Ecco chi era Luca Beatrice. Giornalista, curatore, ma soprattutto insegnante
Un ricordo personale di Luca Beatrice, scomparso lo scorso 21 gennaio a Torino. Ne scrive l’amico, giornalista e curatore Nicolas Ballario
In un pezzo su un giornale quel giorno avevo citato José Mourinho, che con quel suo “chi sa solo di calcio non sa niente di calcio” aveva spiegato in poche parole il suo approccio. Luca mi chiama per dirmi che aveva visto quell’articolo e che non lo avrebbe letto perché ero partito con l’allenatore di una squadra mediocre (non aveva usato queste parole, ma non riportiamole). Ho controllato e ora Mourinho allena la Fenerbahçe. Non so cosa sia, non l’ho mai sentita nominare o a che città appartenga, ma so che non è avversaria diretta della Juve (almeno spero, di calcio veramente non so nulla) e ritiro fuori queste parole perché, nel giorno dei suoi funerali, le ho pensate cucite addosso a Luca.
Chi era Luca Beatrice
In questo strano e pomposo mondo del contemporaneo Luca sapeva d’arte perché non sapeva solo d’arte. E non mi riferisco unicamente al fatto che era un grande esperto di musica, che aveva restituito con due libri una nuova chiave di lettura su Lucio Dalla o Renato Zero, oppure che fosse riuscito a riempire la Reggia di Venaria di motociclette o a spingere il Museo del Cinema a occuparsi di E.R. Medici in prima linea, dei Simpson, di Sex and the City. Penso soprattutto al fatto che invece Luca non avesse alcuna paura, nelle grandi mostre che ha curato, di disinnescare quell’aria di sacralità che spesso opacizza l’arte contemporanea. Attraverso una scrittura espositiva esplosiva sapeva mostrare un’altra faccia della cultura, non tanto unendo l’alto e il basso, quanto dicendo che quella linea di demarcazione era saltata. Il grande intellettuale Beniamino Placido sdoganò questo approccio in maniera plateale ammettendo di essere un fanatico della telenovela Dynasty e a Luca questo punto di vista interessava e soprattutto non temeva di dirlo, di insegnarlo. Ne abbiamo parlato tante volte e lui non aveva dubbi su cosa rispondere quando gli chiedevano che mestiere facesse: il critico? Il giornalista? “Sì, ma io sono soprattutto un insegnante”.
Luca Beatrice docente
Era professore dell’Accademia Albertina, dello IULM, dello IED. Un professore straordinario, severissimo, iperbolico, ipnotico. Lo è stato anche fuori dai ranghi accademici e universitari, perché molte e molti professionisti della mia generazione sono stati aiutati da lui. Per esperienza diretta posso parlare della sua generosità debordante quando lo incontrai per la prima volta, diciassette o diciotto anni fa. Raccontava brutale i meccanismi del mondo dell’arte e spiegava come si poteva provare, raccontando cosa è davvero questo sistema visto dall’interno. Credo che con lui molti di noi abbiano imparato l’approccio orizzontale all’arte, a ributtarla in mezzo alla società e a cercare assonanza nella letteratura americana, nel rock, nel cinema d’autore, nella tv roboante. E nella battuta come campo di gioco, nella rissa verbale come innesto di un dibattito vero. Ho riso molto in questi giorni perché nei tanti encomi che ho letto era ricorrente il “quanto era bello litigare con te” e ho pensato al nostro ultimo litigio: credo in un ristorante di Pietrasanta, era dovuta intervenire anche la sua magnifica e sempre solare moglie Elisa a redarguirci e dirci che stavamo facendo troppo casino. Come sempre l’abbiamo chiusa con una risata. E se mi deve ricordare qualcuno nel mondo dell’arte non pescherò tra i suoi cavalli di battaglia, ma citerò John Baldessari che nel 1970 dichiarava al mondo “non farò più arte noiosa”, facendo scrivere ai suoi studenti questa promessa anche sui muri della scuola.
