Luce, spazio, tempo. Intervista all’artista Marco Bagnoli per i suoi 50 anni di carriera

La prima mostra a Milano, nel 1975, la creazione nel 2017 di un grande spazio dedicato all’arte nella Toscana che gli ha dato i natali e importanti mostre internazionali in un tempo di ricerca che da sempre si snoda fra spazio- tempo, e che incontra nel suo peregrinare filosofie, spiritualità, chimiche e alchimie

“Io nasco a Milano”, è la prima battuta che ci scambiamo con Marco Bagnoli (Empoli, 1949), in visita nel suo magnifico Atelier a Montelupo Fiorentino, luogo di studio, di incontro, di confronto e naturalmente fucina di lavoro delle idee dell’artista e delle sue opere. Inaugurato nel 2017 con un bosco illuminato in blue Klein si sviluppa su 2000 metri quadrati progettati e disegnati in 10 anni di lavoro dal padrone di casa insieme all’architetto Toti Semerano. Il progetto è frutto di una indagine artistica e oltre a contenere le opere, è “generatore di un campo di pensiero atto ad attrarre altre arti e ad unire il lavoro di nobili menti”. Completamente finanziato dall’artista, Atelier offre al territorio un luogo di crescita e ispirazione. Si compone di tre edifici con funzioni distinte raccordati da un giardino, per natura e capienza pensati per poter accogliere varie attività e gruppi di lavoro. Uno spazio che si può godere nella sua ampiezza e nelle sue articolazioni camminando lenti sulla passerella che circonda l’atelier.

L’Atelier Bagnoli


L’Atelier è circondato da un immenso parco sculture che non è solo luogo espositivo, ma immagine precisa di una visione tra arte, scienza, filosofia, alchimia e spiritualità. Lo testimoniano gli interventi su grande scala Chi sono io è la luce che tu sei; come tale sono venuto a te luce celeste 1995 (2017), nel quale luce acqua suono e ceramica si fondono con la natura, o l’Altare (1994) per la Chiesa di San Miniato, collocato al centro del cortile interno e di un intricato movimento di energie rinascimentali. Una lunga passerella che collega gli spazi, ma che ha anche un valore simbolico e che s’affaccia su tutte le prospettive interne ed esterne. E ancora i Sette dormienti (2016), che corrono in ceramica lungo la facciata dello spazio, e ricorrono in un disegno su un muro interno, raccontando la storia dei sette dormienti di Efeso nella Caverna, “una storia della fede, che si ritrova in tutte le culture, di abbandono nelle mani del Signore e di rinascita”. O, all’interno, la grande Mongolfiera, realizzata nel 1989 per la Fortezza Da Basso di Firenze, con il titolo L’anello mancante alla catena che non c’è.

Chi è Marco Bagnoli

Con una formazione scientifica, in chimica, Marco Bagnoli arriva all’arte molto presto. Alle spalle ha anche una importante storia imprenditoriale, il padre Renzo ha fondato la nota azienda Sammontana (della quale l’artista è oggi Vicepresidente) nel 1946. I primi passi sono nella poesia, “poi qui a Firenze, ci spiega, ho incontrato Miccini, Isgrò, Pignotti, la poesia visiva e successivamente il cinema sperimentale, avvicinandomi maggiormente all’immagine”. Poi l’arrivo in Lombardia, l’incontro con Remo Salvadori e la mostra nel 1975 nel suo appartamento a Milano, luogo di incontro per molti artisti e curatori. “Con Mario Merz, Calzolari, Emilio Prini, Sandro Chia la discussione era molto aperta sulle istanze riguardanti lo spazio e il tempo, portando questioni di natura scientifica nel dibattito artistico dell’ambiente concettuale. Credo di aver dato il mio contributo in questo senso”. Il 1975 è un anno di svolta: l’artista realizza il giornale SPAZIOXTEMPO dove figura una banda rossa, iconica nella sua opera. È pure l’anno del primo viaggio in India (ne seguiranno molti altri, anche in Tibet). La relazione con l’Oriente, la mistica e la filosofia che ne deriva, daranno un altro segno importante alla sua ricerca.

