La mostra sul Futurismo a Roma figuraccia internazionale. Escono articoli sul New York Times e sul País
Anche la stampa estera non rimane indifferente nei riguardi dell'esposizione inaugurata ormai due settimane fa presso la GNAMC che in particolare viene criticata per aver omesso il contesto politico a cui era legato il movimento
Sembrano non finire mai le critiche sulla mostra Il tempo del Futurismo, inaugurata il 2 dicembre 2024 alla GNAMC di Roma. E dopo il caso Nanni Balestrini e gli ambigui spostamenti della celebre scultura di Umberto Boccioni Forme Uniche della continuità nello spazio – che, tra il 12 e il 14 dicembre, è stata rimossa e poi ricollocata senza alcuna comunicazione ufficiale – anche la stampa internazionale arriva a parlarne. Tra tutti il New York Times ed El País. Entrambi, in trattazioni ampie e approfondite, sottolineano come sia stato omesso il contesto politico in cui si sviluppò il movimento Futurista – fondato in Italia dal poeta Filippo Tomaso Marinetti che ne espose il Manifesto nel 1909 – e mettono in luce la mala gestione di un’organizzazione che ha ricevuto due milioni di euro di fondi pubblici per la realizzazione della mostra.
La mostra sul futurismo a Roma letta dal New York Times
Nell’articolo del New York Times, firmato da Elisabetta Povoledo e uscito il 13 dicembre 2024, vengono esplorate le varie polemiche intorno alla mostra. Tra queste quelle che leggono Il tempo del futurismo come una narrazione ideologicamente orientata. La sua gestione, infatti, è stata segnata da cambiamenti significativi: il comitato originale, composto da esperti del movimento artistico, è stato licenziato e sostituito da un gruppo nominato dal Ministero della Cultura, comprendente figure meno specializzate. Gli studiosi esclusi, come Massimo Duranti e Günter Berghaus, accusano il governo di aver manipolato l’evento per promuovere una visione celebrativa del futurismo, minimizzando i legami problematici con il fascismo e riducendo l’attenzione sull’arte in favore di oggetti tecnologici e di design. Secondo loro, questa scelta riflette un’agenda politica che vuole rafforzare una “cultura di destra”, legata al partito Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Infatti, tra automobili, motociclette e macchine da scrivere Olivetti, l’unico riferimento diretto a Mussolini si limita a una scultura di Renato Bertelli.
La mostra sul futurismo a Roma: l’influenza politica nella cultura italiana
Successivamente Povoledo si inserisce in un dibattito più ampio sull’influenza politica nella cultura italiana. Da quando Giorgia Meloni è salita al potere, il suo governo è stato accusato di usare le istituzioni culturali per promuovere una visione identitaria e conservatrice. La GNAMC, per esempio, è stata già oggetto di controversie: un anno fa ha ospitato una mostra su J.R.R. Tolkien, autore particolarmente caro alla destra italiana (la stessa Meloni ha dichiarato che l’opera letteraria ne ha plasmato il pensiero politico), e ha recentemente presentato il libro di Italo Bocchino Perché l’Italia è di destra. Contro le bugie della sinistra. In entrambi i casi è stata denunciata una deriva propagandistica e un clima repressivo, con intimidazioni verso chi ha contestato queste scelte. Tuttavia, l’articolo evidenzia anche come il controllo politico sulla cultura non sia una novità in Italia, con riferimento alla riforma Franceschini del 2014 in cui il potere decisionale sulle nomine dei musei era stato centralizzato.
La mostra sul futurismo a Roma e il punto di vista di El País
Anche Barbara Celis, per El País, insiste sulle medesime questioni. L’articolo analizza, infatti, come l’esposizione, composta da 350 opere e 100 oggetti, abbia suscitato polemiche per il suo approccio che evita di affrontare apertamente i legami del futurismo con il fascismo e il militarismo, concentrandosi invece su aspetti estetici e tecnologici: sono omesse frasi significative del Manifesto Futurista del 1909, come quella sulla glorificazione della guerra e il disprezzo per le donne, punti centrali del movimento; non viene approfondita l’esplicita vicinanza tra i futuristi e il fascismo, nonostante Marinetti e altri avessero sostenuto il regime. Anche Celis, come Povoledo, descrive la mostra come un tentativo del governo Meloni di dimostrare il proprio impegno nella cultura, oltre a registrare numerose tensioni che hanno visto l’esclusione di alcuni curatori, le polemiche sui criteri di selezione delle opere e il ritiro di prestiti da parte di collezionisti privati. Celis interpella direttamente il curatore Gabriele Simongini che giustifica la scelta di non approfondire i legami con il fascismo per evitare che “il futurismo sia contaminato dalla politica” e si concentri sull’aspetto estetico e tecnologico. Infine, lo stesso Simongini conclude che un’analisi più approfondita di questi legami si trova nel catalogo della mostra, una scelta che inevitabilmente esclude chi non acquista il libro. Concludendo, l’articolo critica l’operazione come un’occasione persa per riflettere sul Futurismo in modo completo, ignorando aspetti fondamentali del movimento. Pur evidenziando la qualità artistica delle opere, si accusa la mostra di decontestualizzare il Futurismo, presentandolo come un fenomeno apolitico e visionario, lontano dalle sue radici storiche.
Caterina Angelucci
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati