La scultura è davvero una lingua morta? A Venezia la mostra che risponde alla provocazione
Riprendendo il saggio “Scultura lingua morta” di Arturo Martini, l’artista Giorgio Andreotta Calò prova a mettere in discussione questa celebre affermazione, trasformando la scultura in uno strumento vivo e contemporaneo
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Ispirata al saggio La scultura lingua morta di Arturo Martini, la mostra dedicata a Giorgio Andreotta Calò (Venezia, 1979) a Ca’ Pesaro propone un dialogo profondo tra il pensiero dello scultore del Novecento e la visione contemporanea di un artista capace di rianimare la materia.
Curata da Elisabetta Barisoni, l’esposizione raccoglie la provocazione lanciata da Martini nel 1944, quando definì la scultura un linguaggio ormai incapace di rispondere ai drammi dell’umanità, schiacciata dalle tragedie del suo tempo. Andreotta Calò risponde a questa sfida con una prospettiva che trasforma la scultura in uno strumento vivo, in grado di dialogare non solo con la memoria storica ma anche con Venezia stessa, città sospesa tra acqua, storia e architettura.
La scultura come scontro e rinascita nella mostra di Giorgio Andreotta Calò a Ca’ Pesaro
Il percorso espositivo invita i visitatori a esplorare la plasticità della materia e i suoi segni lasciati dal tempo, conducendoli verso il cuore della riflessione: un dialogo visivo tra la Testa di Medusa(1929) di Martini e una delle opere della serie Meduse di Calò, giunta a Ca’ Pesaro grazie al PAC2021.
Poste una di fronte all’altra, queste due creazioni si confrontano in una tensione drammatica, dove la pietrificazione di Martini incontra l’interpretazione fluida e contemporanea di Calò, evocando presenze potenti e senza tempo. In questo dialogo, la scultura non è più un linguaggio muto, ma una voce che si rinnova, rispondendo alle inquietudini del presente.
Accanto alle Meduse, altre opere iconiche di Andreotta Calò, come le Clessidre (2017-2022) e le Pinne Nobilis, richiamano con forme organiche e poetiche i fondali lagunari, evidenziando il legame indissolubile tra l’artista e Venezia. Tempo e memoria emergono come protagonisti silenziosi: nei tronchi corrosi dalle maree lagunari si scorge il passaggio inesorabile degli anni, in un fragile e sublime equilibrio tra natura e intervento umano.
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Venezia nell’opera di Giorgio Andreotta Calò a Ca’ Pesaro
La mostra si spinge oltre le installazioni e incontra l’architettura stessa di Ca’ Pesaro. Nella seconda sala, i carotaggi – lunghi tubi semicilindrici in acciaio – diventano non solo strumenti di analisi scientifica, ma vere e proprie opere d’arte, rivelando la storia stratificata del Palazzo Longheniano affacciato sul Canal Grande.
Realizzato in collaborazione con il collettivo veneziano Ipercubo, questo lavoro combina documenti d’archivio e fotografie storiche per narrare la trasformazione fisica e simbolica della Galleria, in un dialogo profondo tra l’antico e il contemporaneo.
La scultura come linguaggio universale secondo di Giorgio Andreotta Calò a Venezia
Con Scultura lingua morta, Andreotta Calò non si limita a rispondere a Martini, ma dimostra come la scultura, lungi dall’essere una “lingua morta”, possieda un’assoluta vitalità. La materia, nelle sue mani, diventa il mezzo per evocare memoria e trasformazione, mentre l’acqua – presenza invisibile ma costante – attraversa le opere e le permea di una forza silenziosa.
Il risultato è un intreccio indissolubile tra passato e presente, in cui la scultura si rivela un linguaggio universale, capace di parlare al nostro tempo con una voce potente e rinnovata.
Asia Miniutti
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