L’artista si riflette nell’opera Disegno A.R.S, 1997, ex Chiesa di San Martino, San Miniato al
Tedesco, Pisa (Fotografia di Carlo Cantini)
L’artista si riflette nell’opera Disegno A.R.S, 1997, ex Chiesa di San Martino, San Miniato al Tedesco, Pisa (Fotografia di Carlo Cantini)

Arte e scienza nell’opera di Bagnoli

Arte e scienza sono un binomio importante nella sua opera, attraversata dallo studio del principio di indeterminazione di Eisenberg nella meccanica quantistica, delle teorie relativistiche di Einstein, di tutta la fisica del Novecento. Fino all’approfondimento delle questioni legate all’Intelligenza Artificiale, protagoniste nel novembre 2024 di un convegno in Atelier, I Futuri della Memoria con la partecipazione del sociologo Derrick de Kerckhove. “Arte, religione e scienza sono le basi di tutto”, spiega il maestro che dagli Anni ’80 comincia a confrontarsi con grandi installazioni ambientali in luoghi storici e spirituali e che ha affrontato queste tematiche nel libro pubblicato da Giunti A.R.S Arte Religione e Scienza. “A un certo punto l’arte, come ha scritto Malevič, ha raggiunto una sua autonomia dal civile e religioso. L’arte ha creato movimento e ora per ritrovare un centro artisti e ricercatori devono andare più a fondo, ritrovare la forma, per dare senso all’azione estetica e al suo appagamento”.

Da documenta alla Biennale di Venezia

La carriera di Bagnoli è costellata fin dagli inizi da importanti partecipazioni. Il 1982 è un anno cruciale. L’artista partecipa alla Biennale di Venezia nella sezione Aperto, curata da Tommaso Trini e nella Documenta di Rudi Fuchs, a soli 33 anni. Poi alla Biennale ci ritorna quattro anni dopo. La mostra aveva come macro-tema “Arte e Scienza” e la sezione era Arte e Alchimia curata da Arturo Schwartz. Nel 1992 torna invece a Documenta nella mostra curata da Jan Hoet, curatore carismatico, che infatti ha saputo produrre una delle mostre più famose e visitate per l’epoca della manifestazione di Kassel. Insieme a Calzolari, Fabro, i Merz, Liliana Moro, Paolini, Pistoletto, Salvadori, Spalletti, Zorio e il fotografo Ludovico Addo Trinci Bagnoli era pochi artisti italiani. “Mario Merz e Alighiero Boetti li ho frequentati molto. Belle discussioni. Belle cose. Bei ricordi. La nostra generazione si è trovata un po’ sacrificata tra la dimensione concettuale, dalla quale cercavamo di uscire, e la Transavanguardia, con i suoi ritorni che però non creavano prospettive. Poi tutto si è ripreso ma non si sono mai evidenziate le ragioni per cui negli Anni Ottanta si è creato questo passaggio. C’era anche tutto un ambiente internazionale formato da artisti come Thomas Schütte, Reinhard Mucha, Jan Vercruysse, Shirazeh Houshiary etc., che il curatore Pier Luigi Tazzi (anch’egli figura molto vicina a Bagnoli, ndr.) avrebbe voluto raccontare. Mi piace ricordare che Germano Celant a questo proposito coniò il termine inespressionismo, che tuttavia non è stato esplicitato e pertanto non c’è mai stato un vero e proprio movimento. Alla fine, ci siamo ritrovati individualizzati, ma collegati”. Una recensione di Artforum di una mostra da Stein nel 2018 ha definito peraltro il lavoro di Bagnoli un ponte tra l’Arte Povera e le generazioni successive. “Il problema dell’Arte Povera”, spiega l’artista,” lo abbiamo rilevato noi ed è lo spazio. E poi il tempo…lontanissimo ad essere raggiunto. Però credo che Mario Merz o Kounellis abbiano sentito la nostra influenza nel riportare lo spazio nel discorso artistico. Ho molti ricordi di questi artisti, e mi dispiace che non ci siano più. Ad esempio, giocavamo a carte, con Boetti e Clemente, ma con i Tarocchi. Con Mario Merz, Marisa e soprattutto Gino De Dominicis eravamo legatissimi. Lui faceva sempre ciò che voleva ma non faceva lavorare gli altri… un despota!”. Con Kounellis non ci siamo mai presi moltissimo, però “ci litigavamo bene”.

La Biblioteca di Fulvio Salvadori

Nel frattempo, l’Atelier, luogo sempre in divenire, che continua a svilupparsi e vivere sia da un punto di vista progettuale, che nel tempo e nello spazio, grazie all’impulso del suo vitale ideatore e artista, si è dotato di un nuovo importante luogo di ricerca, riportando in vita la Biblioteca di Fulvio Salvadori, filosofo, artista, scrittore, scomparso nel 2021 e al quale presto l’Atelier dedicherà una giornata di studi per raccontare il portato e il ruolo dell’intellettuale, la seconda dopo l’iniziativa curata nel 2023 da Adelina von Fürstenberg.

Santa Nastro

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Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. Dal 2015 è Responsabile della Comunicazione di…

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