Cinque tappe nella modernità: i capolavori del disegno da Grenoble arrivano in mostra a Padova 

Sono ben 130 le opere estratte dai caveaux del museo di Grenoble che giungono a Padova per illustrare un percorso tra le avanguardie sbocciate in Francia nella prima metà del Novecento. Opere difficili da ammirare perché sono tutti disegni che raramente vengono esposti

Il miglior complimento che si possa fare a una mostra di disegni come quella allestita a Palazzo Zabarella di Padova è che non sembra affatto una mostra di disegni. Tale è la bellezza delle opere, l’attenta selezione delle serie e la resa coloristica dei lavori esposti, che già dalla prima sala ci si dimentica della distinzione disegno e pittura. Le opere provengono tutte dal Musée de Grenoble che custodisce la seconda raccolta più importante di disegni in Francia dopo il Centre Pompidou: un patrimonio straordinario dovuto soprattutto alla lungimirante attività di Pierre-André Farci, direttore che per trent’anni, dal 1919 al 1949, acquisì una grande quantità di carte realizzate dagli artisti che allora rappresentavano le avanguardie; inoltre, non si lasciò sfuggire la donazione di alcune collezioni prestigiose. Ancora una volta Federico Bano – patron di Palazzo Zabarella -, con il suo comitato scientifico guidato da Fernando Mazzocca, stringono una partnership con un’importante istituzione internazionale, grazie alla quale è stato possibile allestire la mostra Matisse Picasso Modigliani Mirò

Disegni a Padova: le avanguardie su carta 

E ancora una volta l’esposizione risponde alla mission principale della Fondazione Bano: mettere a disposizione del pubblico una rassegna che indaga, con un punto di vista originale, la prima metà del Novecento e i rapporti tra gli artisti italiani e la Parigi dell’epoca, città in cui giunsero a maturazione la gran parte dei movimenti d’avanguardia che traghettarono la storia dell’arte dal passato alla modernità. In questo caso, inoltre, l’occasione è particolarmente ghiotta, perché i disegni, per la loro intrinseca fragilità, hanno esigenze conservative particolari (ad esempio non possono essere esposti a lungo e hanno bisogno di luci soffuse) e queste opere non sono solitamente esposte nemmeno nel loro luogo di provenienza. 

La top ten dei capolavori 

Non vogliamo proporre una vera e propria classifica, ma ci diverte l’idea di passare in rassegna, in ordine cronologico e quindi di allestimento, le dieci opere – tra le 130 esposte, di 47 diversi artisti – che ci hanno più colpiti durante la visita alla mostra. La prima, anzi le prime, sono le deliziose lettere illustrate di Paul Signac: ancora oggi, epoca dei vocali inviati su WhatsApp, chiunque si emozionerebbe se ricevesse una di quelle carte su cui l’ordinata calligrafia del pittore contorna un piccolo paesaggio colorato, uno scorcio marino di Saint-Tropez, il Corno d’Oro di Istanbul o il profilo del Monte Bianco. Autentica poesia.  

Datata al 1915, la gouache Donna con corpetto blu di Édouard Vuillard è una di quelle opere che sembrano più un dipinto che un disegno, grazie a un equilibrato gioco di rapporti cromatici. Tra i “best of” non possono non essere citati i numerosi lavori Henri Matisse, come una decina di schizzi della Serie H che, visti in sequenza, documentano il processo creativo dell’artista e il farsi di un’opera (c’è anche il celebre Icaro, una delle tavole della serie Jazz). Del Ritratto di Olga di Pablo Picasso si notano non solo le dimensioni notevoli, ma anche il collage con cui lo spagnolo assembla le tre parti dell’opera che si colloca nel periodo “neoclassico” dell’artista. La quinta opera che menzioniamo è Mani e piedi di gesso che attaccano uomini in riva al mare di Jean Cocteau, perché è visionarietà pura – l’ispirazione viene dalla tragedia greca – e fa davvero tanto ridere, nonostante il tema decisamente horror.  

Disegno a Padova: gli italiani a Parigi 

Se si parla di italiani a Parigi, non si può non citare Amedeo Modigliani, convocato in mostra con tre ritratti a matita su carta pergamena, e splendida rappresentazione del ritorno alla figura negli anni Trenta del Novecento è il Nudo di donna distesa di Aristide Maillol. Fa capolino, discretamente, anche Balthus – artista che meriterebbe senz’altro maggiori attenzioni – con il Doppio ritratto di Jacqueline Matisse, mentre suscita stupore Il lottatore Tochigiyama di Léonard Foujita, giapponese trasferito a Parigi che nelle sue opere intreccia cultura occidentale e orientale. La decima opera è il Senza titolo del 1965 di Alexander Calder, le cui forme essenziali sembrano oscillare come i famosi Mobiles. Come si deduce da questo elenco arbitrario, la mostra si divide in cinque sezioni che segnano le principali tappe della modernità: un percorso nella storia dell’arte attraverso opere leggere, delicate e spesso conservate sottochiave nei depositi per proteggerle dallo scorrere del tempo. 

Marta Santacatterina 

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Marta Santacatterina

Marta Santacatterina

Giornalista pubblicista e dottore di ricerca in Storia dell'arte, collabora con varie testate dei settori arte e food, ricoprendo anche mansioni di caporedattrice. Scrive per “Artribune” fin dalla prima uscita della rivista, nel 2011. Lavora tanto, troppo, eppure trova sempre…

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