Tra natura, identità e cambiamento. Intervista all’artista Elvio Chiricozzi 

Cos'è il paesaggio e quali forme assume attraverso le arti visive? Queste sono solo alcune delle domande che abbiamo posto all'artista viterbese che, tra nuvole, fulmini e stormi, dà forma alle emozioni

Contraddistinto da una raffinata abilità manuale, Elvio Chiricozzi (Viterbo, 1965) imprime su tavole e tele cieli squarciati da fulmini e animati da nuvole. Elementi che si ispirano ai fenomeni naturali, trasformandoli in un nuovo vocabolario con cui l’artista esprime emozioni e stati d’animo. 

Un segno rigoroso e privo di sbavatura che si fa “specchio della personalità dell’artista che non ammette scorciatoie e sceglie invece di dilatare il tempo senza darsi alcuna meta”, sottolineava il curatore Claudio Libero Pisano, autore del testo di accompagnamento alla mostra Carichi di chiaro in notte acre, ospitata negli spazi della galleria Anna Marra Contemporanea a Roma nel 2018. 
Un tratto distintivo che si è sviluppato nel corso degli anni, maturando e caricandosi di ulteriori significati che guardano al paesaggio e alla sua natura mutevole. 

Elvio Chiricozzi - The Inner Light
Elvio Chiricozzi – The Inner Light

Intervista all’artista Elvio Chiricozzi 

Cosa rappresenta per te il paesaggio?
Sorpresa in ogni istante. Apparizione. La possibilità di ritrovarsi ad inseguire una visione che si apre tra i pensieri.

Che forme assume nella tua pratica artistica?
Può essere una nuvola, può essere una delle forme che gli uccelli disegnano nel cielo, può essere l’ombra di una bambina che dondola sull’altalena, può essere la linea di un fulmine o i colori delle foglie in autunno. Sono momenti che ci investono senza che ne capiamo il perché. La stessa cosa vista mille volte all’improvviso non è più quella, è qui, ora, piena di tutto quello che siamo capaci di sentire. 

Quale valore aggiunto restituisci al pubblico con la tua rielaborazione?
“Fin che ci saran le nuvole sopra Torino sarà bella la vita”, così scriveva Cesare Pavese. Ho sempre cercato qualcosa di “semplice”. 

Il voler trattenere un movimento, un gesto, prima ancora che dimostri con chiarezza cosa voglia essere o fare, un attimo preciso che non vuole insegnarci nulla, apparentemente un momento senza significato ma che scolpisce la mente, fa da capoverso, da segnalibro. Una piccola traccia di immortalità. E poi c’è la necessità della bellezza. La necessità di farne una cosa tra le cose, un oggetto fisico, reale come le cose reali.

Il paesaggio: tra natura, identità e cambiamento

La serie dei lavori più recenti traggono ispirazione dai fenomeni naturali per affrontare tematiche esistenziali”. Puoi spiegarci meglio?
La meraviglia, lo spavento, la consapevolezza, una semplice nuvola. Una sola visione autentica è capace di redimere, dare persino senso al dolore, alla solitudine. Un dono, una finestra aperta, una offerta che non ci chiede niente in cambio. È l’esperienza del mutamento, la meraviglia dello scorrere del tempo ma anche un qui e ora senza data, quello che non muta.

Nelle serie Ciò che non muta e Ritroverai le nubi, rispettivamente realizzate nel 2010 e il 2013, il segno cessa di essere materia per diventare un vero e proprio linguaggio con cui potersi esprimere. A dieci anni di distanza, e con la mostra ospitata lo scorso anno a La Nuova Pesa a Roma, S’imbeve di cielo, come si è evoluto questo tuo vocabolario?
Credo che l’arte non abbia memoria, né passato né futuro. Questa è sempre presente e ogni nostro sforzo è proteso ad appassionare la vita. Continuo la mia ricerca attorno a questi “corpi” che, non di rado, mi sono vicini più del mio, cercando di trattenere e rappresentare lo slancio di ciò che è vivo.

Valentina Muzi 

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Valentina Muzi

Valentina Muzi

Valentina Muzi (Roma, 1991) è diplomata in lingue presso il liceo G.V. Catullo, matura esperienze all’estero e si specializza in lingua francese e spagnola con corsi di approfondimento DELF e DELE. La passione per l’arte l’ha portata a iscriversi alla…

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