Il bello attraverso i millenni in una mostra d’arte antica, moderna e contemporanea a Domodossola 

Dall’arte classica a Magritte, passando per Guido Reni. Ai Musei Civici di Domodossola una mostra che ricostruisce legami artistici senza tempo

I tempi del Bello. Tra mondo classico, Guido Reni e Magritte è il titolo completo della mostra ospitata dai Musei Civici “Gian Giacomo Galletti” in Palazzo San Francesco a Domodossola e curata da Antonio D’Amico, Stefano Papetti e Federico Troletti. L’esposizione non è pensata in ordine cronologico o strettamente tematico ma si costruisce tramite i dialoghi tra opere di diverse epoche e tecnica, accostando alcuni reperti archeologici e sculture classiche con altre rinascimentali e di arte moderna, dal Cinquecento alla prima metà del Novecento. 

I tempi del Bello, installation view, Musei Civici, Domodossola. Photo ©Michela Piccinini
I tempi del Bello, installation view, Musei Civici, Domodossola. Photo ©Michela Piccinini

La mostra “I tempi del Bello” a Domodossola 

Nella prima sezione si spiega il senso del concept dietro a questa disanima di artisti: il tempo del bello era individuato da Giacomo Leopardi nel V Secolo a. C, il secolo di Fidia, Mirone e Policleto, nel motto καλός καὶ ἀγαθός “bello e buono”: si credeva che a una bellezza fisica corrispondesse una pienezza morale. Il valore dell’uomo – soprattutto dell’eroe greco – era quindi racchiuso nel concetto di Kalokagathia. Troviamo così il dipinto di Pompeo Batoni della Fondazione Roma che ritrae la principessa Giacinta Orsini Boncompagni, una delle stelle dell’Accademia dell’Arcadia. La donna era poetessa e compositrice, per tal motivo è associata da Batoni all’erma di Atena, protettrice delle arti, che si ispira alla Minerva Giustiniani esposta in mostra. Accanto alla Minerva Giustiniani, è presentata l’Arianna addormentata del Museo Archeologico di Firenze, versione cinquecentesca della celebre scultura dei Vaticani, a sua volta copia romana di un marmo ellenistico. Questa scultura venne persino scambiata da Winckelmann per antica, che la preferì a quella conservata ai Vaticani. 

I tempi del Bello, installation view, Musei Civici, Domodossola. Photo ©Michela Piccinini
I tempi del Bello, installation view, Musei Civici, Domodossola. Photo ©Michela Piccinini

Le opere in mostra a Domodossola 

L’amore per il mondo classico venne rafforzato prima con il ritrovamento (1506), in una vigna sul Colle Oppio a Roma, del gruppo del Laocoonte — in mostra il soggetto mitologico è re-interpretato da Arturo Martini in una piccola ma potente terracotta del 1935 —, poi con la riscoperta di Ercolano (1738) e Pompei (1748). Al centro della sala, troviamo il Torso virile delle Terme di Diocleziano accanto all’Imago Pietatis di Achille Funi. Quest’ultimo fu un artista molto colto, a livello letterario (leggeva i Classici greco-romani) e pittorico. Per questo piccolo dipinto devozionale, Funi guarda a Giovanni Bellini e ai pittori del Quattrocento Ferrarese; il modo in cui gli addominali sono disegnati fa trasparire la matrice classica: ciò appare evidente, osservando il torso antico. Allo stesso tempo, il Torso virile è messo in relazione con il San Sebastiano di Ludovico Carracci (1599), in cui il santo è rappresentato come un danzatore classico: è muscoloso come le Prigioni di Michelangelo ma ammorbidito dalla dolcezza della scuola emiliana (segnata dall’arte di Correggio e Parmigianino). Nonostante sia legato alla colonna, “le frecce non lo tangono”, la sublimazione di Dio gli permette di non sentire il dolore della carne. Ancora diversa è la versione del San Sebastiano di Guido Reni: il taglio anatomico della gabbia toracica appare maggiormente segnata. In questa triade di opere pittoriche, che guardano al modello di “bello ideale” incarnato dal torso classico, Ludovico Carracci rappresenta l’alfa mentre Achille Funi l’omega. 

I tempi del Bello, installation view, Musei Civici, Domodossola. Photo ©Michela Piccinini
I tempi del Bello, installation view, Musei Civici, Domodossola. Photo ©Michela Piccinini

Il dialogo tra arte antica e Novecento ai Musei Civici di Domodossola 

La mostra riesce ad accostare le opere di alcuni artisti che hanno segnato la storia dell’arte — come Canova, Sironi, De Chirico, Magritte — con logiche facilmente comprensibili ma che non scadono nel superficiale. L’esposizione presenta delle gemme inedite ma anche delle opere “curiose”, ad esempio, la composizione di Anselmo Bucci (1887-1955) in cui l’artista, dopo aver comprato un dipinto del Padovanino, decise di aggiungervi il suo autoritratto, in basso a sinistra. Ancora, è presente il ritratto di Adriano da giovane che imita gli importanti busti dell’imperatore in età matura ma lo presenta imberbe: la scultura è, infatti, un’interpretazione cinquecentesca dell’arte romana, essendo stata scolpita da Raffaello da Monteluco, allievo di Michelangelo. 
Una delle punte di diamante in mostra è senz’altro Rena à la fenetre, opera del 1937 di René Magritte. Il volto della donna, rappresentato come una testa-frammento pertinente a un busto classico, è messo in dialogo con una testa di giovane atleta (inizi II sec. a.C.). Il reperto archeologico è inserito in una nicchia, costruita dagli allestitori, che strizza l’occhio alla finestra dipinta nel quadro del pittore belga. 

Giorgia Basili 
 
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Giorgia Basili

Giorgia Basili

Giorgia Basili (Roma, 1992) è laureata in Scienze dei Beni Culturali con una tesi sulla Satira della Pittura di Salvator Rosa, che si snoda su un triplice interesse: letterario, artistico e iconologico. Si è spe-cializzata in Storia dell'Arte alla Sapienza…

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