Morto Massimo Carpi, stilista e grande collezionista del Futurismo

È morto a Roma il 22 marzo all’età di 78 anni Massimo Carpi, stilista di moda e collezionista romano, fondatore del marchio Emanuel Zoo e dell’Associazione Culturale Futur-Ism. ll ricordo del figlio Giancarlo

Molti dei miei ricordi di bambino sono legati al lavoro di mio padre che era uno stilista di moda, ai tessuti, le spille, le rocche di filato che vedevo e con i quali giocavo gironzolando nei due piani della “diffusione” in Via Nomentana 175, Roma. Così come quello di un viaggio a Parigi, quando avevo 5 anni, e le interminabili sale del prêt-à-porter. Papà aveva fondato con mia madre Marisa il marchio Emanuel Zoo nel 1974, ed aveva avuto successo già prima che io nascessi nel 1980, aprendo negozi a Roma, Firenze, Milano, Parigi, con una distribuzione che andava da Bloomingdale’s a New York a Joseph a Londra, fino ad altri negozi di alta fascia in Giappone e Oriente. Presso il Costume Institute del Metropolitan di New York è conservato un suo modello di maglia del 1981. La stessa enorme cura con cui, dopo averlo disegnato, seguiva la realizzazione pratica del modello, papà la metteva anche in altre attività, come la costruzione della casa al mare a Fregene, tra il 1984 e il 1985.

Massimo Carpi e il collezionismo

A quel periodo risale, con lui, il mio approccio all’“arte”, un’estate colma di gioia perché mentre la casa veniva su piano piano, con il suo tetto di lavagna e gli infissi celeste con i pezzi di recupero del cantiere abbiamo fatto insieme alcune “sculture”. Una specie di bruco composto da un tronco e un tubo di gomma, come antenna che aveva all’estremità un sassolino colorato di verde con le bombolette spray. Le andavamo a comprare insieme dal ferramenta, in bicicletta, e ricordo anche l’“acqua ragia”, il lilla e i campi da tennis rossi su un lungomare per il resto desolato. Aveva iniziato a collezionare opere d’arte nel 1980, la prima era stata un Mirò. Sicuramente sapeva vedere quelle immagini profondamente. La memoria che porto dei suoi rapporti con varie figure del mondo dell’arte negli Anni Ottanta veniva risvegliata in me nel decennio successivo, quando la prima cosa che mi dicevano affettuosamente quelle persone era “giancarlino”, io ti conosco da quando eri bambino! Tra questi Alessandro Balla e il collezionista di aeropittura Salvatore Ventura. Avvenne anche molto dopo quando Giuseppe Salvatori, che avevo conosciuto attraverso giri letterari mi disse, riferendosi agli Anni Ottanta, “tuo padre era un personaggio”.

141885 1 16 Morto Massimo Carpi, stilista e grande collezionista del Futurismo

Massimo Carpi e l’arte italiana

Ricordo, poi, di quegli anni, i grandi quadri anacronisti che teneva al piano terra dell’azienda, perché alla mostra di Maurizio Calvesi ne aveva comprati molti. Con Calvesi e la moglie Augusta Monferini ha avuto un ottimo rapporto fino alla loro scomparsa. C’è una mia fotografia scattata da lui nel 1986 nel giardino della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, dove ho ancora i capelli biondi, quando andammo per l’inaugurazione di Futurismo & Futurismi a Palazzo Grassi, per la quale aveva prestato un quadro, anche se della mostra non ho quasi ricordi. L’anno seguente avrebbe prestato sempre a Palazzo Grassi per Arte Italiana Presenze 1900-1945 di nuovo a cura di Hulten e Celant. Ricordo invece il soffitto di nuvole della cameretta di mia sorella affrescato da Elica Balla nel 1985 per la sua nascita. Di Giacomo Balla, in quegli anni aveva comprato, fra gli altri, Dissolvimento d’autunno, 1918, altri due oli su tela dedicati ai cicli naturali e lo straordinario “mobiletto mangia fumo”. In qualche modo legata alla passione per Balla era l’interesse per il lavoro di Piero Dorazio, dal quale acquistò tre opere, Il ponte di Carlo, 1947, Sviluppo orizzontale di una cornamusa dolcissima 1948, e Purple Wink degli anni Sessanta. In una missiva indirizzata alla Emanuel Zoo nel 1990 Dorazio lo invita alla prossima mostra a Todi. Amava la musica – c’è un album di Tracy Chapman che mi ha fatto sempre pensare a lui – e tra gli anni Ottanta e Novanta era stato anche grande amico di uno dei dee-jay storici degli anni 70, Claudio Casalini, del quale anche ho tantissimi ricordi di viaggi o serate tutti insieme.    

