il titolo della mostra Il tempo del Futurismo
Vorrei iniziare questa recensione partendo dal titolo della mostra che, probabilmente nessuno lo sa, era stato suggerito da Vittorio Sgarbi. Quando era Sottosegretario, Sgarbi suggerì a Sangiuliano di non limitare la mostra al solo Futurismo ma di comprendere tutti quegli artisti che operavano al tempo del Futurismo. Il titolo trovato da Sgarbi e trasmesso a Sangiuliano era appunto Al tempo del Futurismo. Simongini, all’inizio, quando ancora Sgarbi era in auge, confermò il titolo, ma qualche mese dopo mi disse che non era più intenzionato a seguire il suo suggerimento e pertanto il titolo della mostra cambiò in: “Il tempo del Futurismo. I Signori della luce”. Non ho idea chi fosse stato ad inserire questo sottotitolo ma è presente in alcune comunicazioni intercorse. Successivamente ci fu un ulteriore cambio in Il tempo del Futurismo.1909-2024 a sottolineare come il Futurismo non fosse terminato nel 1944 con la morte di Marinetti ma che era confluito nelle seconde Avanguardie degli Anni ’50 e ’60 come aveva messo in luce per primo Maurizio Calvesi nel suo noto saggio “Le due Avanguardie”, e poi successivamente fino ai giorni nostri con artisti come Ugo Nespolo e Pablo Echaurren e altri ancora fino alla contemporaneità più stringente. In questa direzione era prevista tra l’altro una grande istallazione realizzata appositamente da Arcangelo Sassolino.
L’attualità del Futurismo nella mostra
Infine, l’ultimo titolo Il tempo del Futurismo ha eliminato qualsiasi riferimento con l’attualità. Al contrario si è voluto sottolineare in modo pretestuoso il legame con la scienza e la tecnologa che non facevano assolutamente parte del progetto della mostra presentato dal sottoscritto e da Simongini e rimasto tale almeno fino a fine giugno 2024. Quindi è totalmente errato il messaggio che si vuole far passare ovvero che la mostra era stata pensata fin dall’inizio per documentare i rapporti tra la scienza e la tecnologia e il Futurismo. Con questo non voglio affermare che l’inserimento degli oggetti tecnologici come le auto e il motore a scoppio che si trovano in mostra non doveva essere fatto. Qui si contestano i modi di come sono state allestiste, posizionate qua a là senza una logica come il proiettore cinematografico con lampada ad arco voltaico posizionato nella sezione dei Prefuturismo tra i dipinti di Balla, Boccioni e Russolo.
L’allestimento della mostra Il tempo del Futurismo
Veniamo ora alla mostra e a come è stata allestita. Il percorso espositivo parte male per non dire malissimo dato che invece di iniziare una mostra tanto sbandierata come internazionale dal salone centrale, più arioso e maggiormente rappresentativo, il visitatore viene costretto ad oltrepassare un’installazione che ha tutta l’aria di essere stata fatta dai bambini dell’asilo o in alternativa da qualche vetrinista specializzata in addobbi natalizi. Si arriva quindi alla prima sala della mostra e si rimane abbagliati dalla bellezza straordinaria del dipinto “Le tre donne” di Boccioni. Peccato però che disturbi non poco la vicinanza di uno dei primi oggetti (la lampada ad arco) inseriti nella mostra. Posso comprendere che può essere interessante mostrare il marchingegno accostato al dipinto Lampada ad arco di Balla, ma doveva essere appunto accostato maggiormente a Balla e non a Boccioni. Uno degli accostamenti fortemente voluti da Simongini era quello tra Il sole nascente di Giuseppe Pellizza da Volpedo e l’appena citata Lampada ad arco di Balla. Nulla da eccepire in questo, idea buonissima per mostrare al pubblico il passaggio tra una visione dell’arte ancora legata all’Ottocento e un’altra proiettata nella modernità. Ma perché non posizionare le opere in un’unica parete invece di rompere quest’associazione con una porta in mezzo che ne spezza la visione d’insieme? Nella parete di sinistra vi sono tre opere divisioniste, due di Segantini e un’altra di Pellizza da Volpedo.
Gli errori nella mostra Il tempo del Futurismo
Ma perché è stata chiesta alla Pinacoteca di Brera un’altra opera di Segantini che é praticamente la copia in formato ridotto di quella vicina della Gnam/c? Non si poteva ad esempio inserire al suo posto un’opera divisionista di Previati, oppure di Carrà, Russolo o Severini, visto che giustamente si è voluto mostrare l’importanza del Divisionismo per la formazione pittorica dei Futuristi? Grave errore poi sempre nella stessa sala collocare in quello che era uno spazio di passaggio le due sculture di Medardo Rosso che invece dovevano essere libere nello spazio circostante perché l’artista le aveva concepite per essere fruite a 360°.
Oltrepassata la prima sala si giunge in altre due piccole sale a seguire dove vengono esposte, tra le altre, le opere prefuturiste di Boccioni, Balla, Russolo, Severini e Carrà. Un’emozione vedere per la prima volta dal vivo il Ritratto di Giuseppe Tallarico di Boccioni scoperto da Calvesi negli anni ’90, sotto il quale figura un autoritratto di Boccioni fatto arrivare niente di meno che dal Metropolitan di New York. Ma era proprio necessario tra tutte le opere di Boccioni disponibili in Italia prendere questo autoritratto del 1904-1905 (quindi non un’opera futurista) che, per carità è un bel dipinto, ma non tale da giustificare un esborso di danaro pubblico per trasporti e assicurazione?
Le opere in mostra alla Gnam/c
Si arriva quindi al grande salone dove sono allestite circa una trentina di opere che testimoniano l’inizio del Futurismo in arte, ovvero a partire dalla seconda metà del 1910. Purtroppo, però le opere germinali come La città sale e Rissa in galleria di Boccioni non sono presenti (un importante bozzetto per La città sale si trova alla Pinacoteca di Brera così come Rissa in galleria) e quindi la maggior parte delle opere datano 1911, 1912 e 1913. Vi è però un’opera del 1910 di Aroldo Bonzagni che era stato uno dei primi firmatari del Manifesto dei Pittori Futuristi ma appena due mesi dopo decise di non farne più parte e direi che l’opera presente in mostra dimostri appunto che con il Futurismo abbia gran poco a che fare. Come non si comprende cosa ci faccia lì, in quella sezione della mostra, il notevole dipinto di Previati La caduta degli angeli che stona decisamente con tutte le opere futuriste del salone. Le opere allestite in questo grande salone sono a volte poco leggibili per via della scarsa illuminazione ma soprattutto per colpa delle macchine d’epoca che impallano con la loro presenza la vista d’assieme. Ad un certo punto in mezzo a queste macchine compare anche la scultura di Boccioni Dinamismo di una bottiglia nello spazio che sembra buttata lì, avulsa totalmente dal contesto. Non c’è traccia, e anche questo è già stato detto ad Artribune, di una delle sculture più importanti di Boccioni, L’antigrazioso, che però era presente nella lista pubblica di trasporto a fine agosto. La direttrice Mazzantini ha dichiarato all’Ansa che l’opera avrebbe dei problemi conservativi. Qualche malalingua però ha detto che non incontrava il gusto di qualcuno e per questo sarebbe finita dai restauratori della Gnam/c.
Tra Duchamp e Franz Marc
Sempre in questa sezione si trova una delle opere tanto sbandierate dal curatore Simongini, giunta da Oltreoceano, ovvero una delle versioni del Nu descendant un escalier di Marcel Duchamp. Ma dopo che non erano stati concessi i prestiti delle opere di altri artisti internazionali che in quegli anni si erano ispirati al Futurismo come ad esempio Larionov, Goncharova, Malevic o Franz Marc, aveva ancora senso confermare il prestito di Duchamp che resta così l’unico artista internazionale in mezzo ai Futuristi italiani? Non sarebbe stato meglio invece inserire in mostra un’opera ad esempio di Carlo Erba, uno dei grandi assenti di questa rassegna, lui sì uno dei primi Futuristi morto prematuramente in guerra? La sezione dovrebbe essere quella dei dinamismi ma possibile che di Boccioni, l’artista che più di tutti ha sviluppato questo tema vi siano in questo salone solamente le opere Dinamismo di un corpo umano e Sviluppo di una bottiglia nello spazio? L’opera più importante in tal senso Forme uniche della continuità nello spazio, entrata in mostra dopo le note polemiche di cui avevo scritto qui su Artribune, era stata prima relegata in un buio corridoio con una didascalia fuorviante e poi nove giorni dopo l’inaugurazione è stata addirittura rimossa. Infine, sempre in questa sezione della mostra mancano totalmente i riferimenti all’influenza esercitata dal Cubismo sul Futurismo dopo il 1911 ovvero dal momento in cui a seguito di un viaggio a Parigi Boccioni e Carrà scoprono il linguaggio Cubista e iniziano a concepire le loro opere partendo dalla scomposizione dei piani cubista.
L’influenza del Cubismo sui futuristi
Sarebbe stato molto importante, per non dire doveroso, mostrare come si presentava il Futurismo prima della conoscenza del Cubismo e subito dopo.
Dopo la sala dedicata alla figura di Marconi si prosegue in un’altra sala che non ha nessun panello didattico e pertanto il visitatore non sa dove si trova. Qui spicca un altro capolavoro della mostra (ne ho contati una decina in totale): La rivoltadi Luigi Russolo. Non si capisce però cosa sia e cosa rappresenti accanto al dipinto un piccolo schermo che non riporta alcuna didascalia e che dopo qualche giorno è scomparso. Al centro della sala hanno trovato posto gli Intonarumori di Russolo ricostruiti da un appassionato dell’artista di Portogruaro. Qui il problema non è tanto perché non sono originali ma perché per prima cosa sono troppo ingombranti non facendo respirare le opere alle pareti e, secondo, e forse ancora più importante, perché non si possono azionare. Sono semplici suppellettili che così come appaiono non significano nulla. Sempre in questa sezione che dovrebbe rappresentare ancora i dinamismi plastici, figurano due collage di Soffici del 1914 che non hanno nulla a che vedere con il Futurismo dato che Soffici si era allontanato dal Futurismo agli inizi del 1914 e le opere lo confermano appieno. In una compare la scritta “Piccola velocità”, evidente derisione del mito della velocità dei Futuristi.
