I capolavori dimenticati della collezione Stame-Lanteri in mostra a Bologna
La collezione Stame-Lanteri riemerge a Palazzo Bentivoglio in un viaggio nell’arte da tempo dimenticata. Attraverso la storia di un collezionismo unico, vengono portati in auge capolavori e racconti affascinanti
La mostra Riassunto delle puntate precedenti. La collezione Stame-Lanteri, ospitata presso Palazzo Bentivoglio di Bologna, risuona come un omaggio alla collezione di Antonio Stame e Vincenzina Lanteri, figure simbolo del collezionismo italiano del Novecento. Curata da Tommaso Pasquali, con l’allestimento scenografico di Ferruccio Laviani, l’esposizione restituisce una raccolta che è stata celata per decenni.
La storia della collezione Stame-Lanteri
La collezione, sviluppatasi tra il 1946 e il 1989, attraversa le maggiori correnti artistiche del Novecento. Le circa sessanta opere esposte riflettono scelte eclettiche e una rara sensibilità critica, con artisti di rilievo internazionale come Christian Schad, Max Ernst, Alberto Burri e Tom Wesselmann, accanto a protagonisti italiani come De Pisis, Savinio e Pozzati. L’allestimento, nei sotterranei del palazzo, richiama l’atmosfera domestica della collezione originaria, disponendo le opere in gruppi tematici e monografici per stimolare dialoghi formali e concettuali. Il legame dei collezionisti con il contesto intellettuale bolognese viene testimoniato dalla presenza di artisti locali e dai rapporti con Francesco Arcangeli e Arturo Schwarz.
La mostra sulla collezione Stame-Lanteri a Bologna
Il percorso si apre con le Avanguardie storiche, rappresentate dalla scultura Poupée borgne (1965) di Hans Arp e prosegue con la Figurazione della prima metà del Novecento, indagata da opere come Natura morta (1918) di Roger Bissière e Suonatore di violoncello (1951) di Afro. Tra i capolavori spicca Testa di Anna Crocioni (1946) di Luciano Minguzzi, un tributo personale che richiama le vivaci relazioni intellettuali del Palazzo negli Anni Quaranta e Cinquanta. I lavori di Max Ernst, Kurt Schwitters e André Masson affollano la seconda sala. Spicca tra questi La Tentation de saint Antoine (1945) di Ernst, bozzetto preparatorio per una delle sue opere più celebri. Nella terza stanza dominano le ricerche informali e astratte, con opere di Giuseppe Capogrossi, Mark Tobey e Gianni Dova. In evidenza Combustione T n. 12(1955) di Alberto Burri e Landscape (1961-62) di Roberto Crippa, espressione dell’interesse per la materia pittorica. La Nuova Oggettività tedesca è rappresentata dal Ritratto di Frieda Cornelius (1928) di Christian Schad e da due acquerelli di Carl Grossberg, esempi della capacità innovativa dei collezionisti. L’esposizione si chiude con opere iconiche degli anni Sessanta e Settanta, come le icone erotiche di Allen Jones e Tom Wesselmann, accanto a Occhio alle strisce! (1963) di Concetto Pozzati e Par lui-même (1966) di Luciano De Vita. Il Ritratto di Antonio e Vincenzina (1967) di De Vita celebra i collezionisti con ironia e monumentalità.
Le nuove uniformi del personale di Palazzo Bentivoglio
L’esposizione è stata anche occasione per presentare le nuove uniformi disegnate dal brand bolognese Magliano per il personale di sala. La linea è stata realizzata con tessuti Marzotto Forniture civili. In un intreccio tra passato e presente, la mostra invita a riflettere sul valore delle raccolte d’arte nella costruzione di un dialogo culturale duraturo.
Diana Cava
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