I musei italiani sono accessibili? Rispondono 10 esperti del settore
I Musei italiani sono accessibili? Quali sono le buone pratiche esistenti? Su cosa si dovrebbe lavorare maggiormente? Ne abbiamo parlato con 10 direttori ed esperti del settore
Credo che molto sia stato fatto, in questi anni, per l’accessibilità museale in termini di formazione, ricerca e disseminazione. Vedo due punti di fragilità rispetto alla diffusione di una più larga cultura dell’accessibilità: il primo è la consapevolezza da parte delle posizioni apicali dei musei, che spesso la considerano appannaggio di questo o di quel dipartimento, piuttosto che un metodo che deve nutrire ogni gesto. Il secondo è la formazione universitaria: nelle poche ore dedicate alla museologia nei curricula italiani, infatti, è arduo trasmettere contenuti complessi. L’aspetto di cui mi occupo, quello dell’identità e dell’appartenenza culturale, richiede un grande lavoro sul linguaggio e sul suo adeguamento alle sensibilità contemporanee. Chiarezza, accessibilità, appropriatezza (dalla scelta delle parole all’alta leggibilità) sono un terreno su cui ancora pochi musei stanno lavorando: segnalo le eccezioni della Fondazione Querini Stampalia di Venezia e della Triennale di Milano.
Anna Chiara Cimoli, Università degli studi di Bergamo
Il diritto all’accesso è un diritto umano: è quanto ricorda la Convenzione ONU per i Diritti delle Persone con Disabilità, riconoscendo la diversità come valore. Dalla ratifica da parte dell’Italia di questo documento, sono cresciuti i progetti volti a rendere i musei italiani accessibili, così come si sono evoluti i servizi e le strategie per l’accessibilità. In Italia spiccano, tra le altre, le esperienze del MUSE di Trento e del MART di Rovereto, ma anche il Museo Egizio di Torino e quello d’arte contemporanea del Castello di Rivoli. Non a caso, tutte e quattro le istituzioni citate hanno un sito web in cui l’accessibilità è immediatamente evidente, con richiami proprio alla Convenzione ONU. Ad oggi, non c’è omogeneità nell’offerta di servizi accessibili nei musei italiani, sia per la scarsità di fondi dedicati, sia per la disomogeneità sul piano delle tecnologie per la realizzazione e la fruizione. Auspico fortemente che i finanziamenti aumentino, anche in virtù di una necessaria semplificazione dell’acquisizione di fondi privati finalizzati all’accessibilità. Sul fronte tecnologico, tante sono le innovazioni che stanno emergendo, prevalentemente legate alla fruizione tramite dispositivi mobili personali, spesso semplicemente “appoggiando” i contenuti accessibili su spazi web, senza la necessità di sviluppare applicazioni o acquistare attrezzature specifiche. Tra le sfide presenti e future, vedo la crescita di strategie inclusive dedicate alle persone con disabilità intellettiva, la cui grande varietà richiama, di nuovo, il valore e la bellezza della diversità umana.
Elena Di Giovanni, Unimc, Macerata
Diverse istituzioni stanno lavorando in questa direzione, ma anche le realtà più illuminate difficilmente possono sostenere di aver raggiunto un’accessibilità totale. È un tema molto ampio, a partire dall’adeguamento architettonico fino all’accessibilità sensoriale e cognitiva o al coinvolgimento di gruppi marginalizzati… ogni passo ne comporta molti altri. Torino è una città in cui ci si sta muovendo in maniera capillare e gli esempi sono numerosi, uno fra tutte è il lavoro apripista fatto dalla GAM insieme all’Istituto dei Sordi di Torino per la realizzazione di schede di approfondimento veramente comprensibili da tutti e tutte.
Dando per fondamentale il dialogo con le persone coinvolte e le realtà che si occupano di disabilità e inclusione, oggi occorre fare una riflessione che sia sempre di più strategica, mettendo a sistema le conoscenze e gli strumenti. Il sostegno economico per questi progetti deriva spesso da contributi di istituzioni private e, più raramente, da finanziamenti pubblici, nonostante i fondi del PNRR abbiano stimolato in maniera decisiva molte azioni in tutta Italia, tra le quali quelle messe in campo anche da CAMERA. Vista la complessità e la molteplicità di esigenze, e la limitatezza dei fondi assegnati alla cultura in generale, solo stringendo alleanze fra realtà culturali si può rispondere alla complessità della sfida.
Lavorando al progetto Open CAMERA, abbiamo rilevato un forte desiderio di essere ascoltati e coinvolti all’interno della progettazione culturale. Possiamo aumentare la dimensione delle didascalie e fare rampe d’accesso bellissime, ma se non teniamo conto di questo, il rischio è di avere una visione ombelicale, che punta al raggiungimento di obiettivi che forse non sono poi così urgenti, dimenticando invece che i musei sono, prima di tutto, luoghi dove esercitare la propria appartenenza a una collettività.
Monica Poggi, curatrice e responsabile mostre di Camera Torino
La maggior parte dei luoghi dedicati all’arte oggi è accessibile (o sta lavorando per esserlo), la vera sfida però è essere inclusivi. L’approccio del Mart si basa principalmente su tre presupposti:
1. Mettere al centro la persona, lavorando su bisogni specifici, prendendosi cura delle necessità, ascoltando le aspettative.
