Arte e benessere in contesti aziendali. Parola all’esperta
Nell’ottica di migliorare il benessere sul luogo di lavoro, le iniziative culturali che coinvolgono personale, pubblico e artisti promettono grandi risultati. Ne abbiamo parlato in esclusiva con Giorgia Ligasacchi

Dopo aver approfondito in un precedente articolo come il binomio arte-benessere sia applicabile dentro e fuori dal museo, facciamo ancora un passo oltre. Proiettiamo questa sinergia in un contesto di impresa, sia esso una piccola azienda, una grande multinazionale o una banca, ove rigore e precisione sono all’ordine del giorno. In questo, non sono i dipendenti a recarsi nel luogo culturale come “visitatori”, bensì è l’ambiente lavorativo che si fa sito espositivo, laboratorio creativo e, talvolta, persino residenza d’artista.
L’arte in azienda è un filone di studio attuale e che vede crescere continuamente i casi concreti di grandi società attive in questo senso. Se il fenomeno del collezionismo è noto, meno lo è quello dei progetti espositivi che mirano a coinvolgere anche in modo attivo il personale. Con l’obiettivo di capire le dinamiche e gli effetti potenziali – sul benessere dei dipendenti, quanto su quello dell’impresa – abbiamo ascoltato Giorgia Ligasacchi, art consultant e curatrice di Pavesio e Associati with Negri-Clementi. Alla luce delle sue collaborazioni per progetti artistici in contesti aziendali con La Galleria BPER di BPER Banca, ci ha illustrato i più recenti sviluppi della materia e alcuni esempi concreti da cui prendere spunto.

I benefici sul benessere dell’arte in azienda secondo Giorgia Ligasacchi
Secondo la tua esperienza in tema di arte in azienda, quali “effetti” possono emergere da questi programmi, a livello organizzativo?
I benefici si sviluppano su più piani. Il primo e più immediato è l’impatto “estetico-decorativo”: trasformare gli ambienti aziendali, spesso asettici, rendendoli più piacevoli e accoglienti per chi ci lavora. C’è poi la dimensione identitaria e d’immagine della società, che rende l’arte e il collezionismo un mezzo anche più efficace di una campagna pubblicitaria per distinguersi dalla concorrenza. Terzo aspetto è la qualità dell’ambiente di lavoro, che genera ritorni sul benessere psicologico e sulla produttività dei dipendenti. Fattori che agiscono di conseguenza anche sulle performance economiche.
Approfondiamo proprio l’ultimo beneficio che citi, quello che tocca più da vicino il benessere dei singoli lavoratori.
A seconda della profondità con cui il programma artistico scelto (opera d’arte, residenza, mostra, corso di formazione con artista…) viene inserito e comunicato all’interno delle organizzazioni aziendali, l’esito sul benessere è diversificato. Come insegnano Ariane Berthoin Antal e Anke Straub, i vantaggi possono interessare almeno 4 livelli: personale, interpersonale, organizzativo e trasversale.
Illustraceli meglio.
Con livello personale si intende la crescita individuale, lo sviluppo di nuovi strumenti, l’apprendimento di nuove capacità. L’arte aiuta le persone a modificare il proprio punto di vista, le proprie prospettive, a riflettere in maniera innovativa e creativa sui valori, idee e mission dell’azienda. Il livello interpersonale, invece, interessa la sfera delle relazioni interne ed esterne all’impresa, e può agire sulle modalità collaborative di lavoro. La presenza di opere d’arte stimola l’interazione sociale. A livello organizzativo, l’arte può rappresentare una nuova forma di sviluppo d’impresa e i suoi effetti possono ricadere sul clima di lavoro e sulla cultura aziendale. Infine, c’è il fattore trasversale che abbraccia tutti e tre i precedenti, mostrando come l’arte possa incidere virtuosamente sul trattamento dell’imprevisto e della novità, nonché sul rinnovamento di processi, valori, identità, cultura, e anche come stimolo di nuovi modi di pensare.
E in termini di CSR? C’è qualche risvolto?
Certamente sì: l’arte promuove la Corporate Social Responsibility in ottica ESG+ (o ESGC, ossia potenziato mediante l’aggiunta della Cultura, come lo ha definito l’Avv. Annapaola Negri-Clementi). Investire in essa significa investire nel patrimonio culturale della società in cui si opera, rafforzando il legame con il territorio e la comunità. Ancora di più, in un contesto in cui le nuove generazioni mettono al primo posto il work-life balance– tra i principali fattori che determinano l’employer branding odierno – gli imprenditori si trovano davanti sfide non facili da affrontare. L’arte in questo può aiutare, per rimanere attrattivi anche sul mercato del lavoro.

