Dalla guerra ai nuovi linguaggi visivi. Intervista al fotoreporter Gabriele Micalizzi

Tra i principali fotoreporter italiani, Micalizzi ha sviluppato progetti che esplorano temi umanitari, sociali e artistici, con un approccio empatico e una costante ricerca stilistica. E ora si prepara a nuove sperimentazioni

Gabriele Micalizzi è uno dei principali fotoreporter italiani e co-fondatore del collettivo Cesura, nato nel 2008 per ridefinire il fotogiornalismo. Il suo lavoro unisce impegno etico e visivo, documentando alcuni dei conflitti più cruenti del nostro tempo. Accanto al reportage di guerra, Micalizzi ha sviluppato progetti che esplorano temi umanitari, sociali e artistici, con un approccio empatico e una costante ricerca stilistica.

Durante la sua carriera, ha affrontato le sfide dell’era digitale e delle fake news generate dall’intelligenza artificiale, continuando a rinnovarsi e diventando un riferimento per le nuove generazioni di fotoreporter. In questa intervista, realizzata con gli studenti del corso Undergraduate Fashion Styling di Polimoda Firenze, Micalizzi racconta il suo percorso e le sue sperimentazioni artistiche, volte a restituire fisicità all’immagine in un mondo sempre più digitale.

Intervista al fotoreporter Gabriele Micalizzi

Come riesci a bilanciare i progetti fotografici di stampo umanitario, sociale e artistico con i reportage di guerra?
Il mio lavoro si concentra sulle tematiche sociali, che spesso mi conducono in zone di conflitto. Mi capita di lavorare anche su progetti di altra natura, come quelli commerciali, che mi permettono di elaborare ciò che vivo nelle situazioni più difficili. La fotografia, essendo un linguaggio universale, mi consente di affrontare argomenti diversi. Cambiare prospettiva e adattarsi a nuovi contesti aiuta a mantenere freschezza e stimola la creatività, soprattutto in un’epoca in cui la fotografia è in continua evoluzione.

In che modo la tua esperienza in aree di conflitto ha influenzato la tua visione del mondo e la tua pratica fotografica?
L’esperienza in zone di guerra mi ha insegnato ad adattarmi rapidamente a qualsiasi situazione. L’empatia sviluppata in contesti così drammatici mi porta a trattare ogni soggetto con rispetto, sia che fotografi una persona in lutto sia una celebrità. La capacità di ascoltare le storie delle persone diventa fondamentale per raccontare il mondo in modo autentico. Ogni esperienza arricchisce il mio approccio, rendendomi più attento e sensibile anche in ambienti completamente diversi.

Il collettivo fotografico Cesura

Quando e perché è nato il collettivo Cesura e qual è il tuo ruolo all’interno del gruppo?
Cesura è nato nel 2008 come un collettivo fotografico. Si tratta di una realtà multidisciplinare, che funziona sia come studio che come laboratorio sperimentale. Il nome riflette il nostro desiderio di segnare un cambiamento rispetto al passato. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di raccontare il presente con un linguaggio in costante trasformazione, mantenendo uno spirito indipendente e fuori dagli schemi tradizionali. Cesura si propone di trasmettere conoscenze alle future generazioni, come in una bottega rinascimentale.

Il fotogiornalismo oltre fake news e AI

Come vedi l’evoluzione del fotogiornalismo nell’era digitale, dei social media e delle fake news generate dall’AI?
La rivoluzione digitale che stiamo vivendo è simile a quelle industriali del passato. Studiare la storia ci aiuta a comprendere il futuro, e il fotogiornalismo, in questo senso, continua a essere essenziale. Sebbene l’intelligenza artificiale possa essere uno strumento potente, non sostituirà mai la fotografia documentaristica. L’AI può imitare la realtà, ma la fotografia racconta il mondo in modo autentico, e questo bisogno di verità rimarrà sempre. Il futuro vedrà probabilmente una valorizzazione ancora maggiore della fotografia come forma d’arte e mezzo di documentazione.

Quali progetti futuri hai in mente e in che modo pensi di innovare il tuo approccio alla fotografia?
Uno dei progetti a cui sto lavorando riguarda la sovrappopolazione e come gli esseri umani si distribuiscono nel mondo, con un’attenzione particolare allo sfruttamento delle risorse. Parallelamente, sto sperimentando nuovi linguaggi visivi, come la tecnica dell’affresco, che mi permette di imprimere le immagini sui muri, e la lavorazione di arazzi con il metodo jacquard. Il mio obiettivo è rendere le immagini fisiche e durature, in linea con l’importanza storica della fotografia, che non può rimanere confinata nei supporti digitali.

Alessia Caliendo

Intervista e photo editing Alessia Caliendo

Video director Federico Floridi

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Alessia Caliendo

Alessia Caliendo

Alessia Caliendo è giornalista, producer e style e visual curator. Formatasi allo IED di Roma, si è poi trasferita a Londra per specializzarsi in Fashion Styling, Art Direction e Fashion Journalism alla Central Saint Martins. Ha al suo attivo numerose…

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