Abbasso i quadri. Nel senso che esporli un po’ più giù aiuterebbe

Qualcosa non funziona nel rapporto tra il mezzo pittorico e il cosiddetto white cube. Si direbbe un match in cui non si siano ancora prese bene le misure, in tutti i sensi. È arrivata l’ora di affrontare criticamente la sciatteria di molti allestimenti


Un po’ di nostalgia per i tempi in cui le questioni allestitive erano al centro del dibattito c’è. Certo, si esagerava. Erano sopravvalutate, sembrava non ci fosse altro di cui discutere parlando di arte contemporanea. Col tempo si è capito fosse un po’ una bolla. Va bene il ‘dialogo con lo spazio’, come si ripeteva tipo mantra, ma up to a point, visto che non sempre lo spazio costituisce un elemento strutturante l’opera d’arte. Oggi invece l’esagerazione è di segno opposto, nel senso che di allestimenti non si parla quasi più.

Allestimento e pittura

Viene da pensare che l’egemonia del mezzo pittorico abbia spazzato via la questione. C’è senz’altro del vero in ciò. Fatte salve le eccezioni avanguardistiche che sappiamo, il dipinto tende a disinteressarsi di ciò che lo circonda, quindi il problema del ‘dove lo appendo’ può risultare secondario. Detto ciò, oggi di mostre di pittura venute male per ragioni allestitive se ne vedono troppe. Da una maniacalità talvolta insensata si è passati ad un eccesso di sciatteria, e non va bene. Di cosa parliamo? Del fatto che, andando in giro per mostre, troppo spesso si trasecola per la semplice ragione che i lavori a parete vengono esposti troppo in alto. Il che disturba, li fa apparire tristi, ne danneggia l’aura e incafonisce gli spazi che li ospitano. Qualche volta si tratta di trenta o quaranta centimetri; anche meno è già abbastanza per fare danni. Sia chiaro: siamo nel campo delle opinioni. Questa è la prima premessa. Non ci sono evidenze scientifiche a certificare che i quadri appesi ad una data altezza siano meglio valorizzati, ci mancherebbe. Evidenze scientifiche non ce ne sono nemmeno a sostegno della tesi che Caravaggio sia un grande artista, figuriamoci su una questione del genere. Ma appunto per questo parliamone; e comunque di seguito verranno fornite argomentazioni a sostegno di questa idea. 

Allestire un dipinto in alto non è vietato

L’altra premessa, è non si tratta di una presa di posizione assoluta. L’altezza scelta per allestire un quadro dipende da mille fattori, ed è soggetta ad altrettante varianti e deroghe. Conta tutto: le peculiarità dello spazio e/o del progetto espositivo, l’irregolarità di una parete, l’esigenza di tradurre spazialmente la pregnanza concettuale di un’opera, eccetera. Basti pensare al Quadrato nero su fondo bianco di Kazimir Malevič, capolavoro del Suprematismo, appeso nel 1915 in alto tra due pareti e soffitto in modo da evocare il cosiddetto “angolo bello” della spiritualità ortodossa, in una stanza molto particolare sul piano allestitivo, nel contesto del leggendario progetto espositivo 0.10. Ultima mostra di pittura futurista. Insomma, un quadro può, anzi talvolta deve, essere appeso in alto, e anche molto in alto. No, qui preme parlare degli altri casi, quelli in cui i predetti fattori non si rinvengono, che costituiscono – comunque – la stragrande maggioranza.

Perché i quadri vengono allestiti troppo in alto?

Ci si chiede perché ciò accada. Perché, cioè, sia così frequente vedere quadri posizionati altezza giocatore di basket, come pale d’altare senza altare, anche quando le mostre hanno allestimenti neutri e il format espositivo è quello asettico del white cube. Un paio di risposte le abbiamo. La prima, è che il pittore tendenzialmente si disinteressa della questione; la considera secondaria, quando non una non-questione. La seconda risposta, meno archetipale, è che tanti anni di poca pittura hanno reso curatori e galleristi iper-sensibili all’improponibile allestitivo di matrice installativa, ma non così sensibili all’improponibile allestitivo di matrice pittorica. La verità probabilmente sta nel mezzo, in un combinato disposto delle due evidenze. Come che sia, molte mostre di pittura sono presentate così male da essere meglio di come appaiono, nel senso che il loro allestimento nuoce – spesso gravemente –, se non alla qualità, di sicuro all’efficacia e alla felicità delle opere che le compongono, e spesso per la sola ragione che i dipinti stanno troppo su.