Massimo Carpi e la passione per il Futurismo

Oltre al soffitto di nuvole c’è nella casa romana quello del tinello commissionato al futurista Mino delle Site, 1987. Del 1986, ricordo, la gita a Corciano per Futurismo in Umbria. Arte storia documenti, fissatasi nella memoria anche attraverso quei bei luoghi, come il critico Massimo Duranti. Di Dottori papà aveva comprato, tramite Duranti, dopo la morte del mecenate Loreti Tancredi la prima versione del pannello centrale, la Corsa, del Trittico della Velocità e lo Studio per l’Idroscalo di Ostia. Ma tra gli Anni Ottanta e Novanta, la passione per il Futurismo, e i prestiti per le mostre, erano legati forse soprattutto alla sua amicizia con Enrico Crispolti: da Casa Balla e il Futurismo a Roma nel 1989, a Villa Medici, Accademia di Francia, dove aveva fra le altre cose un vero capolavoro come Mazzo di fiori di Evola, a Vanguardia Italiana de Entreguerras IVAM, Valencia, 1990, curata anche da Luciano Caramel, da Futurismo e Meridione, Palazzo Reale di Napoli, 1996 a Futurismo. I grandi temi, Palazzo Ducale di Genova, 1997. Crispolti era impegnato nella rivalutazione del secondo Futurismo e così papà scoprì e collezionò anche molti bellissimi pezzi di quegli artisti, e da lì dunque il prestito, per esempio, per la monografica su Ivo Pannaggi a Macerata nel 1995, alla quale mi portò, mentre nel 1992 c’era stata Futurism 1909-1944 itinerante per sette città del Giappone.

I costumi di Massimo Carpi per il Balletto Cocktail

Un altro ricordo vivido è appunto del 1992, quando papà disegnò ed espose una sua rivisitazione dei costumi di Enrico Prampolini per il Balletto Cocktail di Marinetti nella mostra monografica curata dal critico al Palazzo delle Esposizioni di Roma, XII Quadriennale. Con un mio amico di infanzia, a dodici anni, ci divertimmo a fare su e giù con l’ascensore del palazzo. Papà scriveva così in catalogo “Accettando di occuparmi dei costumi nella scena di Cocktail riproposta dall’architetto Francesco Stefanori non ho pensato ad una ricostruzione filologica dei vestiti impiegati nello spettacolo andato in scena nel 1927 al Théâtre de la Madeleine a Parigi, come visibili nelle poche note immagini fotografiche. Come operatore creativo nel campo della moda, mi sono infatti posto piuttosto un problema di comunicazione in termini attuali delle probabili suggestioni di Cocktail. Mi è sembrato opportuno immaginare il costume da barman e quelli delle dieci ballerine-bottiglie come molto frizzanti, euforici, inebrianti nei colori. Per le giacchette delle ballerine-bottiglie ho usato taffetas in luogo di tessuto lucido; e per i loro cappelli-turaccioli mi sono servito di un tessuto metallizzato. I colori li ho riferiti al possibile contenuto delle bottiglie: verde-menta, bruno-cognac, ciliegia, arancio, violetta. Usati cinque in positivo, cinque in negativo, nel senso di alludere nel chiaro alla trasparenza della bottiglia nello scuro al suo contenuto. E dunque a volte la giacca è chiara, a volte è scura, come a suggerire il movimento del liquido”. Una simile collaborazione era avvenuta già prima per la mostra Il Futurismo e la Moda al PAC di Milano nel 1988, per modelli di Balla, Depero, Crali.

