A Firenze una fotografa e la sua ricerca sulle donne tra realtà e fantasia

Un documentario senza limiti creativi. Questa la modalità espressiva adottata della fotografa Bego Anton per il progetto “All of Them Witches”, con cui si propone di abbattere i cliché che gravano sulle donne, tacitamente discriminate e talvolta percepite ancora come streghe

Il suo lavoro tocca il tema dell’identità al confine tra realtà e fantasia. Le fotografie di Bego Anton (Bilbao, 1983) misteriose e senza tempo, raccontano la lotta del corpo femminile, abusato e “silenziato”, ma anche la forza di riscrivere una storia che ancora ci segna. Fino al 23 marzo, Rifugio Digitale presenta il suo progetto All of Them Witches, che fa parte del ciclo Il Corpo che Abito, curato da Irene Alison e Paolo Cagnacci. Un viaggio visivo che c’immerge in una pagina oscura della storia, quella delle donne perseguitate come streghe nei Paesi Baschi, vittime d’ignoranza, superstizione e misoginia” racconta l’artista.

Intervista alla fotografa Bego Anton

Perché la scelta di questo tema in particolare?
Sono cresciuta coi racconti di vecchie creature malvagie che si aggiravano nei boschi nebbiosi della mia terra. Queste streghe sono state spesso erroneamente associate a figure mitologiche e mostruose, come Basajaun e Tartalo, vestite di nero col naso deforme. Il progetto è nato dal mio desiderio di demistificarne la figura, di affrontare le idee sbagliate formatesi a causa dell’eccessivo romanzare della cultura popolare che circonda queste donne.

“All of Them Witches” ricostruisce un capitolo buio della storia, attraverso la fotografia. Come si affronta la rappresentazione visiva di un passato tanto complesso?
Quando ho iniziato la mia ricerca nel 2016, ho subito capito che la storia della stregoneria era stata scritta interamente da uomini, lasciando un vuoto significativo nella narrazione. Il collegamento più stretto che potevo stabilire con le donne accusate, era attraverso le loro confessioni. Ho riesaminato la prospettiva femminile, trasformando le loro confessioni in immagini che rivendicano quelle voci “silenziate”. Mentre leggevo le confessioni, visualizzavo immediatamente l’immagine nella mia testa. Volevo raccontare la storia viaggiando nel passato per capire cosa fosse veramente successo. Il risultato è un progetto documentario senza limitazioni creative, nato interamente dal mio istinto.

Le streghe sono state spesso legate alla superstizione e alla paura. Come ha demistificato questa immagine, dando loro una nuova narrazione?
Il modo per abbattere i cliché che circondano l’immagine delle streghe, è dare loro nomi e cognomi. Generalizziamo, immaginandole come donne brutte, gobbe, vestite di nero, malvagie, perché non crediamo davvero che siano esistite. Ma esistevano. I loro nomi erano Jeanne de Abadie, Graciana de Barrenchea, Margarita de Jauri… E tante altre. Raccontando storie specifiche le umanizziamo, togliamo le fantasie che avevano dovuto creare per sopravvivere, e riconosciamo l’immenso dolore che hanno sopportato.

La persecuzione delle donne accusate di stregoneria era radicata nella misoginia. Questi eventi storici si riflettono nel contemporaneo?
Ho letto molti testi femministi che mostrano come le donne stiano ancora soffrendo le conseguenze della caccia alle streghe. Questa persecuzione è iniziata con la profonda paura degli uomini nei confronti delle donne, paura che persiste ancora oggi. In alcune parti del mondo, le donne sono ancora accusate di essere streghe. Noi stiamo lottando per i nostri diritti, per l’uguaglianza in tutti i settori. Desideriamo essere libere, senza paura, con pari accesso all’istruzione, autonomia economica e una rappresentazione senza stereotipi. È una lotta che portiamo avanti da secoli, e oggi, con i cambiamenti politici, temiamo di perdere i nostri diritti.

Dove ha preso ispirazione per il suo lavoro, oltre che sul campo? Molto è arrivato dai film sulla stregoneria e sul realismo magico. Mi ha ispirato un pittore basco, Vicente Ameztoy (Spagna, 1946-2001) aiutandomi a visualizzare la figura dell’erborista, mentre imitavo diverse donne nei boschi finchéé non diventavano letteralmente “terra”.

Come bilancia l’accuratezza storica con l’interpretazione artistica?
Non penso di avere la responsabilità di essere storicamente precisa, quello è il lavoro degli storici e degli antropologi. Non posso fare a meno di proiettare la mia immaginazione nelle immagini, quindi il progetto è completamente influenzato dalla mia interpretazione. Se dovessi scegliere, direi che il mio lavoro rientra nel nuovo documentarismo. Questo mi permette di affrontare l’argomento da una prospettiva soggettiva ed emotiva, dandomi la libertàà di raccontare la storia dal mio punto di vista. La mia responsabilità è nell’essere fedele al mio modo di raccontare, non necessariamente alla storia stessa. Perché, alla fine, questa storia è già stata distorta; abbiamo solo la versione che ci hanno raccontato gli uomini.


Il suo lavoro è stato pubblicato ed esposto in tutto il mondo. Come reagiscono le diverse culture?
Più che le differenze culturali, noto differenze nell’interpretazione del progetto da parte di uomini o donne. Durante un’intervista radiofonica, un antropologo ha commentato: “La persecuzione nel Paese Basco non è stata poi così grave, sono morte solo una ventina di donne…”. Mesi dopo scrissi a uno storico, e mi rispose: “Bego, fai attenzione a non distorcere la storia“. La situazione di disuguaglianza che le donne subiscono oggi è iniziata durante la caccia alle streghe, con conseguenze enormi: la storia è già distorta perché non abbiamo la versione delle donne perseguitate.

Cosa spera che ai visitatori resti di questa mostra?
La cosa più importante è rompere gli stereotipi e la trivializzazione che circondano le streghe, per mostrare cosa è realmente accaduto — la paura e il trattamento orribile che queste donne hanno subito — con l’intenzione di renderci consapevoli, perché non accada mai più.

Ginevra Barbetti

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Ginevra Barbetti

Ginevra Barbetti

Nata a Firenze, si occupa di giornalismo e comunicazione, materie che insegna all’università. Collabora con diverse testate in ambito arte, design e cinema, per le quali realizza soprattutto interviste. Che “senza scrittura non sarebbe vita” lo ripete spesso, così come…

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