Un nuovo anno è appena cominciato. Buoni propositi per le opere d’arte contemporanea

Mentre assistiamo a una sempre più costante inversione di senso, all’uso di un linguaggio oppositivo, alla rinuncia da parte degli intellettuali di occuparsi di opere, si affaccia la speranza di avere per il 2025 opere d’arte con i piedi ben piantati a terra

Ed eccoci di nuovo qui: anno nuovo, vita nuova. Anche se poi Leopardi nelle Operette morali aveva spiegato una volta per tutte come la faccenda di Capodanno fosse e sia una completa illusione. Ma tant’è. 
E dove si era rimasti? Già: il “tono” e la “letteralità”. Due questioni, due approcci, due problemi che riguardano di questi tempi l’arte visiva come quasi tutte le altre forme culturali. Il tono saccente e giudicante di tante opere recenti, il tono che vuole dire agli spettatori e ai lettori come si devono comportare, come devono vivere, che cosa devono pensare e che tipo di persone devono ascoltare. 

Il linguaggio corrente e le opere d’arte

È strano, e a suo modo affascinante, come più vengono meno le certezze individuali e collettive, più si fa aggressiva la pretesa di avere ragione. “È come dico io, e tu stai sbagliando, tu sei un povero imbecille, un poveraccio”: e vabbè. Ma soprattutto, è tragicamente divertente constatare come ai giorni nostri le lezioni più severe di bon ton, di savoir faire, di costumi aggiornati vengano da persone capaci di infarcire la propria ricerca intellettuale di prescrizioni moralistiche che non seguono minimamente nella pratica quotidiana. Così, per esempio, vi capita di osservare basiti l’esperto di legami non-biologici à laDonna Haraway – legami naturalmente in grado di superare addirittura i confini tra le specie oltre che tra i generi – che poi è una vera iena nelle relazioni di tutti i giorni, prepotente e tossico come pochi; oppure il guru dell’antropocene e dell’ecologia che non è capace di prendere i mezzi pubblici; il maître à penser antifascista che si rivela uno degli individui più illiberali, dispotici e manipolatori in circolazione; e così via. 

Giacomo Leopardi. photo via Wikipedia
Giacomo Leopardi. photo via Wikipedia

L’inversione di senso, tra Donna Haraway e Elon Musk

D’altra parte, l’inversione di senso pare proprio il pendant della letteralità di cui sopra, e oltretutto una delle caratteristiche principali del 2025 che inizia così come lo è stata del 2024, se come ci avverte Alessandro Volpi “per la ricchezza di Musk sono necessari i capipopolo in una dimensione dove la sua narrazione antisistema diventa il collante per rovesciare qualsiasi traccia di opposizione liberale, ritenuta, paradossalmente, un egoistico intellettualismo elitario. Musk è riuscito a far credere che sta con il popolo contro le élite. Una favola” (L’anno d’oro in cui il capitalismo è riuscito a far credere di stare con il popolo contro le élite). 
Allora è chiaro che i problemi – tutto sommato un pochino fatui – che ammalano e che avvolgono l’opera d’arte contemporanea e il/la suo/a autore/autrice nascono sempre altrove, e molto probabilmente andranno risolti lì – ammesso che qualcuno ci tenga a risolverli, o che li consideri sul serio come problemi e non utili danni collaterali. Perché la volontà di non far parte della realtà circostante, di secedere anzi volentieri da essa per rifugiarsi in un mondo fatato fatto di soldi, di socialites e di serate brillanti, che sembra tipica di molte di queste opere, appare nel 2025 – così come nel 2024, così come nel 2023… – è in fondo esattamente come appare: orribilmente immatura. 

Opere d’arte e intellettuali immaturi

Sono, ancora una volta, questioni comuni anche agli altri territori, visto che proprio pochi giorni fa su “Dagospia” lo scrittore Paolo Di Paolo riconosceva che i primi non-lettori sono proprio gli scrittori e in generale i lavoratori dell’editoria (e dell’industria culturale), rei di aver perso la fede nella letteratura, nei libri e nel pensiero della cultura, e di trincerarsi dietro le solite scuse: “Proprio mentre gli scrittori più ‘letterari’, una intervista ogni due, fanno i populisti sofisticati e se ne escono con cazzate facili tipo ‘Flaubert è sopravvalutato’, ‘Proust non lo reggo’, per fare i simpatici che molto spesso non sono. Per il resto, se parlano di libri, parlano – in termini insopportabilmente enfatici – di quelli di colleghi che presto ricambieranno il favore. ‘Non vedo l’ora!’, cuori, fiamme, punti esclamativi, ‘capolavoro!’, ‘potente!’. Ma se il marchese Fulvio Abbate la mette sul piano dell’amichettismo e si innervosisce, io la prendo da un altro punto di vista. (…) Brutalizzo ma nemmeno troppo: Fabio Volo legge di più – o comunque con più passione – di tre quarti degli autori ‘letterari’, degli editor, degli editori, dei giornalisti culturali, dei promotori della lettura. Le redazioni dei giornali, dei programmi televisivi, e naturalmente le case di gente come me, sono piene sovraccariche di “omaggi” (tre quattro cinque dieci libri a settimana spediti gratis dagli editori). Che restano sostanzialmente intonsi. Perché non c’è tempo, non c’è voglia, perché l’alibi di chiunque – “ho un sacco di cose da fare…” – è l’alibi di chiunque, professionisti dell’editoria compresi. In larga parte scoglionati, convinti di avere letto già abbastanza per leggere ancora, annoiati il giusto (e legittimamente, per carità) per leggere davvero ciò che devono pubblicare o recensire. Quel troppo di cui tutti sentiamo il peso ci sta schiacciando, ci rende – no, affaticati no (le vere fatiche sono altre), ma più distratti, distaccati, meno persuasi e dunque meno persuasivi” (Ma dove sta andando l’industria editoriale? – lo scrittore paolo di paolo scrive a dagospia).

I buoni propositi per le opere d’arte nel 2025

Suonano familiari queste parole anche da queste parti? Eh, sì. D’altra parte, come la categoria del romanziere “letterario”, solo apparentemente paradossale, anche quella dell’artista “artistico” si è diffusa a macchia d’olio in questi ultimi anni. Generalmente, più l’opera e chi la fa sono e si presentano come artistici, più l’opera (e chi la fa) risultano insulsi e quasi del tutto trascurabili. E quindi, un buon proposito dell’opera d’arte per l’anno che viene potrebbe essere quello di smetterla finalmente di fare “l’operina”, di desiderare di essere ammirata e riconosciuta da tutti-quelli-che-contano, e di diventare un’opera adulta: che non vuol dire necessariamente seria, ma responsabile sì. Con la testa sulle spalle e i piedi piantati per terra.

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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