Non solo Futurismo, ma anche Surrealismo e secondo Novecento

Degli Anni Novanta ho un altro ricordo intorno al 1998, a Fregene, quando era andato a trovare Maurizio Fagiolo dell’Arco che aveva anche lui casa lì, e io, visto che avevo appena preso la patente, mentre loro parlavano colsi l’occasione per fare un giro con la sua macchina. In quegli anni, mi sembra, commissionò a Bruno Ceccobelli dei manichini per il negozio di Via Frattina. Papà collezionò in quegli anni anche Fontana, Burri, Capogrossi, Leoncillo, Scarpitta, Accardi, Turcato, Perilli, Festa, Angeli, Rotella, Colla e altri – alcune delle quali opere esposte poi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia. Ma la sua seconda passione dopo il Futurismo era sicuramente il Surrealismo, che aveva iniziato a collezionare già negli Anni Ottanta attraverso la Galleria 2C di Cleto Polcina – e tra i galleristi ha avuto un lungo rapporto di amicizia con il milanese Flavio Lattuada e sua madre Fiorella La Lumia di Artecentro, con Raffaella Bozzini e prima con il padre Livio della Galleria Edieuropa di Roma, con Sergio Poggianella fondatore della Fonte d’Abisso – soprattutto André Masson e Max Ernst, e poi Paul Klee, che ha sempre reso disponibili per le mostre organizzare dalla Fondazione Mazzotta o da Arturo Schwarz. E avevano luogo, intanto, i prestiti per le mostre sul Futurismo curate dal critico e ricercatore Giovanni Lista, residente a Parigi, che è stato ospite tante volte nella casa di Roma, e appunto dallo stesso Calvesi e poi di Luciano Caramel, Elena Gigli, Maurizio Scudiero, Daniela Fonti, Fabio Benzi, Luigi Baldacci, Gabriella Belli, Livia Velani, Massimo Duranti, Ester Coen, Ada Masoero, Anna Maria Ruta, Renato Miracco, fino a grandi rassegne internazionali come Cosmos. From Romanticism to Avant Garde a cura di Jean Clair a Montreal nel 1999, o La ville, art et architecture en Europe 1870-1993 al Centre Pompidou nel 1994.

L’associazione Futur-ism di Massimo Carpi

L’ultima collezione di moda disegnata da mio padre risale al 1999, quando decise di chiudere l’azienda anche per una grave malattia agli occhi. Andò a Losanna per curarsi, io avevo appena conseguito la maturità e, un giorno, andammo anche a vedere il museo di Victor Brauner, un piccolo edificio immerso nel verde. Nel 2000 papà inventò l’Associazione Culturale Futur-ism, trasformando di fatto la sua passione per il movimento fondato da Marinetti in una attività lavorativa. L’Associazione aprì un sito internet – disegnato dall’artista perugino Carlo dell’Amico, uno dei suoi migliori amici, ed era dunque visibile in tutto il mondo in anni nei quali la rete era uno strumento di comunicazione nuovo e inedito per il mondo dell’arte. L’associazione era come si legge nel sito “disponibile per i prestiti richiesti da musei e curatori per contribuire a mostre sul Futurismo e altri temi correlati”, e i collezionisti potevano aderire e ricevere un fee quando la loro opera veniva richiesta in prestito. L’idea, originale, entrava un po’ in contrasto con la figura del curatore come intermediario dei collezionisti, e con la consuetudine che le opere dovessero essere prestate gratuitamente. Di fatto, rendeva la circolazione delle opere molto più diretta e “democratica” rispetto alle consuetudini del collezionismo classico. Era stato pensato fin dall’inizio un sistema di ricerca per titolo, anno, oltreché ovviamente per autore. Vi parteciparono all’inizio, in una sezione dedicata alle recensioni anche critici come Cesare Biasini Selvaggi, amico di papà che tante volte mi ricordo a casa. L’impostazione era totalmente orizzontale, quasi filologica, ovvero, si andava dai fondatori del Futurismo pittorico agli artisti minori, circa 240 artisti futuristi indicizzati. Era, come mi diceva papà, “la scuola di Crispolti”, che si era impegnato per decenni a studiare e rivalutare il futurismo totalmente. E “umile” era la gestione della corrispondenza perché, mi diceva “noi rispondiamo a tutti”, da chi gli scriveva per chiedere i diritti di riproduzione di un’immagine, all’appassionato che voleva la segnalazione di un evento alle grandi istituzioni museali.

L’impegno dell’associazione Futur-ism

L’Associazione, da quando fu fondata nel 2000 ha contribuito a 190 mostre sul Futurismo o su temi collegati collaborando con circa 120 tra musei e istituzioni e poi con una decina di gallerie. E molte di queste collaborazioni avvennero proprio attraverso un contatto internet – ricordo, per esempio The art of Decelaration, al Kunstmuseum di Wolfsburg nel 2011 – con modalità che erano in sintonia con il cambiare dei tempi. Una seria disamina della sua attività richiederebbe un impegno a cavallo tra la storia del collezionismo e la storia delle mostre.  Contribuì al meglio di quando organizzato nell’ultimo quarto di secolo, da Futurismo 1909 – 1944, al Palazzo delle Esposizioni di Roma nel 2001 – itinerante dallo Sprengel Museum di Hannover, curata da Crispolti, per la quale furono prestati oltre ottanta opere – e ricordo Enrico e papà davanti al computer mentre li sceglievano, ad Arti e Architettura 1900/1968 a cura di Germano Celant nel 2005, Palazzo Ducale di Genova. Da Futurismo 09 al Palazzo Reale di Milano a cura di Giovanni Lista e Ada Masoero – nella quale fu presentato, dopo la monografia di Balla sempre al Palazzo Reale, il Complesso plastico di frastuono + velocità del 1914 c. riscoperto da Giovanni Lista, a Italian Futurism. Recostructing the Universe a cura di Vivian Green al Guggenheim di New York nel 2014, a Post Zang Tuuum Tumb a cura di Germano Celant alla Fondazione Prada di Milano. E poi Futurism and Europe a cura di Fabio Benzi nel 2023, al museo Kröller Müller Museum di Otterlo, Dolce Vita? Du Liberty au design 1900-1940, Musée D’Orsay, Parigi, la bellissima monografia su Depero alla Fondazione Juan March di Madrid nel 2014, e ancora Paraventi nel 2023 alla Fondazione Prada, prestando un paravento di Balla e tante tante altre.