2. Fare rete, da un lato con i centri di ricerca internazionale, le università e le istituzioni culturali, per essere sempre innovativi e scambiare buone pratiche; dall’altro con le organizzazioni del terzo settore che operano sul territorio, portatrici di un know how indispensabile per progettare programmi di mediazione efficaci.
3. Qualità e impegno costanti. Fin dalla sua fondazione, circa 25 anni fa, il Mart ha destinato una persona e un budget allo sviluppo di Progetti speciali. Sicuramente le risorse disponibili oggi (Fondi europei, PNRR etc) sono una manna, ma progettare in modo accessibile e inclusivo non deve essere un lavoro intermittente, frammentato, non è un interruttore che si accende e si spegne.
Ornella Dossi, Area Educazione, Mart, Rovereto
Usiamo l’espressione accessibilità culturale per indicare l’impegno a garantire il diritto di accesso, partecipazione e coinvolgimento delle persone alla vita culturale, attraverso un approccio che ne consideri le differenti caratteristiche fisiche, relazionali e psichiche. L’obiettivo – come abbiamo evidenziato lo scorso anno con un manifesto aperto che raccontava il percorso verso una reale inclusione e accessibilità degli spazi culturali – è progettare con invece di organizzare per: ogni azione prevede quindi il diretto coinvolgimento delle persone interessate, per una trasformazione sociale e culturale che ripensa in maniera radicale la stessa struttura delle organizzazioni. Per produrre un cambiamento sistemico, inoltre, è essenziale porsi obiettivi misurabili e prevedere che un piano di investimenti sulle misure dell’accessibilità diventi una delle priorità strategiche dei luoghi della cultura, un punto di partenza e non un adattamento a posteriori di servizi, spazi e contenuti. Questo permette di creare luoghi ed esperienze che non solo possono essere fruiti da una più ampia pluralità di soggetti, ma che sono più accoglienti, sicuri e confortevoli per chiunque.
Linda Di Pietro, direttrice artistica, BASE, Milano
Quello dell’accessibilità è uno dei più grandi impegni e uno dei più importanti “cantieri” nei musei italiani. A partire dagli interventi già realizzati, grazie ai fondi PNRR, agendo in base alle linee guida per i PEBA, e con il costante supporto della Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, i musei si stanno progressivamente liberando dalle proprie barriere architettoniche e realizzando percorsi in cui risulti fondamentale l’accessibilità in termini anche cognitivi: la direzione è quella di musei multisensoriali e multidisciplinari, intergenerazionali e interculturali. Quest’ultimo aspetto, in particolare, riguarda la capacità dei musei di coinvolgere individui e comunità di diverse culture, lingue, provenienze. Il Museo delle Civiltà, in quanto museo delle culture del mondo, è impegnato a 360 gradi in questa direzione, con una ridefinizione in corso degli allestimenti, dei programmi di formazione e dei servizi al pubblico. Stiamo riprogettando l’identità e le funzioni istituzionali e collaborando con una pluralità di soggetti, a partire dalle “comunità patrimoniali” da cui provengono le collezioni, per diventare uno spazio-tempo sempre più inclusivo e polifonico. Si tratta però di processi necessariamente graduali e compartecipati, che richiedono tempo e cura per creare rapporti di fiducia e comprensione reciproci. Solo così al termine del percorso il museo accessibile sarà quello dove l’accessibilità non si percepisce nemmeno più, perché si è identificata con il museo stesso, nella sua totalità e non solo in alcuni dettagli.
Andrea Viliani, direttore Museo delle Civiltà, Roma
Rendere accessibile il patrimonio culturale è una sfida che oggi molti musei, e altre istituzioni culturali, stanno affrontando. I fondi PNRR hanno sicuramente offerto una grande occasione ma credo che ci sia ancora molta strada da fare sia per liberare il concetto di accessibilità dal richiamo esclusivo alle disabilità sia per mettere davvero al centro le persone e lavorare su nuove policy e su temi urgenti quali, ad esempio, l’inter-settorialità, il benessere, il welfare culturale. C’è bisogno di formazione, di riconoscimento professionale, di riflessione ampia sui temi della sostenibilità. Credo che l’esigenza più stringente oggi sia capire quale ruolo ha il Museo nelle nostre società e nella vita delle persone. Siamo esseri complessi e l’ibridazione disciplinare e dei linguaggi è indispensabile per essere davvero accessibili a tutti, o meglio, a quante più persone possibili.
Miriam Mandosi, Consulente e progettista culturale
Per rispondere alla domanda sul livello di accessibilità dei musei italiani è necessario prima chiarire cosa intendiamo per accessibilità, precisare il proprio posizionamento. Per me l’accessibilità è un’attitudine, un’aspirazione che un museo può avere o non avere. Risponde alla domanda “Per chi?” o meglio ancora “Con chi?” e in fondo a queste domande c’è sempre quella decisiva sul “perchè”.