Organizzare mostre in banca: un paradosso possibile ed efficace
Concentriamoci ora su una dinamica particolare dell’arte in azienda, quella dell’allestimento di una mostra negli spazi fisici di lavoro. Le recenti esposizioni nella sede milanese della Galleria BPER Banca, a cui hai collaborato, sono un esempio.
Il ciclo espositivo che da qualche anno il team arte dello studio legale Pavesio e Associati with Negri-Clementi cura presso la filiale di BPER Banca Private Cesare Ponti – una delle sedi de La Galleria BPER – è un laboratorio in cui abbiamo potuto testare non solo quanto funzionasse il connubio tra arte e luogo di lavoro, ma anche le reazioni dei dipendenti che svolgono la propria regolare attività a stretto contatto con l’artista, le sue opere e il pubblico esterno. Questi sono infatti circondati dalla mostra, diffusa sulle pareti della loro filiale.
E questo cosa comporta per i dipendenti? Cosa hai osservato o colto nel tuo lavoro di ricerca?
Ospitare arte sul posto di lavoro è un’occasione per arricchire di emozioni nuove la propria quotidianità, stimolando la creatività, l’innovazione e la crescita personale. Migliorano, dunque, attitudine ai processi produttivi e motivazione alla risoluzione dei problemi. L’arte in quanto bellezza agisce poi positivamente sui rapporti umani, sull’umore, e favorisce i processi di apprendimento.
Come si “porta l’arte in azienda” in termini di pratiche migliori?
Dalla letteratura emerge che il rapporto più innovativo è quello capace di coinvolgere direttamente – in modo attivo, consapevole e ripetuto – i dipendenti e gli artisti in programmi, laboratori o esperienze di formazione basate sull’arte (o arts-based training), o ancora in progetti di residenza.
E questo coinvolgimento “diretto” è sempre positivo, o incontra anche opposizioni?
Accanto ai benefici e al senso di orgoglio, malgrado la diffusione crescente di queste pratiche, gli artisti nei contesti aziendali sono spesso ancora percepiti come “strani”, provocando sentimenti diversi che variano dalla sorpresa, alla paura, fino allo scetticismo.
Quali sono i rischi di un’iniziativa mal recepita?
Il rischio è che appaia come una perdita di tempo. La chiave per trasformare le perplessità dei dipendenti in qualcosa di costruttivo sta nel formulare un obiettivo chiaro da comunicare costantemente, favorendo inoltre lo sviluppo di fiducia e rispetto tra personale e artisti.
In sintesi, dalle esperienze che hai incontrato, l’arte nelle imprese ha davvero un potenziale benefico per i singoli, al di là dell’immagine aziendale?
Assolutamente sì. Sono convinta che possa cambiare in positivo il clima organizzativo e l’approccio delle persone al lavoro. C’è chi lo recepisce più in profondità, a livello personale e quindi anche professionale, e chi rimane più “superficiale” legando l’arte a benefici unicamente di marketing e di business.
Concludiamo pensando al futuro di diffusione di queste pratiche. Qual è il maggior ostacolo?
La difficoltà più grande è convincere l’azienda che il beneficio non è immediato, né è facile misurarlo con indicatori economici sintetici e universali. I risultati “di business” si vedono nel lungo periodo e spesso sono intangibili. Tuttavia, l’impatto positivo, tanto sulle persone, quanto sull’azienda, c’è. Ed è importante convincersene per poter sviluppare metodologie concrete in grado di costruire nuovi modelli formativi e di sviluppo.
Emma Sedini
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