L’Universo Futurista nella mostra alla Gnam/c
Proseguendo il percorso della mostra si giunge alla sezione dedicata alla Ricostruzione dell’universo futurista. Ciò che balza all’occhio è il numero spropositato di opere di Balla. Ne ho contate 47 in totale su meno di 300 opere futuriste, praticamente un sesto della mostra è fatto da Balla! Avevo fatto presente che erano troppe le opere di Balla ma a quanto pare, con tutta evidenza, gli interessi dei privati, detentori di opere di Balla, hanno prevalso. La cosa strana è che di Boccioni in mostra vi è solo un’opera prestata da un privato. Di Balla ve ne sono circa una ventina.
Tra le varie sezioni che avevo previsto nella mostra, alcune delle quali è stato detto saranno trattate da Osho con dei talk, manca totalmente la sezione della Musica Futurista. L’importante figura di Balilla Pratella è stata totalmente dimenticata. Sorprende tra le tante altre assenze anche quella di Pippo Rizzo al quale nemmeno un anno fa di questi tempi, era stata dedicata una mostra proprio alla Galleria Nazionale! Solo tre piccole fotografie di Anton Giulio Bragaglia a rappresentare, dispersa tra i documenti, la sezione della Fotografia Futurista.
L’architettura futurista
Sorvolo sulle sezioni che riguardano le affiche pubblicitarie e su quella dei documenti e vado diretto alle ultime sezioni. Dopo la misera sezione dedicata all’Architettura Futurista si passa poi alla sezione dell’Arte Meccanica che prosegue, ma non è segnata da nessun pannello didattico, anche dopo il tunnel di Magister art dove era collocata anche la scultura “Forme uniche della continuità nello spazio” di Boccioni. Qui è presente un’opera di Prampolini che invece doveva essere collocata nella sezione successiva dell’Idealismo cosmico. A seguire inizia un’altra sezione che però non ha nessun pannello didattico e lo spettatore si sente un po’ perso. È qui presente un’opera di Tato che dovrebbe far parte della sezione dell’Aeropittura e altre due di Dottori che avrebbero dovuto far parte di una sezione scomparsa, quella dell’Arte Sacra. La sezione che funziona meglio di tutte è a mio avviso quella successiva dedicata all’Aeropittura, allestita in un ampio salone. Le opere sono belle e si possono leggere bene. Peccato solo per quel gigantesco idrovolante d’epoca che sembra un po’ un elefante in un negozio di cristalli posto lì per far vedere ai bambini delle elementari il collegamento con le opere esposte. L’ultima parte della mostra dovrebbe rappresentare in linea teorica l’eredità del Futurismo sulle seconde avanguardie degli anni ’50 e ’60. A eccezione di qualche giusto accostamento -vedi Prampolini/Burri o Balla/Dorazio- il resto della sezione è piena di errori madornali. Cosa c’entrano ad esempio Ettore Colla e Pino Pascali con il Futurismo ce lo devono spiegare.
Da Pino Pascali a Schifano
Il “Futurismo rivisitato” di Schifano è un omaggio al Futurismo ma non ha nulla a che vedere con le forme e la poetica del Futurismo. E poi non ne bastava al limite uno? Perché inserire due quadri praticamente uguali? Sbagliato totalmente l’accostamento al Futurismo dell’albero di Marotta e fuori luogo completamente l’opera plastica di Balla degli Anni ’10 posizionata in questa sezione solo a fini didattici per mostrare da dove (secondo il curatore) si era ispirato Marotta. La mostra stancamente finisce senza troppe lodi. Il percorso espositivo poteva essere impostato diversamente: se non fosse stato possibile dal salone centrale si sarebbe potuto iniziare dall’entrata laterale dal Caffè delle Belle Arti. La divisione delle sale con uno steccato di legno bianco a mezz’aria è inguardabile. Era a quel punto preferibile schermare le porte che comunicavano con le altre sale con dei pannelli o con delle tende. Dal punto di vista didattico -dal momento che è stato detto che la mostra aveva questa caratteristica, ovvero di essere dedicata ai giovani e alle famiglie, risulta priva di apparati didattici (fogli di sala ad esempio) a eccezione di qualche breve commento alle sezioni che si trova qui e là ma non in tutte le sale. Per una mostra che secondo gli organizzatori ha un carattere internazionale, non prevedere nemmeno un’audioguida tradotta in diverse lingue mi sembra grave. Altrettanto grave il fatto che non sia stato realizzato il catalogo della mostra in tempo per l’apertura nonostante la mostra fosse stata rimandata di oltre un mese. Al bookshop, in questo momento, è però presente il mio libro sulle opere inedite di Boccioni edito da Maretti nel 2022. Ecco: trovarlo lì all’uscita della mostra è stata l’unica nota positiva di una mostra nata male e finita ancora peggio.
Alberto Dambruoso
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