La funzione dell’arte nel secolo di Musk? La tecnologia non è fredda. L’arte sì

Il ruolo dell’arte nella società contemporanea è un tema che fa riflettere. Così Stefano Monti propone un’altra visione della questione, a partire dalla necessità di azzerare o quantomeno accorciare la distanza tra arte contemporanea e realtà quotidiana

In un recente articolo pubblicato su Artribune, Domenico Ioppolo si concentra sul ruolo e sulla funzione che l’arte effettivamente gioca all’interno della nostra società.
Un articolo che, aprendo spunti molto interessanti, solleva l’esigenza di una nuova vitalità artistica, questione quantomai centrale per l’arte oggi, in particolar modo per quell’arte che rientra all’interno della classificazione di arte contemporanea.  
Si tratta di un’esigenza condivisa da tutti: da chi produce arte, che auspica che l’incremento dell’interesse verso l’attività artistica contemporanea, in termini di rilevanza sociale oltre che di produzione; dal mercato, nella misura in cui chi vende o produce arte non lo fa solo in virtù del denaro, ma perché crede fortemente nella rilevanza della stessa all’interno della vita degli individui. Infine, è condivisa da chi la studia e ne parla, ne pubblica le ricerche e da tutti coloro che hanno scelto l’arte come passione ancor prima che come professione. 

Perché il pubblico dell’arte contemporanea è ristretto?

C’è però anche di più. L’esigenza di una nuova vitalità artistica e di una sua diffusione nella vita delle persone, è condivisa anche da chi, non appassionato d’arte contemporanea, la percepisce come una produzione dedicata a pochi esperti del settore; escludendo, quindi, ogni altra forma di interesse che non sia una conoscenza profonda.
Questo passaggio è fondamentale, perché mette in luce una posizione spesso posta in secondo piano e che può, invece, risultare fondamentale: perché l’arte non riesce a coinvolgere più ampie fette di pubblico?

Street art a Tartu. Photo Mana Kaasik
Street art a Tartu. Photo Mana Kaasik

La street-art l’unica forma di arte contemporanea universalmente riconosciuta

Parte di questa esclusività è senza dubbio da ricercare nell’atteggiamento del sistema dell’arte. Non a caso la street-art, che è l’unica vera e grande forma d’arte degli ultimi anni che sia stata pienamente riconosciuta da tutti, anche al di fuori della riflessione artistica, ha poco a che vedere con il sistema delle gallerie, dei musei, delle istituzioni e delle fondazioni.
Si tratta di una forma d’arte che utilizza i codici del contemporaneo, in un modo pienamente accessibile a chi quel contemporaneo lo vive. Incluse le sue espressioni più effimere. L’attualità politica, lo scherno, la satira e i tabù, hanno trovato le proprie espressioni sui muri degli edifici, e poi si sono trasferiti sulle pagine dei social network che, beninteso, sono gremitissime di arte e di artisti che cercano di coinvolgere quante più persone possibili.
Non è un caso, ad esempio, che il profilo Instagram dello street-artist Banksy, uno dei più influenti esponenti di questa corrente, conti 13,2 milioni di follower. Per dare un’idea dell’ordine di grandezza, Fedez, la cui vita è senza dubbio fortemente connessa con i social, ne ha 13,8 milioni.
Elementi che, pur condividendo le conclusioni cui giunge Ioppolo, divergono tuttavia dalle argomentazioni portate dalla sua riflessione: è sicuramente vero che “la riscrittura del tempo non passa più da Boccioni”, ma non perché l’arte sia “un silenzioso strumento di resistenza” contro un mondo tecnologico freddo e sterile che ci costringe in un eterno presente. Viaggiare all’interno di gallerie evidenzia con sempre maggiore chiarezza quanto i codici dell’arte contemporanea risultino senza dubbio più freddi e algoritmici di quelli di Instagram, dove al contrario, riescono bene a catturare l’attenzione delle persone.

La complessità dell’arte contemporanea come attestazione di autorevolezza e distinzione  

Questa estraneità dell’arte nasce proprio dai timori che lo stesso Ioppolo riporta nel proprio articolo: è il timore che Bach potesse diventare musica di fondo in cucina ad aver spinto poi intere generazioni d’artisti a trovare un senso medianico più che uno spirito mediatico che invece per secoli ha caratterizzato la riflessione artistica. Una riflessione che ci ha portato poi, oggi, ad una separazione quantomai obsoleta tra l’arte contemporanea e le persone. Il timore di non essere considerati sufficientemente ricercati ha introdotto nell’arte linguaggi sempre più articolati, costruiti, sovra-strutturati, posticci, dedicati ad un mondo di adepti, pur non costituendosi come fede.
Ciò è dovuto anche al sempre più percepibile differenziale tra la produzione artistica contemporanea e il proprio mercato di riferimento. Un’eccezione, che è visibile anche rispetto ad altre produzioni culturali: così, mentre l’editoria copre un ventaglio di proposte che spaziano dai libri-gioco ai saggi impegnati; mentre la musica sviluppa produzioni ultra-pop accanto a produzioni colte e fortemente influenzate dalla tradizione della musica classica; mentre la danza si sviluppa tra i balli latini americani e la notorietà di Bolle; mentre la moda dialoga con lo street-wear fino ad espressioni che risultano influenzati proprio dall’arte contemporanea. L’arte contemporanea, si propone ancora come una forma di contenuto che viene percepita come dimensione aliena, in cui esistono sostanzialmente le espressioni più popolari della produzione culturale che si alternano ad una produzione invece messianica, cui vengono attribuite caratteristiche di erudizione che richiedono un’esegesi e che promettono, attraverso tale azione, di interpretare il mondo, anticiparne gli sviluppi, riflettere sugli strati più profondi della conoscenza umana.
Tutto ciò, mentre un’altra dimensione della produzione artistica contemporanea invece si sviluppa secondo una logica molto meno autoriferita, molto più ludica e gravida di riferimenti propri del nostro tempo. Il water d’oro di Cattelan, Prada Marfa che utilizza i codici estetici delle riviste, Marina Abramovic che interviene a festival di musica, e chi più ne ha più ne metta.  Anche le quotazioni delle opere d’arte contemporanee hanno iniziato a mostrare una forte diversificazione, con una produzione di artisti esordienti che ha prezzi notevolmente più bassi di un qualsiasi smartphone. 

I canali di “distribuzione” dell’arte contemporanea

È quindi evidente che ciò che merita una riflessione, più di ogni altra cosa, è il canale di distribuzione: perché al momento si alternano gallerie, fiere, case d’aste e l’infinito mondo online; ma, probabilmente, gran parte della produzione artistica potrebbe più facilmente arrivare nelle case delle persone se si trovasse un modo per abbattere delle barriere cognitive che, in fin dei conti, non fanno altro che rendere l’arte, e l’arte contemporanea in modo particolare, qualcosa di distante, difficile ed escludente.
È l’arte, e il suo canale di distribuzione, ad aver elaborato il freddo e asettico canone di espressione che oggi allontana le persone. È dunque la tecnologia, e la sua capacità di veicolare messaggi, ad essere la vera forma di resistenza silenziosa in un mondo che invece ci vorrebbe adoranti di fronte alle opere, come rinnovati crocefissi da mettere al centro delle nostre pareti.

Stefano Monti

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Stefano Monti

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Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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