Proprio per mantenere fede a questo, e per dirci che anche il passato può essere rimescolato e riproposto sotto altre forme, nello stesso anno bruciava tutti i suoi lavori realizzati fino a quel momento. Si chiamava “The Cremation Project” e con la cenere dei suoi lavori fece biscotti.
Luca Beatrice, la famiglia, gli amici
Luca non era tipo da bruciare niente, perché “non si sa mai”, ma sicuramente ha saputo trovare nuove ricette, addirittura nuovi ingredienti e antidoti alla noia. E dalle parole emerse nel giorno dei suoi funerali, dopo un’omelia noiosa (appunto), ma che ci ha fatto sorridere tutti perché era il contrario di Luca, sono arrivate le parole belle e movimentate dei suoi figli: Stella parla di un bambino che la infastidiva da piccola e che Luca invita allo stadio facendogli vivere una giornata incredibile, salvo poi al culmine della gioia minacciarlo di “rompergli le gambette” se avesse continuato a tormentare sua figlia. Giulia parla della bellezza della famiglia allargata e moderna messa su da Luca, così come Niccolò gli dice di non preoccuparsi, che accompagnerà lui il piccolo Giovanni allo stadio. E se nelle parole belle e spezzate dalla commozione del Ministro Giuli si evince lo spirito da compagnone di Luca, in quelle dolci e dette tra le lacrime dell’amico di sempre Michele Coppola si ritrova l’attitudine di Luca a farsi carico di tenere insieme la compagnia, la baracca. Qualunque essa fosse. Ed è proprio così, perché Luca negli anni ha suggerito un nuovo sistema dell’arte. Più franco, diretto, battagliero, ma allo stesso tempo coeso e in qualche modo unito nella diversità, senza ipocrisie e con la consapevolezza di vedere davvero nell’esaltazione del diverso il più grande valore dell’arte.
La Quadriennale di Luca Beatrice
Con la sua Quadriennale di Roma ha, ancora una volta, sorpreso tutti nel segno della pluralità e della ricerca, ma anche del rispetto totale dell’Istituzione. Sì, perché Luca sapeva essere di lotta e di governo. Mi aveva incaricato di seguire il road show della Quadriennale e di costruire con lui il public programme e la settimana scorsa c’è stata la prima tappa. Non ci sono potuto andare perché ero a un altro funerale di questo maledetto gennaio, quello di Oliviero Toscani che di Luca era grande amico. Quel giorno, credo l’ultimo in cui gli ho parlato al telefono, ho capito con due piccole cose quanto il rispetto dell’istituzione fosse per lui importante: dalla sua scelta di non annullare l’incontro nonostante avrebbe voluto essere ai funerali privati del suo amico Oliviero, che gli voleva un gran bene, ma soprattutto dal fatto che io tergiversavo: “Luca sembra che siano giovedì le celebrazioni di Toscani, ma lo saprò all’ultimo”. Era un po’ in imbarazzo a dirmelo, ma la sua priorità era capire se la mia partecipazione alla serata fosse annullata, perché la Quadriennale mi aveva prenotato una camera a Torino e lui non avrebbe mai speso 1 solo euro di soldi pubblici inutilmente. Era un “curatore” nell’accezione più ampia possibile: si prendeva cura di ogni dettaglio, tutelando le persone e le cose che lo accompagnavano.
Agli amici, ai collaboratori, ai colleghi, agli studenti e immagino soprattutto alla famiglia, mancherà proprio quel senso leale e intelligente di protezione che aveva nei confronti di ognuno di noi. Sulla fine della cerimonia, a commuovere e far tacere tutti, nel Duomo di Torino si sono diffuse le note e le parole del capolavoro di Nick Cave Into my Arms, che dice “non credo in un Dio che interviene, ma se ci credessi gli direi di non torcerti un capello”. Into my Arms, perché tu Luca la vita non l’hai solo vissuta, ma l’hai abbracciata per proteggerla.
Nicolas Ballario
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