Arte: si finanzia per inerzia o per sviluppare il reale talento?

Siamo sicuri che il modello di finanziamento pubblico della cultura sia quello che maggiormente risponde alle specifiche competenze ed esigenze degli italiani? Il caso della classifica di ArtReview

Ogni anno, la rivista ArtReview pubblica una propria classifica delle 100 persone (o organizzazioni) più importanti dell’arte. Come tutte le classifiche, ha chiaramente dei parametri che non possono che contenere degli elementi arbitrari, e quindi va letta sapendo che non ha validità scientifica, né tantomeno mira ad essere pienamente oggettiva. È una classifica, che una rivista, ogni anno, stila. Punto.

La classifica di ArtReview

Ciò non significa che però non fornisca delle indicazioni utili, anzi. Rappresenta un punto di vista, certo, ma un punto di vista che vale ben la pena indagare, soprattutto se si intende in qualche modo avere una indicazione di quanto determinati Paesi risultino più o meno influenti a livello internazionale, e quali siano le figure che, all’interno di quel Paese, spicchino maggiormente. O quali siano le figure che, in generale, risultano essere più influenti a livello internazionale.

Per intenderci, nel 2004, la top ten della classifica annoverava professionisti del mondo dell’arte come galleristi (Gagosian era al primo posto), direttori di musei (Glenn D. Lowry e Nicholas Serota, rispettivamente secondo e terzo posto), come direttori di fiere d’arte, case d’asta, collezionisti e infine curatori e artisti.

Nel 2024, invece, la top ten accoglie principalmente pensatori e artisti, con al primo posto, Sheikha Hoor Al Qasimi curatore – direttrice della biennale di Sharjah, e fondatrice della Sharjah Art Foundation.

Dietro di lei, nomi noti della produzione e della riflessione artistica (Tiravanija, Hartman, McQueen). Per raggiungere poi il successivo ruolo istituzionale si arriva al 16° posto (Koyo Kouoh – direttrice del museo MOCAA e presto della Biennale). Mere suggestioni. Che pur nella loro parzialità fanno riflettere.

L’Italia nella classifica di ArtReview

Così come fa riflettere anche il livello di influenza attribuito al nostro Paese dal 2004 al 2024.

Nel 2004, infatti, gli italiani presenti erano 3: Maurizio Cattelan (artista), Miuccia Prada (funder) e Paola Antonelli (curator). Nel 2024, gli italiani sono 2: Patrizia Sandretto Re Rebaudengo (funder) e Miuccia Prada (funder).

Tra il primo e l’ultimo anno disponibile, ci sono stati momenti storici in cui l’Italia è stata maggiormente rappresentata, come nel caso del 2012, quando l’Italia fu al primo posto, con Carolyn Christov-Bakargiev, allora direttrice del Castello di Rivoli.

Al di là degli aspetti quantitativi, ciò che conta è che, dal 2004 ad oggi, la maggior parte delle menzioni all’Italia non ha riguardato artisti: eccezion fatta per Cattelan e per Renzo Piano, l’Italia è entrata nella lista principalmente per funders, per gallerie (Continua, De Carlo), per direttori internazionali di musei italiani e per direttori italiani di musei internazionali.

Malgrado il mondo dell’arte continui a sostenere che l’Italia sia in ripresa, che gli spazi culturali cittadini siano sempre più floridi, e che gli artisti italiani stiano riprendendo ad avere un certo peso a livello internazionale, quanto emerge dall’analisi dei risultati della Top100 degli ultimi 20 anni racconta un’evidenza di cui, senza voler mettere in dubbio l’ottimismo dilagante e talvolta protezionistico dell’arte nostrana, bisogna in ogni caso tener conto.

Strategie italiane per promuovere l’arte contemporanea

Bisogna, ad esempio, tenerne conto se si vuole identificare una linea di sviluppo per il nostro Paese: se a renderci rappresentativi nel mondo dell’arte, al di là delle istituzioni, sono principalmente gallerie, e persone che fondano organizzazioni che promuovono l’arte, probabilmente queste figure andrebbero maggiormente sostenute.

Le competenze distintive di un gruppo eterogeneo di persone variano nel tempo, così come varia, nel tempo, il riconoscimento che viene attribuito ad alcune attività piuttosto che ad altre. Saper cogliere questi cambiamenti, e saper valorizzare le competenze più richieste in un dato periodo di tempo, è un’azione essenziale per sviluppare un’organizzazione in modo efficace.

Il nostro è un Paese ricco di talenti molto differenti tra loro. Lo sappiamo. Anche se molti di essi poi per essere riconosciuti tali devono cercare in altri Paesi quell’habitat lavorativo e personale che li faccia fiorire.

Perché questo significa governare in funzione dello sviluppo di un Paese: costruire le condizioni per far sì che chi ha talento possa realmente crescere. In questo senso, la classifica della top100 di ArtReview è soltanto un altro dei tanti tasselli che lascia sorgere il dubbio che le politiche legate alla cultura, e all’arte nello specifico, tendano sempre più a procedere seguendo un iter e una conformazione dettate dalla prassi piuttosto che dall’attenta analisi delle opportunità.

Italia: l’importanza di finanziare la cultura e come

Finanziare la cultura è importante. Certo. Ma non sempre si finanzia nel modo giusto. Non sempre si finanzia e si incentiva in questo modo ciò che realmente potrebbe determinare l’emersione di talenti.

Certo, le opinioni possono essere contrastanti. Ma siamo davvero sicuri che il modello di finanziamento pubblico della cultura, che permea tutti gli strati della Pubblica Amministrazione, e che coinvolge anche soggetti privati (Fondazioni, Istituti di Credito, Grandi imprese), sia quello che maggiormente risponde alle specifiche competenze ed esigenze degli italiani?

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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