I problemi di un quadro esposto troppo in alto

Preme addentrarsi nella questione in sé. Capire, cioè, perché i quadri appesi alti – e spiegheremo cosa significhi ‘alti’ – perdano così tanto in termini di efficacia. Una cosa è certa: il white cube oggi è il canone, ma la sua storia non è così antica, tutt’altro; soprattutto, non è legata al medium pittura. In tale sfasatura sembra collocarsi il cuore del problema. In altre parole, manca un’esperienza consolidata in relazione alla fruizione del dipinto su tali basi. Si direbbe che nel rapporto tra white cube e medium pittorico non si siano ancora prese bene le misure, in tutti i sensi… Ciò detto, si possono avanzare delle ipotesi sul perché in galleria i quadri appesi oltre una certa altezza appaiano insopportabili. Eccone due, fondate su altrettante constatazioni, una estetica e l’altra ‘politica’. La prima, è che il quadro esposto troppo su risulta sempre un po’ decorativo. Fa arredamento, come si suol dire. Questo perché sembra suggerire che là sotto qualcosa manchi: un comò, un tavolo, un divano, l’altare di qualche secolo fa. Così, la sua ostensione risulta lacunosa, e inelegante benché altezzosa. Invece, quando sembra non attendere null’altro, il quadro acquista forza ed ha più aura. La seconda constatazione è che, esposto oltre una certa altezza, il dipinto stride in chiave sociale, diventando perciò ‘antipatico’. Questo perché sembra tagliare fuori da una sua fruizione maniacale chi non ha una statura adeguata al suo essere finito ‘lassù’. Peggio, veicola il messaggio di un paternalistico doversi sollevare per ‘arrivare’ all’opera. 

IN GALLERIA - photo courtesy Digital Team Arte Fiera
IN GALLERIA – photo courtesy Digital Team Arte Fiera

Come valorizzare la fruizione?

Pure, un elemento di convergenza in tale questione esiste, e merita credito. Consiste, lo riportano persino i motori di ricerca del web, nel prendere a riferimento il punto di osservazione del fruitore. In buona sostanza, i suoi occhi. Solo che qui si apre un mondo. Sì, perché un conto è proiettare gli occhi dell’osservatore sul centro del quadro, un altro è farlo su altri punti del suo sviluppo verticale, o addirittura sulla sua base; lo scarto può essere importante. Ma poi, la statura del fruitore può variare in termini notevoli. Morale della favola, un indirizzo condiviso che non sia lasco non c’è, sicché i risultati sono quelli spesso imbarazzanti di cui s’è detto. Come se ne esce? Beh, non si tratta di istituire modulor. Solo, una formuletta di massima un filo più stringente aiuterebbe – sempre al netto di valutazioni specifiche e aggiustamenti dinamici inerenti al caso concreto. Un esempio? Si potrebbe fare del centro del quadro il punto su cui proiettare gli occhi del fruitore, e nel contempo prendere a soggetto di riferimento non un individuo qualsiasi, ma un soggetto di bassa statura. In fondo quel che serve è un’opzione valorizzante; utile cioè a raggiungere entrambi gli obiettivi: far risplendere al massimo i quadri, e rispettare massimamente il fruitore.

I pro della sciatteria allestitiva

Piccola chiosa controvento. Che ci sia della sciatteria su questa questione è anche un buon segno, significa che le mostre di pittura non si sa ancora bene come prenderle quando si tratta di allestirle nel white cube. Il che indica freschezza. Come sempre accade, quando tutto è troppo codificato c’è lezzo di senescenza. Al contrario, la poca dimestichezza può essere indice di vitalità, soprattutto in ambito artistico. 

Pericle Guaglianone

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Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone è nato a Roma negli anni ’70. Da bambino riusciva a riconoscere tutte le automobili dalla forma dei fanali accesi la notte. Gli piacevano tanto anche gli atlanti, li studiava ore e ore. Le bandiere erano un’altra sua…

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