La nostalgia come lubrificante sociale e culturale e la paura del futuro

Che cosa succede quando la nostalgia diventa nostalgia di un’epoca di cui non si ha alcuna esperienza diretta? E quando il periodo oggetto della nostalgia, si costruisce attraverso la nostalgia?

A un certo punto, parecchi decenni fa (cinque, per l’esattezza), il tempo ha cominciato a ripiegarsi su se stesso.
La nostalgia non è un semplice zuccherino per l’anima individuale e collettiva – ma è il lubrificante sociale e culturale per eccellenza, da quasi cinquant’anni. Perché infatti un’intera civiltà si metta a scavare nel proprio stesso passato recente, per ricavarne motivi di consolazione, ci vuole una tremenda e prolungata paura del presente e del futuro.
La nostalgia e la paura del futuro
Ci vuole cioè un meccanismo talmente oliato di sospensione e gratificazione, da far dimenticare per quel momento, per quei momenti, tutto il resto. Che cosa succede infatti quando (come è accaduto) la nostalgia è totalmente sganciata da un periodo realmente vissuto, e diventa nostalgia di un’epoca di cui non si ha alcuna esperienza diretta? E che cosa succede quando a un certo punto lo stesso periodo che è l’oggetto della nostalgia, si è costruito esso stesso principalmente attraverso la nostalgia?

L’eco della nostalgia

Che viviamo dentro l’eco di un’eco di un’eco – la nostalgia della nostalgia stessa, una condizione e un luogo temporale totalmente mediato dai riferimenti. Così, la promessa di un ritorno anche solo per qualche istante a casa (nostos), la definizione di questa casa, diventa impossibile – e forse persino indesiderabile.
La “casa” non è fatta cioè di radici (che so, l’infanzia, l’adolescenza, l’innocenza collettive), perché queste radici sono diventate per definizioni immaginarie, e vengono rimodulate e riarticolate di volta in volta, a seconda delle istanze e delle esigenze. Dunque, questi Anni Venti sembrano guardare con un certo desiderio agli Anni Novanta (il pre-internet), e gli Anni Dieci rimandavano agli Anni Ottanta (prosperità, ottimismo, Stephen King, synth pop, spalline, Ronald Reagan, Hulk Hogan, Goonies, il colpo di coda dell’URSS, Chernobyl, ecc. ecc.), che a loro volta consapevolmente e inconsapevolmente riattivavano gli Anni Cinquanta e il boom del secondo dopoguerra. Marty McFly di Back to the Future arriva nella Hill Valley del 1955, così come l’again di MAKE AMERICA GREAT AGAIN è in realtà molto più importante e significativo del great, dal momento che identifica di volta in volta epoche diverse…

ronaldreagan scaled La nostalgia come lubrificante sociale e culturale e la paura del futuro
Ronald Reagan

L’again nel Make America Great Again

L’again può quindi scartare all’indietro in maniera vertiginosa, e agganciare i pionieri, il destino manifesto, il West – così come schizzare in avanti, e incarnarsi in un’astronauta che pianta la bandiera americana sul suolo rosso di Marte, con una bella X stampata sulla tuta spaziale. L’again è una funzione primaria della nostalgia, ancora una volta una rassicurazione e una consolazione fondamentale: l’importante è che questa grandezza sia riproposta e ripresentata, che l’età dell’oro sia già usata e testata – sia cioè la stessa che si ripete, che ritorna, e non qualcosa di assolutamente inedito e ignoto.
 

L’età dell’oro e il selvaggio West

Il difetto macroscopico della nostalgia è che, appunto, in questa ossessione del già noto, della ripetizione, della ripresentazione, seleziona attentamente gli elementi da ‘nostalgizzare’: gli unici ammessi sono quindi quelli più simili al presente, più assimilabili, più commensurabili ad esso, più compatibili cioè con le nostre condizioni attuali, con il nostro linguaggio, con i nostri codici, con il nostro modo di vedere e di sentire. Tutto il resto viene scartato, eliminato, considerato non compatibile, non aggiornabile, e quindi non consumabile. Quindi le contraddizioni, le asperità, le tensioni, le frizioni del passato – gli aspetti cioè in assoluto più interessanti.

 La nostalgia come bene rifugio

La nostalgia consuma letteralmente il passato, e nel farlo lo rende un rifugio: o meglio, il rifugio (dal presente e dal futuro) è una versione idealizzata, inesistente, parallela del passato. Quelle offerte dalla nostalgia sono versioni adattate dei vari decenni e delle varie epoche, ipersemplificate, bonificate per così dire, e pronte per l’estrazione di risorse che a loro volte devono essere opportunamente ripulite dalle ambiguità e complessità originarie (oggetti artistici e culturali, mode, idee, ecc.). Questa bonifica e questa estrazione presuppongono che il passato così come è stato, come è avvenuto, divenga inaccessibile e inaffrontabile. Attraverso la nostalgia, il passato viene consumato a patto di tagliare i ponti con noi.
Questo era il suo ultimo ricordo. Il tempo passato a ripensare agli Anni Cinquanta. E poi, un bel giorno, si era ritrovato negli Anni Cinquanta. Gli era parso un fatto sbalorditivo. Una meraviglia da togliere il fiato. D’un tratto le sirene, gli edifici dei CC, il conflitto e l’odio, gli adesivi sui paraurti che dicevano UN MONDO FELICE erano svaniti. I soldati in uniforme che gli stavano intorno dalla mattina alla sera, il continuo timore di attacchi missilistici, la pressione, la tensione e, soprattutto, l’incertezza e il dubbio che attanagliavano tutti” (Philip K. Dick, Tempo fuori luogo, Sellerio 2000, p. 295).

Christian Caliandro

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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