Se si vuole, al di là delle mode passeggere e dei finanziamenti contingenti, essere “accessibili” al maggior numero di persone possibili, si devono mettere in atto processi lunghi, pazienti, diversificati, coltivare relazioni che esulano dallo specifico dell’ambito artistico e culturale. Il lavoro educativo, per esempio, ispirato da Danilo Dolci e Paulo Freire è parte integrante del nostro lavoro sull’accessibilità perché risponde pienamente alla domanda, alla sete, di partecipazione guardando al futuro.
L’accessibilità riguarda la rimozione delle barriere cognitive, culturali, economiche, sensoriali, motorie, simboliche allo scopo di facilitare la partecipazione di tante e diverse persone al museo. Se penso all’esperienza dell’ecomuseo Mare Memoria Viva penso che la spinta iniziale sia stata un moto di generosità e curiosità verso gli abitanti del quartiere dove la sede si trova, mettersi in relazione e ascolto di risorse più che di bisogni, accogliere storie e condividere spazi.
Io penso che quando la motivazione iniziale è pura, la partecipazione è generativa. Ci sono delle differenze tra l’obiettivo di “sbigliettare per funzionare” e quello di “essere abitati per esistere” potremmo dire parafrasando Benasayag.
La co-progettazione, la co-gestione di alcune attività, l’individuazione di gruppi e persone con cui costruire percorsi che abbiano una durata, l’eliminazione di barriere simboliche e le forme di impegno civico del museo anche al di fuori dei “progetti” sono per me indizi importanti di accessibilità.
Le buone pratiche ci sono, ne ha mappate, raccontate e praticate molte Maria Chiara Ciaccheri che è stata nostra guida e alcune abbiamo avuto il piacere di ospitarle all’ecomuseo per il workshop intitolato Agio – Progettare con le persone: il lavoro di Cristina Pancini a Palazzo Strozzi e Museo Pecci, Lucia Cencio all’ Accademia Carrara di Bergamo, Valeria Bottalico all’Ocean Space, l’esperienza del Club Silencio a Torino.
Gli ecomusei, sia in Italia che all’estero, hanno molto da insegnare sull’accessibilità intesa come pratica di relazione tra contesto e abitanti, come metodologia di co-progettazione e sull’idea che il museo possa essere un dispositivo sociale ed ecologico nel senso più profondo, aperto a bisogni e domande di “quante più persone possibili”.
Cristina Alga, progettista culturale
Ricerca, programmazione, educazione, mediazione, logistica: l’accessibilità museale è trasversale, tocca tutte le funzioni e le professioni di un’organizzazione o di un progetto culturale. È una sensibilità, un modo di guardare la cultura, di organizzarla.
Forti della grande responsabilità sociale e culturale, i musei sono chiamati a mettersi in gioco ri-progettandosi a partire dalle istanze e dalle necessità dei visitatori poiché tutti hanno diritto a partecipare attivamente alla vita culturale del proprio territorio.
Un importante primo passo per iniziare è creare un ambiente che il più possibile consenta una visita in autonomia per qualunque tipo di pubblico attraverso le facilitazioni dal punto di vista architettonico e sensoriale.
Da anni in Italia molti musei ragionano e lavorano sul tema del Design for All, perché una progettazione che tenga conto di bisogni particolari diventa una progettazione che facilita per tutti, nessuno escluso, pari opportunità di partecipazione.
Melania Longo, museologa esperta in accessibilità museale, curatrice del progetto Nati al Museo
Ritengo che In Italia, stiamo assistendo ad un reale cambiamento culturale, reso possibile dalla volontà politica del Ministero della Cultura di destinare 300 milioni di euro del PNRR a progetti per l’abbattimento delle barriere (M1C3 – Investimento 1.2, Rimozione delle barriere fisiche e cognitive in musei, biblioteche e archivi). La misura, ancora in atto e che vede protagonisti centinaia di musei e luoghi della cultura, non solo statali, è il frutto di un lavoro decennale che ha visto protagonista anche il Museo Tattile Statale Omero e che ha prodotto Linee guida per l’accessibilità nei musei e nei luoghi di interesse culturale, prima, nel 2018, e un vero e proprio Manuale di progettazione per l’accessibilità e la fruizione ampliata delpatrimonio culturale, dallo scorso aprile scaricabile in formato digitale dal portale del CNR. L’Italia, in questo ambito vanta anche un modello unico integrato a livello scolastico che resta tuttora un imprescindibile traguardo quasi cinquantennale (L.517/77), che ha obbligato un radicale ripensamento del modello educativo e sulla cui scia ancora i Luoghi della Cultura stanno camminando. Tutto questo non permette di avere, ad oggi, soluzioni perfette che garantiscano una adeguata fruizione a tutti, non esistono progetti perfetti, ma ci piace sempre ricordare, che l’accessibilità implichi anche una buona dose di creatività, perché ha a che fare con la progettazione in tutti i campi. Lo si può considerare una sorta di abito sartoriale da creare con cura, adattandolo, ogni volta, al contesto, nei termini di una idea di universal design, finalizzato al progresso dell’intera umanità.
Annalisa Trasatti, coordinatrice Museo Omero
Santa Nastro
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