Massimo Carpi e il Futurismo inesauribile

Ma al di là delle punte, l’Associazione ha reso facilmente disponibili a musei di medio livello, anche all’estero, opere che altrimenti non sarebbe stato facile reperire, facilitando di fatto la diffusione e partecipazione del Futurismo, e poi contribuendo alle monografie, da Dottori a Funi, da Balla a Severini, da Primo Conti a Gino Galli, da Tullio Crali a Pippo Rizzo, da Julius Evola fino, di nuovo, a Enrico Prampolini – all’Auditorium nel 2006 – dove papà, con Massimo Prampolini, suo amico, era collaboratore alla curatela di Daniela Fonti – da Baldessarri a Sant’Elia, da Giulio D’Anna a Thayaht. E ancora, rese possibili le prime mostre storiografiche sul futurismo in alcuni paesi stranieri come Futurism nel 2009 presso il Chiang Kai Shek Memorial Hall di Taipei o Italian Futurismi, nel 2012 presso l’EMMA di Helsinki-Tapiola. Quest’ultima nata da un mio contatto e co-curata con grande impegno da me, anche con prestiti poi dalla Estorick – l’Idolo Moderno di Boccioni – dalla GAM di Roma, dal Museo Civico di Perugia. Nel 2009 in un libro che stavo facendo per l’Editore Castelvecchi, Futuriste, avevo scritto “ringrazio mio padre che mi ha fatto conoscere il Futurismo”. Speravo di averlo reso fiero di me. E in questi decenni ha continuato a collaborare anche con non specialisti dell’avanguardia, da Luca Beatrice a Flaminio Gualdoni, da Vittorio Sgarbi a Luca Massimo Barbero da Claudio Spadoni a Bruno di Marino a Raffaella Resch, a Bruno Corà da Fernando Mazzocca a Claudio Cerritelli – ricordo anche Achille Bonito Oliva che nel 2009 era a casa per organizzare la mostra Onde Futuriste – e tanti altri e poi con l’ultima generazione di critici del futurismo Andrea Baffoni, Alberto Dambruoso, Maria Elena Versari. Da una decina d’anni era molto amico dell’editore e collezionista torinese Massimo Massano. 

Gli ultimi progetti di Massimo Carpi

Nel 2017 poi papà aveva aperto per mia sorella Francesca una galleria d’arte nel centro di Roma trasformando l’ultimo negozio-boutique della Emanuel Zoo, forse l’unica al mondo quasi solamente dedicata all’avanguardia. Ancora un’altra avventura. Si organizzarono Balla/Dorazio – nel cui catalogo Achille Perilli pubblicò un ricordo di Dorazio – Depero/Halley, e la riscoperta d’aeropittore Pierluigi Bossi ma anche del neo-dada umbro Brajo Fuso – e me lo ricordo, papà, nella primavera del 2018 quando siamo andati a rivisitare il Fuseum, giardino museo nel bosco vicino a Perugia. Fino a Balla. Dalla luce alla luce, nel 2020. Alcuni anni fa aveva acquisito alla collezione altre due opere di Giacomo Balla, Folla + Paesaggio, 1918, e Rumoristica plastica Baltrrr, 1914, già in collezione Winston Malbin e, prima ancora, di FT Marinetti.  A settembre del 2023 la Peggy Guggenheim Collection di Venezia gli aveva inviato una richiesta di prestito per una ceramica di Lucio Fontana, Farfalla, 1935-36, azzurra e nera, per la mostra Mani-fattura: le ceramiche di Lucio Fontana che sarà inaugurata a ottobre di questo anno. Questo, come tutto quanto ho scritto anche i miei ricordi non portano avanti un mondo né possono proteggermi dalla realtà che non sarà mai più come prima.   

Giancarlo Carpi

Libri consigliati:

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati